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Bielorussia, analisi di una protesta

Bielorussia, analisi di una protesta

Un’ondata di proteste di massa scuote la Bielorussia. Lo scorso 9 Agosto le elezioni presidenziali hanno, come era prevedibile, riconfermato nel suo sesto mandato Aleksandr Lukašenko, in carica da ormai 26 anni. Da tre settimane ogni giorno scioperi e manifestazioni in tutto il paese contestano la regolarità delle elezioni e chiedono le dimissioni di Lukašenko. Ma le proteste hanno radici profonde, la crisi economica che il paese sta attraversando negli ultimi anni ha prodotto delle crepe nel sistema di governo che, con l’emergenza coronavirus e il collasso idrico della capitale, sono diventate vere e proprie fratture tra la società e il potere politico, portando allo scoperto l’insofferenza di gran parte della popolazione verso un potere personale che dura ormai da più di un quarto di secolo.

Già la sera del 9 agosto ci sono state manifestazioni non solo nella capitale, Minsk, ma in 33 località, come indicato dalle stesse autorità del paese. Le forze di sicurezza del governo hanno risposto con violenza alle manifestazioni, e già quella prima sera c’è stato un morto accertato tra i dimostranti, circa 3000 arresti e 200 feriti.

Le proteste sono cresciute nei giorni successivi e già dal 10 agosto operai e minatori hanno avviato un movimento di sciopero che ha dato grande forza alle proteste. Le autorità hanno cercato di soffocare il movimento di sciopero con arresti dei comitati di sciopero e serrata degli impianti produttivi ed estrattivi delle aziende a controllo statale. Gli stati dell’Unione Europea, gli USA e la Russia hanno grandi interessi in gioco e stanno facendo le proprie mosse per conquistare la propria posizione nel futuro della Bielorussia. Ma l’opposizione liberale non esprime una chiara leadership e non c’è al momento una forza egemone in grado di guidare i processi in atto. Nelle manifestazioni ci sono varie tendenze. Il movimento anarchico, che è una minoranza nella situazione attuale, è presente nelle manifestazioni e negli scioperi con posizioni specifiche. Il gruppo anarchico bielorusso Pramen nella prima settimana di proteste ha formulato cinque rivendicazioni che potessero essere fatte proprie dal movimento di protesta:

1. Dimissioni di Lukašenko, del parlamento e di tutti i ministri

2. Liberazione e amnistia per tutti i prigionieri politici

3. Scioglimento della polizia speciale antisommossa e di tutte le forze di sicurezza responsabili della violenza nelle strade del paese

4. Democrazia diretta – Il popolo deve essere incluso il più possibile nei processi decisionali importanti

5. Reintegro di tutti coloro che sono stati cacciati da lavoro a causa della loro partecipazione nelle proteste

Va considerato che nel contesto bielorusso, in cui la semplice propaganda anarchica scritta è perseguita duramente in base alle leggi contro l’estremismo politico, “democrazia diretta” è un concetto che gli anarchici utilizzano sia per aggirare la repressione delle autorità, sia per distinguersi in modo radicale dalla generica richiesta di “democrazia” dell’opposizione liberale. Queste rivendicazioni, che sono state diffuse attraverso internet, social network, ma soprattutto con cartelli e volantini durante le manifestazioni, sono solo un esempio dell’attività svolta nelle proteste dal movimento anarchico. Nelle loro diverse componenti gli anarchici bielorussi hanno partecipato agli scioperi, lavorando per l’estensione del movimento di sciopero, hanno preso parte alle manifestazioni portando proposte concrete sul piano non solo delle rivendicazioni, ma anche della solidarietà, delle tattiche, della difesa delle manifestazioni dagli attacchi della polizia, della costruzione di spazi autonomi, decisionali, per permettere la maturazione dello stesso movimento di protesta.

Queste informazioni non sono difficili da reperire consultando il sito del gruppo Pramen [https://pramen.io/en/], della Anarchist Black Cross Belarus [https://abc-belarus.org/?lang=en], e i profili twitter di questi due gruppi.

