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Solidarietà internazionalista contro la stretta autoritaria globale!

da: https://umanitanova.org/?p=13520

Solidarietà internazionalista contro la stretta autoritaria globale!

La pandemia globale e le sue conseguenze gravano sulla classe lavoratrice. È quella sfruttata e oppressa la parte della popolazione mondiale più colpita dalla pandemia e allo stesso tempo quella più impegnata nel proteggere la salute di tutti. Il sistema statale e capitalista sta ora mostrando più chiaramente le proprie falle e contraddizioni. L’accelerazione dei processi autoritari in atto a livello globale punta a difendere il potere, il privilegio e il profitto delle classi dominanti.

In varie regioni del mondo osserviamo il drastico peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di centinaia di milioni di persone. L’accaparramento di risorse naturali continua, e beni essenziali come terra e acqua sono sempre più concentrati nelle mani di grandi proprietari. Poche grandi compagnie di diversi settori come e-commerce, tecnologia, media, industria farmaceutica, grande distribuzione e industria dell’auto hanno prosperato durante la pandemia, guadagnando centinaia di miliardi di dollari.

In molti paesi del mondo cresce la spesa bellica, le tensioni militari tra gli stati aumentano, accompagnate dalla propaganda razzista, nazionalista, fascista. Molti governi stanno rafforzando il proprio apparato di sicurezza sia esercitando maggiore controllo e repressione sulla popolazione sia estendendo i poteri dei corpi di polizia. Intanto la popolazione segregata, nella striscia di Gaza come nei ghetti delle metropoli, a Lesvos e nei campi di detenzione per migranti come nelle carceri di tutto il mondo, vive questa crisi in condizioni di totale deprivazione.

Spesso le misure per prevenire la diffusione del coronavirus vengono utilizzate dai governi per colpire i movimenti di lotta. Ma in ogni angolo del mondo ci sono forme di resistenza, movimenti di lotta che in alcuni casi non solo resistono ai processi autoritari in atto, ma provano a far nascere un’alternativa. Siamo con coloro che si sollevano contro il razzismo e la polizia negli USA, contro le squadre speciali della polizia in Nigeria, contro un nuovo stato di polizia in Francia, con chi si rivolta in Cile contro lo Stato militarista neoliberale e la violenza genocida utilizzata per reprimere la popolazione Mapuche. Siamo con chi lotta per la libertà e l’uguaglianza contro la dittatura in Turchia e in Bielorussia, così come contro i regimi autoritari in Tahilandia e in Indonesia.

In molti casi il movimento anarchico è parte attiva di queste lotte. In varie aree del mondo del mondo le anarchiche e gli anarchici sono impegnati quotidianamente, difendendo spazi di libertà, sostenendo lavorator* in sciopero, costruendo di reti solidali e di mutuo appoggio per far fronte all’impoverimento, alla violenza di genere, all’inaccessibilità dei dispositivi di protezione e dei trattamenti medici.

Ora più che mai è urgente rafforzare la dimensione internazionalista dell’anarchismo, per far fronte ai processi autoritari in atto, per rilanciare una prospettiva rivoluzionaria in un mondo che lo Stato e il capitalismo hanno portato al collasso.

La Commissione di Relazioni dell’INTERNAZIONALE DI FEDERAZIONI ANARCHICHE (IAF/IFA) – 16 Gennaio 2021

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Contro il governo Draghi, contro tutti i governi!

Contro il governo Draghi

contro tutti i governi

L’incarico a Mario Draghi per provare a formare un nuovo governo è in ogni caso una dichiarazione di guerra alle classi sfruttate e ai ceti meno abbienti. È facile capire quale sarà il programma di un simile governo: raccogliere tutti i finanziamenti provenienti dall’Unione Europea, cancellare i pur miseri palliativi decisi dal primo e dal secondo governo Conte, promuovere ulteriori privatizzazioni nella scuola e nella sanità.

La missione di governo di Mario Draghi, benedetto da Mattarella e con il beneplacito di destra e sinistra, sarà una gigantesca operazione di assistenzialismo per ricchi. La chiesa continuerà a versare lacrime di coccodrillo sull’aumento della povertà, ma sarà la maggiore beneficiaria dei tagli ai servizi e delle privatizzazioni nella sanità e nell’istruzione.

Che si risolva o meno con la formazione di un nuovo governo, l’incarico conferito da Mattarella a Mario Draghi mostra chiaramente l’indirizzo che la classe dominante intende imporre, qualsiasi sia la soluzione dell’attuale crisi di governo. Un messaggio chiaro nella disastrosa situazione sociale attuale, a meno di due mesi dalla scadenza del blocco dei licenziamenti e del blocco degli sfratti. Continueremo la lotta, contro il governo Draghi e contro tutti i governi, convinti che solo l’azione diretta e l’autorganizzazione delle masse aprirà la strada a maggior libertà e maggiore giustizia sociale.

Federazione Anarchica Livornese

cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

03/02/21

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Dieci anni dalla rivoluzione tunisina. Un esempio ancora vivo

articolo pubblicato su Umanità Nova n. 4 del 31 gennaio 2021

Ecco dove si può trovare a Livorno e dintorni il settimanale anarchico:

Federazione Anarchica Livornese – via degli Asili 33

Edicola P.zza Grande (angolo via Cogorano)
Edicola Via Garibaldi 7
Edicola P.zza Damiano Chiesa (ospedale)
Edicola Porto (Piazza Micheli lato Quattro Mori)
Edicola Dharma – viale di Antignano 110
Bar Dolcenera – via della Madonna 38 (angolo Viale degli Avvalorati)
Edicola in via Verdi 133
Edicola in via Meyer 89 (p. Attias)
Edicola in via Curiel di fronte al circolo Arci (Stagno – Colleslvetti)

Dieci anni dalla rivoluzione tunisina. Un esempio ancora vivo

Quattro giorni di quarantena hanno segnato il decennale della rivoluzione tunisina. Ma il divieto di manifestare a Tunisi e nel resto del paese non ha fatto che riaccendere le proteste. Il fuoco della rivoluzione non si è ancora spento.

Le rivolte di oggi

Il traballante governo conservatore guidato da Hichem Mechichi ha deciso di usare il pugno di ferro e ha schierato anche i mezzi blindati dell’esercito per far rispettare quello che subito è stato chiamato un “lockdown politico”. Il 20 gennaio, dopo 6 giorni di manifestazioni e scontri, erano già oltre 1000 gli arresti da parte della polizia, ma il numero è in crescita e le proteste ad oggi [24 gennaio] stanno continuando. Alcune persone sarebbero state rilasciate, ma in molti casi sono già state emesse condanne severe di carcerazione nei confronti di giovani e giovanissimi arrestati in questi giorni. Intanto continuano le violenze poliziesche, con brutalità nelle strade, irruzioni e arresti all’interno delle abitazioni, l’uso massiccio di candelotti lacrimogeni ha provocato feriti anche molto gravi.

Il governo ha cercato di delegittimare le proteste attraverso i media, parlando di vandalismo e spargendo menzogne, mettendo in campo modelli di propaganda ben collaudati nelle democrazie e nelle dittature di tutto il mondo. Il Ministro della difesa tunisino Ibrahim Al-Bartaji ha ipotizzato che potrebbero essere “mani straniere” a dirigere le proteste, mentre il premier Mechichi ha fatto appello ai giovani a restare a casa, perché il governo penserà a risolvere i loro problemi, mentre le proteste rischiano di essere infiltrate da “sabotatori” e “anarchici”.

Sono soprattutto le più giovani e i più giovani a scendere in strada, quelli che erano poco più che bambini nel 2011. La “generazione sbagliata”, la generazione per cui la rivoluzione avrebbe dovuto essere la promessa di una vita diversa da quella dei loro genitori, delle loro sorelle e fratelli più grandi. Per questo si manifesta nel centro di Tunisi, per questo ogni sera si scende in strada nei quartieri periferici della capitale e delle altre grandi città, dove gli scontri sono più duri. In un paese in cui quasi il 40% della popolazione ha meno di 25 anni, circa un terzo dei giovani è disoccupato. Ma non è un conflitto generazionale. Quella che continua ad allargarsi nella realtà tunisina è una frattura sociale, tra popolazione povera, esclusa, diseredata e le classi dominanti. Da questo nasce la nuova ondata di proteste, che si lega ai movimenti del 2018 e del 2016. Ancora una volta l’anniversario della rivoluzione diviene occasione per rimettere al centro quella questione sociale che non ha trovato soluzione con la fine del regime.