Come è comprensibile c’è molta attenzione su quanto sta accadendo in Bielorussia. Dall’Europa occidentale e dall’Italia non è facile comprendere gli eventi, la Bielorussia è un paese di cui i media mainstream parlano poco o per niente, noto solo per essere un satellite della Russia. Vi sono anche molti timori che possa ripetersi quanto accaduto in Ucraina tra 2013 e 2014, quando le proteste popolari contro il presidente in carica furono con la violenza egemonizzate da gruppi paramilitari neonazisti, e il paese divenne terreno di una vera e propria guerra tra l’imperialismo russo, quello statunitense e quello degli stati europei. La situazione attuale della Bielorussia però è diversa da quella in cui si trovava l’Ucraina, così come la storia recente dei due paesi, inoltre in questi anni il contesto internazionale è in parte mutato. Per comprendere la situazione, discuterne e non restare a guardare, è sempre bene ricordare che, soprattutto là dove esistono legami di solidarietà, l’attenzione deve essere rivolta a sostenere chi in tali contesti fa emergere istanze di liberazione sociale, protagonismo degli sfruttati e della classe lavoratrice, e non al mantenimento degli equilibri tra le potenze, alle esigenze del mondo multipolare, agli indirizzi geopolitici degli Stati.

In questo senso, per comprendere meglio il processo in corso è importante chiarire tre cose: In Bielorussia c’è una dittatura; c’è un reale malcontento sociale alla base delle proteste; nelle proteste ci sono componenti che possono essere sostenute in una prospettiva internazionalista di liberazione sociale.

In Bielorussia Lukašenko si è mantenuto così a lungo al potere costruendo un modello di governo autoritario e paternalistico, basato da una parte sul consenso assicurato del cosiddetto “boom economico” bielorusso a cavallo tra gli anni ‘90 e 2000, dall’altra sulla brutale repressione operata dagli apparati di polizia. Soprattutto ai danni dei nostri compagni, gli anarchici, ma anche altre organizzazioni antifasciste e la sinistra radicale, sono perseguitati, possono essere incarcerati e condannati anche per semplice propaganda, chi viene arrestato subisce torture e minacce di ritorsioni verso i propri cari. Per questo il regime autoritario di Lukašenko è una dittatura a tutti gli effetti. Non per gli standard delle democrazie europee, che non solo hanno sostenuto in questi anni il regime bielorusso, ma stanno anche adottando forme sempre più autoritarie, e pratiche violente per colpire i movimenti di protesta. La stessa Bielorussia ha in realtà preso diligentemente esempio proprio dalle “democrazie occidentali”, dagli USA e dagli stati europei, per inasprire le norme repressive. La legge “contro l’estremismo” in vigore in Bielorussia dal 2007 punisce la pubblicazione e la diffusione di materiale considerato estremista dalle autorità ed è il principale strumento di persecuzione degli oppositori politici. Questo dispositivo che è entrato poco dopo anche nell’ordinamento russo, discende in modo diretto dalle leggi antiterrorismo statunitensi che dal 2001 hanno ridotto arbitrariamente la libertà di espressione in nome della sicurezza nazionale, e che trovano corrispettivi in tutti i paesi “occidentali”. In particolare trova delle corrispondenze nella campagna “contro l’estremismo” attuata negli ultimi anni nel Regno unito sulla base del “Terrorism act” del 2006. Questa repressione non è orientata solo nei confronti dei militanti più radicali, delle organizzazioni di cui fanno parte o delle pubblicazioni che diffondono. La legge contro l’estremismo, insieme ad altri dispositivi repressivi, è impiegata dalle autorità per fare arresti tra i lavoratori, per colpire delle proteste di piazza, per compiere retate nei festival e nei concerti e incarcerarne i partecipanti. Sono strumenti repressivi che il potere impiega anche per colpire quindi ampi contesti aggregativi, in ambito lavorativo, sociale e culturale. Ma il governo della paura e della violenza non può che generare insofferenza, e ogni potere personale, ogni regime autoritario è destinato a cadere.