La rottura del 2011

Il 14 gennaio 2011 il Presidente della Repubblica di Tunisia Zine El-Abidine Ben Ali fuggiva in Arabia Saudita. Erano bastate poche settimane per porre fine a un regime durato 23 anni. L’ondata di proteste che portò alla sua caduta era iniziata il 17 dicembre 2010; quel giorno davanti alla sede del governatorato di Sidi Bouzid il giovane ambulante Mohamed Bouazizi si era dato fuoco, come estrema azione di protesta, dopo che la polizia aveva per l’ennesima volta cercato di estorcergli denaro sequestrandogli il carretto e le verdure, suo unico mezzo di sostentamento. Un gesto che aveva catalizzato le tensioni presenti in un società piegata dalla disoccupazione e dall’autoritarismo, in cui i più giovani e i più poveri iniziavano a pagare il conto delle riforme finanziarie, intraprese dal governo intorno al 2000 su pressione del FMI e accelerate in seguito alla crisi del 2008. Si accese così la rivolta contro la dittatura, l’arroganza e la corruzione del potere, per migliori condizioni di vita, per la libertà di associazione e di parola.

Nel 1987 era stato il SISMI, il ramo militare dei servizi segreti italiani, per volere di Craxi e Andreotti, a preparare il colpo di stato “medico” che portò al potere Ben Ali, deponendo il vecchio Bourghiba ritenuto ormai inadeguato alla presidenza. Finalmente l’insurrezione popolare nel 2011 metteva fine alla dittatura.

Quella del 2011 è stata chiamata “rivoluzione dei gelsomini”, una rivoluzione incompiuta. Perché le potenze europee hanno potuto riprendere il controllo sul paese imbrigliando un movimento insurrezionale di massa nelle dinamiche elettorali. Perché troppi esponenti del vecchio regime hanno mantenuto posizioni di potere e si sono riciclati nel nuovo sistema pluripartitico. Perché le aspirazioni di cambiamento sociale profondo e radicale sono state soffocate. La rivoluzione è incompiuta non perché lo dice qualche fazione politica, ma perché la fine del regime di Ben Ali non ha significato la fine delle “liste nere” che impedivano ai vecchi dissidenti di accedere a certi lavori, perché l’arroganza della polizia continua mentre le istanze di libertà, di autorganizzazione e di autodeterminazione sono represse, perché le donne nelle zone rurali come nei centri urbani continuano a vivere in condizioni di estremo sfruttamento, perché i giovani continuano ad essere schiacciati dalla disoccupazione, a lottare per sopravvivere, oppure costretti a emigrare, o spinti tra le braccia della criminalità organizzata e dei gruppi islamisti.

Tuttavia questo non deve indurre a sminuire l’importanza del movimento insurrezionale che ha rovesciato il regime di Ben Ali. Anche se incompiuta la rivoluzione tunisina ha avuto una portata epocale, perché la rottura è stata segnata dalla lotta delle classi popolari, che hanno con la propria forza non solo posto fine a una dittatura ma anche organizzato autonomamente in certi casi, come in alcune zone di Tunisi, la gestione dei quartieri. È in questo processo che escono dalla totale illegalità alcune tendenze della sinistra rivoluzionaria mentre altre emergono e si organizzano, si creano movimenti di base, spazi autogestiti, atelier artistici e centri culturali. Nella vivacità di questa fase si creano anche le prime basi di un movimento anarchico tunisino.

La forza dell’esempio spaventa le potenze europee e atlantiche, per questo intervengono in senso controrivoluzionario nei paesi della sponda sudorientale del Mediterraneo, anch’essi scossi agli inizi del 2011 da quell’ondata di rivolte che prese il nome di “primavera araba”. In Libia i bombardamenti e l’intervento di Italia, Francia, UK e USA, azzerano il ruolo delle proteste popolari e favoriscono un innalzamento del conflitto tale da aprire la strada, dopo la caduta di Gheddafi, alla guerra vera e propria per il controllo del paese. In Egitto dopo la rivolta che segna la caduta di Mubarak le potenze regionali e mondiali sostengono, contro ogni prospettiva di liberazione, le diverse forze autoritarie in campo, l’esito è una dittatura militare. La Siria, anch’essa scossa dalle proteste, viene trasformata in un enorme campo di battaglia tra gli stati, un grande gioco, giocato con armi da guerra, in cui sono schiacciate le più vivaci forme di autorganizzazione popolare. Solo l’esperimento politico e sociale del Rojava nel nord della Siria resiste a questa stretta controrivoluzionaria, pur nelle enormi contraddizioni del contesto bellico, grazie alle sue forze di autodifesa, pagando un prezzo altissimo in morti, feriti, profughi, distruzione, ed ancora è sotto attacco.

Ma la rottura del 2011 ha una portata più vasta che non deve essere trascurata. La crisi economica del 2007-2008 e le conseguenti politiche antiproletarie e autoritarie adottate a livello globale esasperano la crisi di legittimità del potere politico già in atto da tempo. E mentre sulle sponde sudorientali del Mediterraneo i vecchi sistemi politici autoritari vengono rovesciati, pure nei cosiddetti paesi democratici, al di là del mare, come in Grecia, Spagna e Italia, sorgono movimenti di massa che contestano anche molto duramente l’élite politica ed economica. In questi paesi non si verifica una rottura dell’ordinamento, anche perché molti partiti che compongono tali movimenti dipendono proprio dalla continuità del sistema politico. Un vicolo cieco, perché i governi democratici di questi paesi, sempre più autoritari, rimarranno sordi anche alle più semplici rivendicazioni economiche. Si assiste comunque in quel periodo a grandi movimenti, che non solo si scagliano contro le politiche antiproletarie di austerità, ma che portano avanti anche istanze alternative, pur se spesso contraddittorie, di gestione dal basso, autogoverno, democrazia diretta.

Un esempio vivo

Oggi, in una globale accelerazione dei processi autoritari, dalle sponde del Mediterraneo continuano ad arrivare segnali inquietanti. Ad Atene a novembre scorso sono state vietate, con la giustificazione della prevenzione del contagio da coronavirus, le manifestazioni per ricordare la rivolta del Politecnico del 1973, chi manifestava è stato picchiato, arrestato, multato, mentre giunge la notizia che sarà creato uno speciale corpo di polizia incaricato di intervenire nelle università. A Istanbul poche settimane fa il governatore del distretto ha vietato, sempre per ragioni sanitarie, le manifestazioni nelle aree interessate dalle proteste antigovernative degli studenti della Università Boğaziçi. In Slovenia, anche qui come misura anticontagio, è vietata e perseguita ogni forma di manifestazione, e il ROG una delle principali strutture occupate di movimento nella capitale Ljubljana è stato sgomberato. In Italia la libertà di manifestare è strettamente limitata, molte sono le persone multate per aver partecipato anche a semplici presidi, mentre in molte città la polizia sta eseguendo sgomberi di spazi occupati e autogestiti. In Francia con una nuova legge si vuole garantire l’impunità della polizia e creare una nuova forza speciale antisommossa.

È in questo quadro generale che anche in Tunisia il governo ha dichiarato la quarantena vietando le manifestazioni per l’anniversario della fuga di Ben Ali e per i giorni successivi, giornate che negli ultimi anni sono sempre diventate un’occasione per riaccendere la protesta sociale. Martedì 12 gennaio il Ministro della salute Fawzi Al-Mahdi aveva annunciato che da giovedì 14 a domenica 17 sarebbe entrata in vigore una quarantena completa su tutto il territorio nazionale per rallentare la diffusione del contagio da coronavirus. Ciò ha significato coprifuoco dalle 16 del pomeriggio alle 6 di mattina, divieto di manifestazioni e chiusura delle scuole e di tutte le attività. Sono ovviamente rimaste attive le industrie del settore petrolifero, chimico e energia, comprese le miniere di fosfato di Gafsa. Da marzo 2020 la Tunisia, che ha subito in autunno una rapida crescita del contagio da coronavirus, mantiene misure di quarantena, ma è proprio nei giorni intorno all’anniversario della rivoluzione che tali misure hanno subito una stretta eccezionale. Pur criticando la scelta del governo, la maggior parte delle organizzazioni, compreso il sindacato UGTT, ha rinunciato ad ogni manifestazione. C’è chi però è sceso comunque in piazza, scontrandosi anche con la polizia, prima la mattina del 14 gennaio nel centro di Tunisi, nella Avenue Bourghiba simbolo della rivoluzione, poi nei quartieri periferici e in altre città, in particolare a Sousse e a Bizerte. Queste proteste ci riguardano direttamente, sia per il ruolo ingombrante dello stato italiano in Tunisia, sia perché ci ricordano che ovunque è urgente reagire al disastro sociale imposto dai governi.