Le attuali proteste in Bielorussia non sono state una sorpresa, le ragioni non sono da ricercare nella semplice rielezione di Lukašenko, ma nella seria crisi del suo modello di governo. Per anni gli accordi energetici con la Russia hanno assicurato grandi profitti alla burocrazia bielorussa, e hanno permesso di garantire una certa coesione sociale, e dunque una stabilità del potere politico. La crisi di questo modello conseguente al riorientamento degli investimenti energetici russi ha portato a una crisi economica che Lukašenko e il suo entourage hanno provato a fronteggiare attraverso una politica di autonomia dalla Russia, con conseguente apertura agli USA, all’UE e ad altri mercati energetici. In questo processo le condizioni di vita e di lavoro della popolazione sono state compresse, sono state messe in discussione le garanzie sociali su cui si basava la coesione del modello bielorusso.

Il malcontento sociale non ha trovato però veri portavoce nella larga opposizione liberale e democristiana, perché la svolta “occidentale” di Lukašenko ha in parte diviso le opposizioni liberali. Una parte di esse aveva infatti abbandonato la lotta politica contro il governo, ritenendo che fosse meglio sostenere Lukašenko contro Putin e l’influenza russa, mentre molte ONG che svolgevano attività critiche nei confronti del governo, negli ultimi anni hanno perso i finanziamenti dalla UE e dagli USA, che avevano deciso di sostenere Lukašenko. L’emergenza coronavirus è stata determinante nell’inasprire il malessere presente nella società. Il governo ha infatti messo da parte il paternalismo e ha dichiarato il primato dell’economia sulla salute, disponendo che gli impianti produttivi non interrompessero l’attività.

In Bielorussia su quasi 10 milioni di abitanti, 5 milioni sono lavoratori salariati, di questi 2 milioni lavorano nell’industria. Questi lavoratori non solo sono stati abbandonati di fronte al coronavirus, costretti a produrre in nome del profitto, ma hanno visto spesso anche ridurre il proprio stipendio a causa della crisi prodotta dall’emergenza sanitaria, in alcuni casi anche del 20%. Allo stesso modo a giugno il collasso idrico di Minsk ha inferto un ulteriore colpo al consenso nei confronti delle istituzioni e del potere politico. In molti distretti della capitale, dopo denunce degli abitanti, l’acqua della rete idrica è stata dichiarata dalle autorità competenti non potabile, e inutilizzabile anche per lavarsi, a causa della contaminazione da idrocarburi e da altri inquinanti. In questo contesto però si sono anche formati gruppi autorganizzati per rifornire di acqua potabile ai quartieri che non potevano più accedervi. Allo stesso modo durante l’emergenza sanitaria lo slancio di solidarietà dal basso da parte di singoli, o di gruppi autorganizzati, per sostenere i lavoratori della sanità o per offrire un aiuto alle persone in difficoltà ha contribuito a dare alle persone una maggiore fiducia nell’efficacia dell’azione collettiva dal basso. Queste condizioni hanno portato poco prima delle elezioni all’emergere in modo diffuso dell’insofferenza nei confronti del potere di Lukašenko. Una spinta che le stesse forze dell’opposizione liberale non erano preparate a sfruttare a pieno con i propri candidati. Tanto che ad oggi, a tre settimane dalle elezioni e dall’inizio delle proteste, non esiste ancora una vera e propria leadership dell’opposizione, un vero anti-Lukašenko, così come le manifestazioni pur avendo una base nella cultura politica democristiana del paese, non registrano la presenza di forze organizzate che tentano di assumerne la guida o l’egemonia.