Dopo dieci anni l’insurrezione tunisina è ancora un esempio. E lo è più che mai in tempi in cui la classe lavoratrice, sfruttata e oppressa, è la più colpita dalla pandemia e al contempo la più impegnata ad arginarla. In tempi in cui il ricatto imposto dai padroni – virus o miseria – è più barbaro che mai. In tempi in cui gli spettri autoritari tornano alla ribalta in carne e ossa. Oggi il coraggio e la determinazione di chi rovesciò la dittatura in Tunisia è un esempio che sta anche a noi mantenere vivo.

Dario Antonelli

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Solidarity to Rog!

Solidarity to Rog!!

 

Il 19 gennaio a Lubiana in Slovenia è stato sgomberato con violenza l’Avtonomna tovarna Rog. La brutalità dello Stato e del capitale non possono cancellare 15 anni di lotte e solidarietà. Il Rog era uno spazio artistico culturale e sportivo libero dalle logiche di mercato, autoritarie e patriarcali. È stato centrale per il movimento in Slovenia e ha sostenuto iniziative internazionali a cui molt* di noi hannno partecipato. Siamo al fianco de* compagn* che in questi giorni stanno resistendo nelle strade di Lubiana. Anche in Italia, approfittando dell’emergenza sanitaria, gli apparati repressivi dello Stato sgomberano spazi occupati e autogestiti. Da Pisa a Torino, da Roma a Firenze, esperienze diverse sono state attaccate nelle ultime settimane nel vano tentativo di eliminare spazi autogestiti e pratiche di lotta. In questa fase è ancora più importante difendere gli spazi di movimento e farne vivere di nuovi.

Per ogni sgombero una nuova occupazione!

 

Collettivo Anarchico Libertario

Federazione Anarchica Livornese – FAI

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Rivolte e poteri: la crisi degli Stati Uniti – assemblea dibattito online

iniziativa a cura della FAL

Rivolte e poteri: la crisi degli Stati Uniti – assemblea dibattito online

20 gennaio h 21
per partecipare scrivi a cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

La nuova presidenza degli Stati Uniti si apre con il crescente ruolo delle forze armate nel garantire il funzionamento della macchina statale. È un ulteriore segnale dell’aggravarsi della crisi sociale negli USA, che ha visto momenti drammatici con le manifestazioni di protesta contro gli assassinii e le violenze della polizia, brutalmente represse dalla precedente amministrazioni e dalle organizzazioni paramilitari protette da Trump. Le tensioni sociali trovano origine nella crisi economica che si trascina in modo altalenante dal 2008 e senza vie di uscita a breve, tanto che alcuni economisti parlano di stagnazione secolare. Questi fenomeni non potranno non avere ripercussioni sul ruolo dell’imperialismo angloamericano nel mondo e sugli equilibri di forza su scala globale, quindi anche all’interno dei singoli Stati come l’Italia.

La Federazione Anarchica Livornese organizza un’assemblea-dibattito on line su questi temi per il giorno 20 gennaio alle ore 21.

Parteciperà il compagno Lorenzo Coniglione, della redazione di Umanità Nova.

Chi fosse interessato a partecipare può inviare una mail all’indirizzo cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

 

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A Viareggio come a Livorno: istituzioni e padroni protetti dalla magistratura La lotta non va in prescrizione

A Viareggio come a Livorno: istituzioni e padroni protetti dalla magistratura

La lotta non va in prescrizione

La sentenza della Cassazione dell’8 gennaio 2021 sulla strage di Viareggio del 29 giugno 2009 ha garantito l’intoccabilità delle istituzioni, dei funzionari dirigenti e dei manager aziendali. È stato dichiarato prescritto il reato di omicidio colposo plurimo con l’eliminazione dell’aggravante di incidente sul lavoro che aveva finora evitato la prescrizione. Non potranno quindi più essere giudicate per tale reato Trenitalia, Rfi, Gatx Rail Austria, Gatx Rail Germania, Jungenthal Waggon, Mercitalia Rail, le aziende responsabili per la sicurezza della linea ferroviaria e dei vagoni del convoglio di GPL che quella notte a causa della mancanza di controlli e manutenzione deragliò, uccidendo in una disastrosa esplosione 32 persone, bruciate vive nelle proprie case o in strada. In particolare la sentenza della Cassazione ha tutelato Mauro Moretti, ex amministratore delegato di FS e RFI, che dal 2009 ad oggi ha continuato a far carriera nei colossi a controllo statale, guidando anche Leonardo – Finmeccanica. Ma soprattutto la sentenza rischia di permettere che simili stragi accadano di nuovo. L’eliminazione dell’aggravante di incidente sul lavoro infatti, crea un pericoloso precedente per la tutela della sicurezza di tutte e tutti, garantendo in simili casi l’impunità per chi è responsabile della sicurezza.