Un ruolo fondamentale in queste proteste lo hanno giocato e lo giocheranno gli operai, in particolare quelli delle grandi fabbriche statali di trattori, macchinari, mezzi pesanti e speciali, e i minatori, che come a Soligorsk, enorme centro estrattivo per il minerale di potassio di cui la Bielorussia è uno dei più grandi esportatori al mondo, sono entrati in sciopero. Per dieci giorni gli scioperi hanno dato forza e visibilità alla sollevazione in atto nel paese, chiedendo migliori condizioni di lavoro, aumenti salariali, liberazione degli arrestati durante le proteste, stop alle privatizzazioni, dimissioni di Lukašenko. Il presidente stavolta non è riuscito con compensazioni, o buone promesse, a riportare l’ordine, come era successo in passato. Le autorità hanno quindi provveduto all’arresto dei comitati di sciopero e alla serrata dal 24 agosto.

Anche a livello internazionale, si osserva da una parte che la crisi in poche settimane ha, almeno in parte, ricreato i vecchi schieramenti, con potenze “occidentali” critiche verso la repressione dei manifestanti attuata dal governo bielorusso da una parte, basti pensare alle sanzioni dell’UE, e dall’altra la Russia che offre la propria disponibilità a intervenire a sostegno della stabilità della Bielorussia. Dall’altra però le potenze prendono tempo, i media riportano dichiarazioni ambivalenti, ciascuno sta sicuramente facendo il proprio gioco ma la repressione degli scioperi è stata esclusa dalla narrazione dei diversi schieramenti imperialisti. Evidentemente è una questione che resta indigesta a molti. In Bieloussia quindi è in corso un’ondata di proteste, una rivolta, che risponde a un effettivo malcontento sociale, che vari soggetti stanno cercando di cavalcare, ma che al momento resta fluida.

Come ci si può rapportare quindi con quanto sta succedendo? Non vi sono in Bielorussia organizzazioni neonaziste paragonabili a quelle che hanno agito in Ucraina, né gruppi addestrati alla guerriglia urbana che possano essere assoldati dal potente di turno. Inoltre le proteste non sembrano al momento scalare verso un livello di conflitto tale da lasciare spazio a simili gruppi. Ci sono sicuramente forze di destra e nazionaliste tra i partiti di opposizione, ma non vi sono per ora forze apertamente fasciste. Al contempo gli anarchici e la sinistra radicale hanno agibilità nelle piazze, e sono presenti anche con i propri simboli e bandiere nelle manifestazioni. Tale agibilità non viene, per quanto è dato sapere, minacciata dall’interno delle proteste.

In una situazione in cui non è presente una leadership egemonica della destra è quindi molto importante sostenere coloro che nel difficile contesto delle proteste bielorusse portano una influenza rivoluzionaria e libertaria.

Al momento in cui scrivo [30/08/2020] la situazione è in evoluzione. È stato ritirato ieri l’accredito ai giornalisti stranieri e si prepara probabilmente una stretta da parte di Lukašenko. La strategia dello stato bielorusso per fermare le proteste sembra essere articolata in questo modo: dividere i manifestanti tra moderai e estremisti per escludere gli anarchici, che possono essere importanti per la difesa delle manifestazioni, e per isolare la sinistra radicale; stroncare il movimento di sciopero per colpire la vera forza delle proteste; bloccare le manifestazioni ma ridurre la visibilità della violenza della polizia. Probabilmente Lukašenko cerca una stabilizzazione della situazione per giungere ad un accordo. Negli ultimi giorni però le notizie dalla Bielorussia sono sempre meno, ed è difficile capire se questa strategia sia cambiata, e quali siano le tendenze attuali. Soprattutto se si considera che la situazione è instabile e può mutare molto rapidamente. In ogni caso, gli anarchici, i lavoratori, chi lotta per la liberazione sociale in Bielorussia ha e avrà bisogno di solidarietà, aiuto e sostegno.