Già a inizio dicembre il Tribunale di Firenze aveva respinto la causa civile promossa dai familiari delle vittime del Moby Prince, che chiedevano, accusando lo Stato, di vedere riconosciuta la responsabilità della Capitaneria di Porto per non aver garantito la sicurezza della navigazione nella rada del porto di Livorno e per non aver non aver portato i soccorsi al traghetto.

Negli anni la risposta della magistratura alla richiesta di verità e giustizia dei familiari delle vittime di queste stragi è stata la stessa. Un muro al riconoscimento delle responsabilità dei vertici aziendali e istituzionali.

Per questo è importante sostenere la battaglia dei familiari delle vittime e delle associazioni che giorno dopo giorno continuano a far sentire la propria voce, rendendo possibile che nella società si affermi quella verità che è negata nelle aule di tribunale.

Solidarietà ai tutti i familiari delle vittime delle stragi, in particolare della strage del Moby Prince e di Viareggio, i casi che hanno segnato più tragicamente il nostro territorio. Solidarietà a tutti coloro che sul luogo di lavoro subiscono intimidazioni, sanzioni, licenziamenti a causa del proprio impegno in difesa della sicurezza di tutte e tutti.

Collettivo Anarchico Libertario

Federazione Anarchica Livornese

11/01/21

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Arresti a Istanbul: Lo stato è il terrore, noi non abbiamo paura

Arresti a Istanbul. In reazione alle proteste studentesche all’università Boğaziçi la polizia ha tratto in fermo 39 studenti con una violenta operazione repressiva. Tra questi anche due compagni Zeynel Çuhadar e Ridvan Planet, e una compagna, Misra Sapan, della Anarşist Gençlik. Un primo gruppo di 25 studenti arrestati ha avuto oggi la sentenza di convalida dell’arresto, e sono stati rilasciati in attesa del processo, mentre gli altri 14, tra cui anche i nostri compagni, affronteranno domani la sentenza.
Di seguito il comunicato della Anarşist Gençlik che sarà domani 8 gennaio con le altre organizzazioni giovanili e studentesche di fronte al tribunale per manifestare in solidarietà con i compagni arrestati

Lo stato è il terrore, noi non abbiamo paura

Questa mattina [6 gennaio], il Governatore di Istanbul ha annunciato che tutte le manifestazioni a Beşiktaş e Sarıyer sono state proibite. Comunicando la decisione sul suo account twitter, il Governtore ha affermato “Tutti i tipi di incontri, manifestazioni o marce sono proibite in questi distretti, considerando che potrebbero influenzare negativamente gli sforzi per proteggere la società dall’epidemia e per prevenire la diffusione dell’epidemia.”
Diciamo chiaramente quello che evitano di dire. È la paura a creare questi divieti. La paura del collasso dell’AKP cresce giorno per giorno. Come cresce la paura, crescono anche i divieti. Questa paura non è iniziata oggi. Quelli che hanno resistito a Gezi park, a Kobani; Quelli che sono scesi in strada dopo le bombe esplose a Amed, Suruç e Ankara sono diventati la vera paura dello stato. In tutti gli anni precedenti lo stato li ha attaccati e banditi per paura. Il coraggio di quelli che hanno resistito si è trasformato in lotta.
Diciamolo ancora, ogni divieto è un segno di paura. La gioventù era di fronte all’università contro il rettore fiduciario dell’Università Boğaziçi nominato dal presidente [Erdoğan] il 4 gennaio 2021. C’era la rabbia di migliaia di giovani che esigevano giustizia in faccia alla polizia. Questa determinazione e questa rabbia hanno spaventato il rettore fiduciario nominato Melih Bulu e i suoi incaricati. Questi, spaventati, hanno attaccato i giovani. Con bastoni, scudi, proiettili di gomma e cannoni ad acqua. Pensavano che i giovani avrebbero avuto paura e che sarebbero fuggiti terrorizzati. Ma nessuno è fuggito via. I giovani hanno spinto, e hanno spinto ancora, mentre la polizia ha cercato di proteggersi chiudendo assurdamente i cancelli dell’Università Boğaziçi con delle manette.
Quelli che temevano il lunedì non hanno aspettato fino a mercoledì. Noi che siamo stati dichiarati dai media di stato una “organizzazione terroristica” abbiamo ripetutamente detto che è lo stato la vera “organizzazione terroristica”. Lo stato ha attivato il terrore poliziesco lunedì sera, martedì notte e mercoledì mattina. Nel giro di 2 giorni le case di quasi 40 dei nostri amici sono state invase e perquisite dalla polizia, e chi tra loro era ricercato è stato arrestato con violenza e tortura. Le torture e le minacce ai nostri amici che sono stati detenuti per due giorni continuano ancora oggi. Questo è terrore. Irruzioni, arresti e torture continuano con la lista dei ricercati ancora nelle loro mani.
Non abbiamo paura di irruzioni, torture e divieti. Il vostro terrore non ci spaventerà. Cammineremo su di voi con coraggio
Voi ve ne andrete, noi resteremo! Vinceremo!