Dario Antonelli

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Come i bielorussi sono giunti alla ribellione contro la dittatura

da: https://umanitanova.org/?p=12667

Come i bielorussi sono giunti alla ribellione contro la dittatura

11/08/2020

Se all’inizio del 2020 aveste chiesto alla gente in Bielorussia quanto tempo rimaneva alla dittatura di Lukashenko, vi avrebbero guardato come un pazzo. In una dittatura che si rispetti, queste domande non si fanno, perché si sa cosa può succedere. E in generale, si dà il caso che il regno del grande leader sia senza tempo. Ma la situazione è cambiata così radicalmente negli ultimi 8 mesi che i bielorussi sono scesi in strada e per la prima volta nella nuova storia della Bielorussia hanno combattuto la polizia in almeno 33 città diverse del Paese.

Oggi i bielorussi si sono svegliati in un nuovo Paese. La gente parla apertamente di odio per il governo e si prepara a un confronto violento con la polizia e lo Stato. Le persone discutono online e praticano metodi di lotta efficaci. Diverse fabbriche sono entrate in sciopero il giorno dopo le elezioni.

E anche se la commissione elettorale riferisce ancora una volta della vittoria del dittatore, obiettivamente parlando, Lukashenko ha perso le elezioni. Ha perso le elezioni non rispetto a un certo candidato, ma di fronte al popolo bielorusso, che ha detto che 26 anni sono stati sufficienti.

Come ha fatto la Bielorussia a trasformarsi da una dittatura stabile, dove vive il popolo più pacifico, in un centro di protesta in Europa?

Crisi economica e politica

Dal punto di vista economico, la Bielorussia non è un paese indipendente. Per molti anni il miracolo economico bielorusso è riuscito a sopravvivere solo a spese del petrolio a basso costo di Putin e dei trasferimenti diretti di denaro dal Cremlino. Nonostante il fatto che Lukashenko e Putin non sono amici, questo schema ha funzionato relativamente a lungo mentre il governo russo faceva il bagno nei soldi del petrolio.

Con il calo del prezzo dell’oro nero, il governo russo si è trovato di fronte alla questione della ridistribuzione delle risorse. I funzionari hanno cominciato a guardare con maggiore attenzione dove il denaro investito stava producendo qualche tipo di risultato. La Bielorussia non ha dato risultati particolari. Contrariamente a tutti gli investimenti, Lukashenko ha esteso la sua presa di potere e ha ostacolato l’integrazione della Bielorussia in Russia – un processo avviato negli anni ’90 durante Eltsin.

L’instabilità di Lukashenko negli ultimi 10 anni ha dimostrato che le autorità russe non possono fare molto affidamento su di lui. La svolta verso l’Occidente nel 2015 ha gettato benzina al fuoco della discordia tra Mosca e Minsk. All’inizio del 2020, Lukashenko si è trovato in una situazione molto difficile. I nuovi contratti per il petrolio e il gas sono diventati molto più difficili da concludere. Le autorità bielorusse volevano almeno alcune concessioni minime, ma la Russia era pronta a dare queste concessioni solo quando fosse stato attivato il progetto dello Unione Statale, con la moneta comune e altri punti per l’assorbimento della Bielorussia da parte della Russia.

Le difficoltà politiche con la Russia portano tradizionalmente a problemi economici nel Paese. Negli ultimi 5 anni Lukashenko ha cercato di neutralizzare questa dipendenza lavorando con l’Occidente, ma le sovvenzioni e i prestiti occidentali non possono tirare da soli l’economia bielorussa. All’inizio del 2020 il rublo bielorusso ha iniziato a crollare pesantemente al confronto con altre valute. Negli ultimi 20 anni, i bielorussi sono riusciti a sopravvivere a diverse ondate di simili crolli, la più grande delle quali nel 2011. La caduta del rublo bielorusso colpisce molti bielorussi provocando tra l’altro il calo dei loro guadagni reali. Inoltre, hanno cominciato a sorgere problemi con il pagamento degli stipendi presso le imprese statali.

Combattere il coronavirus con i trattori

Lukashenko ha spiegato che è a causa di problemi economici che la Bielorussia non può permettersi misure di quarantena contro il coronavirus. Se all’inizio dell’epidemia il dittatore continuava a gridare che i bielorussi avrebbero potuto evitare di essere contagiati con il lavoro nei campi e con la visita alla sauna, un mese dopo ha dovuto ammettere le vere ragioni della mancanza di quarantena.

Il coronvirus si è rivelato una delle sfide più gravi per la dittatura bielorussa,una sfida che ha perso. Invece del tipico populismo e della cura per la propria gente, le autorità hanno lasciato la popolazione a sé stessa.

L’assistenza medica in Bielorussia è nominalmente gratuita, ma molti servizi devono essere pagati, poiché non ci sono abbastanza soldi nel budget statale per i farmaci e le attrezzature mediche. In molti casi è stato impossibile effettuare il test per il coronavirus. Molti non potevano permettersi di stare a casa e sono andati al lavoro. È difficile valutare la reale portata dell’epidemia di Coronavirus in Bielorussia. Lo Stato è l’unica istituzione che ha cifre reali, e queste cifre sono tenute segrete. Inoltre, molti casi di coronavirus sono stati etichettati come polmonite, anche in casi di morte.

Per mantenere l’assistenza medica, le piccole imprese e un gran numero di persone comuni si sono infatti impegnate nel sostegno decentrato del personale medico. Alcuni ristoranti e bar hanno preparato cibo per il personale medico grazie alle donazioni degli abitanti della città. Come in altri Paesi, le iniziative di base hanno prodotto maschere protettive. I tassisti hanno trasportato personale medico gratuitamente.

Qualche mese dopo, molte persone hanno avuto la sensazione che lo Stato le avesse abbandonate. Ma, d’altra parte, c’era un senso di solidarietà, la certezza che i vicini, gli amici e anche gli estranei di Internet non ti avrebbero lasciato nei guai. Questo sentimento ha restituito ai bielorussi l’importanza del pubblico rispetto allo Stato. La solidarietà è diventata non solo una parola, ma una pratica diretta.

E se in molti Paesi che erano sotto l’effetto del coronavirus, con la diminuzione del numero dei contagiati, la solidarietà ha cominciato a diminuire, in Bielorussia le strutture di solidarietà hanno continuato a funzionare anche in altri ambiti. Ad esempio, a giugno, la metà di Minsk ha perso l’accesso all’acqua potabile. E mentre i funzionari hanno insistito sul fatto che non c’era nessun problema con l’acqua, i residenti dei quartieri che ancora avevano accesso all’acqua potabile stavano organizzando e consegnando l’acqua alle parti più bisognose della città.

Così, uno dei risultati più importanti del coronavirus (l’epidemia non è finita nel Paese) è stata la crescente consapevolezza della forza collettiva e dei risultati che possono essere raggiunti attraverso azioni congiunte.

Elezioni durante il virus

Per Lukashenko è stato un errore decidere di annunciare le elezioni in mezzo al coronavirus: all’inizio di maggio hanno annunciato che le elezioni si sarebbero tenute ad agosto. È stato scelto il momento di massima insoddisfazione verso le autorità. Grazie a questo, le campagne elettorali dei suoi oppositori hanno letteralmente iniziato a guadagnare un enorme sostegno fin dai primi giorni. Uno dei candidati presidenziali, il blogger Sergei Tikhanovsky, ha iniziato a tenere comizi con microfono aperto nei luoghi di raccolta delle firme. Questa nuova modalità ha attirato un numero enorme di persone in tutto il Paese, a cui è stata data una piattaforma per esprimere il loro malcontento. Qualche settimana dopo, lo stesso Tikhanovsky e molti altri importanti politici dell’opposizione sono stati arrestati e accusati in cause penali molto complesse.

Invece di spegnere la protesta e l’insoddisfazione verso le autorità, la repressione ha provocato un’organizzazione ancora maggiore attorno a un altro candidato – il banchiere di Belgazprombank (figlia di Gazprom) Viktor Babariko. A differenza di altri candidati, Babariko non era impegnato in una lotta politica e per molti sembrava un candidato “moderato” che chiedeva elezioni eque e non pianificava manifestazioni illegali in tutto il Paese. Nonostante ciò, la popolarità di Babariko cresceva anche tra la parte più moderata della popolazione.