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Presidio – Rompiamo il silenzio!

Presidio di fine anno
Rompiamo il silenzio!
Giovedì 31 dicembre alle ore 18
Di fronte al Carcere “Le Sughere” di Livorno
Via delle Macchie, 9
Saremo presenti giovedì 31 dicembre davanti al carcere de Le Sughere, la Casa Circondariale di Livorno, per far sentire la nostra vicinanza a tutt* coloro che in questa fase segnata da crisi sanitaria, autoritarismo e impoverimento si trovano privati di libertà dentro una cella.
Tra il 9 e il 15 marzo scorso, con le drastiche restrizioni del cosiddetto “Lockdown”, in oltre 25 strutture carcerarie italiane sono iniziate proteste contro il sovraffollamento e le disumane condizioni igieniche a cui sono quotidianamente costrette le persone recluse. Condizioni già degradanti ma ancora più gravi e pericolose nel contesto di una pandemia. In alcune carceri ci furono vere e proprie rivolte, le parole scritte sugli striscioni erano chiare “indulto”, “amnistia”, “libertà”.
Il governo ha risposto con la violenza, facendo intervenire l’antisommossa, i GOM, l’esercito. Ci sono stati 14 morti, nei carceri di Modena, Bologna e Rieti.
La propaganda di polizia ha parlato di 14 casi di overdose. Già nei giorni successivi, nonostante le restrizioni denunciammo che la responsabilità delle autorità e del governo era chiara dal momento che già si sapeva che alcuni detenuti erano morti durante o dopo il trasferimento in altre carceri.
Negli ultimi tempi la denuncia dei pestaggi e delle omissioni di soccorso da parte di un gruppo di cinque persone detenute ha rotto il silenzio che era calato sulla strage nelle carceri di marzo.
Saremo quindi davanti al carcere di Livorno per far sentire la nostra presenza e affermare ancora Dignità e Libertà!
Collettivo Anarchico Libertario
Ex Caserma Occupata
Federazione Anarchica Livornese

 

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Foto della manifestazione contro gli sfratti a Livorno

Ieri a Livorno circa 200 persone in corteo per la proroga del blocco a sfratti sgomberi e pignoramenti. In questi giorni governo e parlamento hanno deciso di non prorogare. Il blocco finirà il 31 dicembre 2020 in piena emergenza sanitaria.

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Sostieni le compagne e i compagni livornesi sotto processo!