Di conseguenza, le autorità hanno deciso di arrestare Babariko e la sua cerchia ristretta con l’accusa di corruzione. Questo passo ha provocato un’altra ondata di malcontento, la cui fase finale fu l’annuncio che i due maggiori candidati dell’opposizione non sarebbero stati registrati nella corsa alla presidenza. Questa decisione ha portato a grandi proteste in tutto il Paese con i primi scontri con la polizia di Minsk: i manifestanti hanno respinto gli arresti e hanno visto che l’OMON [squadre speciali della polizia] era assolutamente impreparata a un confronto violento con la popolazione.

Gli scontri con la polizia antisommossa nel luglio di quest’anno sono stati un punto di svolta per molti nella società. La dittatura, che per 26 anni era stata costruita in parte sulla sua indistruttibilità grazie al sostegno delle forze di sicurezza, è stata improvvisamente estremamente fragile. I video della confusa polizia antisommossa OMON si sono diffusi rapidamente su Internet e hanno mostrato che non è necessario allenarsi per 3 anni nei campi in Russia o nell’UE per combattere la polizia.

Lukashenko non ha negato la registrazione come candidato a uno soltanto tra i seri avversari, la moglie di Sergei Tikhanovsky, Svetlana Tikhanovskaya. Tikhanovskaya aveva originariamente pianificato di candidarsi alla presidenza per dare voce al marito e agli altri oppositori del regime. Ma dopo che la maggioranza dei politici fu arrestata, lei rimase l’unica candidata intorno alla quale gli elettori potessero unirsi.

Tikhanovskaya non è una politica e non sta cercando di diventarlo. Il requisito principale della sua intera campagna elettorale sono le nuove elezioni. Dice apertamente di non avere progetti e di non voler rimanere al potere. Dopo la vittoria a Lukashenko, ha pianificato di annunciare nuove elezioni eque, che avrebbero dovuto cambiare il Paese.

Una richiesta così semplice ha unito molti gruppi politici. Gli attivisti dello staff dei politici incarcerati sono stati coinvolti nella sua sede elettorale. La stessa campagna elettorale di Tikhanovskaya si è basata molto sull’auto-organizzazione della popolazione in varie parti del Paese. Gli incontri con la candidata sono stati ufficialmente registrati in molti luoghi del Paese dove la candidata stessa non era stata visitata. C’era invece un palco per i discorsi e un microfono aperto. Anche in questo caso, il microfono veniva raramente preso in mano da politici in carriera che temevano rappresaglie, ma piuttosto dalla popolazione attiva e dalle piccole imprese. In alcune città anche gli anarchici hanno parlato sul palco.

La popolarità di Tikhanovskaya è aumentata in poche settimane. A luglio, è riuscita a organizzare uno dei più grandi raduni della storia del Paese – 50.000 persone a Minsk. In altre città, ha radunato da diverse centinaia a 8.000 persone.

Per molto tempo le autorità non hanno preso alcuna misura e hanno permesso alla gente di riunirsi. Forse il ruolo è stato giocato dal sessismo di Lukashenko, che non ha mai ritenuto le donne seri avversari delle autorità. I vertici della squadra di Tikhanovskaya erano donne. Tikhanovskaya è salita sul palco anche con due coordinatrici della sua campagna.

Pochi giorni prima delle elezioni, le autorità sono improvvisamente rinsavite. Invece di vietare i raduni, la decisione è stata quella di fare il gioco sporco – tutte le sedi dichiarate aperte per i raduni hanno cominciato a organizzare eventi governativi. Il divieto di raduno ha provocato un’ondata di malcontento che non si è manifestata in forme di protesta attiva perché mancavano solo pochi giorni alle elezioni.