Libertà e solidarietà! Sostieni le compagne e i compagni livornesi sotto processo!
I primi mesi del 2021 saranno segnati da un’intensificazione delle udienze e dall’apertura di nuovi processi per i procedimenti giudiziari che coinvolgono compagn* delle varie realtà di movimento livornesi.
Ad essere posta sotto processo è la quotidiana attività politica e sociale di decine di persone, sono le pratiche di lotta di collettivi, gruppi politici, spazi autogestiti, organizzazioni sindacali. Si parla dell’attività del movimento di lotta per la casa, che in questi anni ha permesso a centinaia di persone di avere un tetto sopra la testa; della lotta alla speculazione per la riappropriazione e l’autogestione degli spazi verdi in città, come nel caso degli Orti Urbani; ma anche della rivendicazione della libertà di manifestazione e di espressione, come nel caso dei fatti del dicembre 2012 in Piazza Cavour e delle cariche di polizia per rimuovere lo striscione di Effetto Refugio nell’estate 2018.
Anche l’attività antifascista è stata posta sotto processo con particolare zelo. Un esempio è il processo per manifestazione non autorizzata nei confronti di quattro compagn* per un semplice volantinaggio contro il fascista Alemanno, quando si presentò a Livorno al Grand Hotel Palazzo nel luglio 2017. Tra gli imputati in questo caso c’è anche un compagno del Collettivo Anarchico Libertario.
Altro processo all’antifascismo è quello che vede 42 persone imputate, dai minorenni agli ultrasettantenni, per la contestazione del febbraio 2018 a Giorgia Meloni, venuta a Livorno a fare propaganda per il suo partitino fascista, Fratelli d’Italia. Pochi giorni prima a Macerata un fascista candidato l’anno precedente per la Lega feriva 6 persone nere sparando dalla sua auto per le strade della città nel tentativo di compiere una strage razzista. Meloni fu tra coloro che negarono ogni matrice razzista e fascista dell’attacco, definendo Luca Traini, lo sparatore, come uno “squilibrato”. In tutto il paese si assisteva a una forte mobilitazione antifascista, i comizi e le iniziative elettorali della Lega e di Fratelli d’Italia per le elezioni legislative venivano contestate in ogni città. Anche a Livorno, il 13 febbraio, la passerella che la Meloni sperava di fare in Piazza Garibaldi fu vivacemente contestata. Quella piazza e il quartiere popolare alle sue spalle, dove molte persone vivono alla giornata, è da anni al centro delle attenzioni dei partiti della destra fascista che, alla disperata ricerca di consensi, giocano la carta del razzismo sostenendo quei commercianti e quei proprietari che vedono nell’espulsione della parte più povera degli abitanti del quartiere, la panacea per i propri affari e speculazioni. In questi anni però le passerelle dei vari politici razzisti su queste strade sono più o meno sempre finite tra le contestazioni.
Anche nel febbraio 2018, nonostante l’arrivo della Meloni fosse stato annunciato dai giornali solo quella stessa mattina, oltre duecento persone si ritrovarono spontaneamente nella piazza e nelle strade circostanti per far capire che personaggi come quelli non erano graditi, specie in un quartiere dalle forti radici antifasciste. Le autorità hanno voluto punire chi è sceso in piazza denunciando 42 persone per adunata sediziosa, resistenza e altri reati minori, nonostante la contestazione, forte e vivace, si sia sempre mantenuta sul piano verbale. Inizialmente il Tribunale di Livorno aveva emesso per tutt* dei decreti penali di condanna, rito che, salvo opposizione, elimina ogni possibilità di difesa e dibattimento dal momento che viene emessa in anticipo alla fase di giudizio una condanna pecuniaria. In questo caso 42 antifascist* erano stat* condannat* a pagare un totale di 200000 euro. Quasi tutte le persone imputate hanno presentato opposizione al decreto, pertanto si deve svolgere un processo la cui prima udienza, inizialmente prevista per lo scorso 11 novembre, è fissata al 3 marzo 2021. Anche quattro compagn* della Federazione Anarchica Livornese e del Collettivo Anarchico Libertario sono imputat*.
Gli antifascisti sotto processo rivendicano la libertà di espressione e di contestazione, di fonte ad una vera e propria provocazione nei confronti della città e del quartiere popolare che è stato teatro dell’episodio. Per molti antifascisti è una provocazione la stessa esistenza di un partito, Fratelli d’Italia, che ha nel simbolo la fiamma che esce dalla tomba di Benito Mussolini, il capo di quella associazione a delinquere che fu il fascismo.
Per sostenere gli imputati e far fronte ai procedimenti repressivi in corso a Livorno, è stato aperto un crowdfounding a questo indirizzo:
La solidarietà è un’arma, usiamola!
Federazione Anarchica Livornese
Collettivo Anarchico Libertario
14/12/2020

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