Allo stesso tempo, durante l’ultima settimana la polizia bielorussa ha iniziato ad arrestare i blogger. Queste tattiche non sono nuove e sono state usate dalle autorità per molti anni – prima di ogni protesta ci sono continue detenzioni di giornalisti e blogger, che possono coprire queste proteste online.

Organizzazione terroristica “Anarchici”

Prima di procedere direttamente al giorno delle elezioni, vorremmo fare una breve introduzione al movimento anarchico in Bielorussia.

Gli anarchici sono riapparsi nel Paese dopo il crollo dell’Unione Sovietica. All’inizio degli anni Novanta, alcuni gruppi hanno dato un contributo significativo alla formazione del movimento operaio e ambientalista. Gli anarchici hanno svolto uno dei ruoli chiave nell’estensione della moratoria sulla costruzione della centrale nucleare bielorussa nel 1999 (nel 2009 anarchici e ambientalisti hanno perso la battaglia).

Durante tutto il periodo della dittatura, gli anarchici sono stati coinvolti nei grandi eventi politici, che si tratti di nuove rielezioni, del movimento contro la costruzione della centrale nucleare o di proteste contro le leggi sui parassiti. E nella maggior parte dei casi, la popolazione ha percepito le proposte anarchiche in modo molto positivo. Forse, da qualche parte non l’ha compresa appieno, ma l’ha accettata.

A partire dal 2013-2014, gli anarchici sono diventati quasi l’unica forza politica ancora impegnata nell’agitazione di strada. La maggior parte dei partiti dell’opposizione hanno smesso di lottare attivamente contro la dittatura dopo Maidan 2014 per paura dell’occupazione russa. Oggi, alcuni politici dell’opposizione si schierano ancora sulla posizione “meglio Lukashenko che Putin”. Una parte dell’opposizione è stata annegata nella repressione. È stato molto più facile farlo, perché la repressione contro i leader avrebbe potuto fermare il movimento.

A causa del loro attivismo, gli anarchici attirano costantemente l’attenzione delle forze dell’ordine. Alcuni attivisti sono ora in prigione per azioni simboliche, altri sono in fuga, ci sono iniziative per aiutare i poveri e un libero mercato anticapitalista [si riferisce al Minsk freemarket, festa dedicata all’economia del dono]. La repressione contro gli anarchici raramente produce il risultato desiderato. I media dell’opposizione ne parlano e quindi attirano di nuovo l’attenzione e l’energia del movimento.

Oggi la popolarità degli anarchici in certi ambienti giovanili è piuttosto alta, perché oltre agli anarchici non ci sono più movimenti politici.

Rielezione

Già prima dell’inizio della campagna elettorale molti si aspettavano grandi proteste in Bielorussia proprio a causa della crisi economica e del coronavirus. Era logico che molti concentrassero i loro sforzi di protesta nel giorno delle elezioni e nei giorni successivi. Per esempio, grandi piattaforme mediatiche nei social network e gruppi telegram hanno chiesto di protestare il giorno delle elezioni diverse settimane prima delle elezioni.

Sia i manifestanti che le autorità si stavano preparando per queste elezioni. Su Internet c’erano immagini di attrezzature militari e di polizia. Lukashenko ha partecipato all’addestramento della polizia antisommossa per disperdere le proteste. Era chiaro che le autorità non avrebbero cercato di abbattere il malcontento, ma piuttosto di esercitare pressioni sulla popolazione con la forza.

Non sorprende che la sera del 9 agosto migliaia di persone siano uscite in tutto il Paese. Solo secondo quanto riferito dalle stesse autorità, le manifestazioni si sono svolte contemporaneamente in 33 città del Paese. Più di 50.000 persone hanno partecipato a quelle manifestazioni. Le manifestazioni più grandi si sono svolte a Brest, Baranavichy e Minsk. Diverse migliaia di persone sono uscite negli altri centri regionali.

Per resistere ai manifestanti di Minsk, sono state raccolte truppe interne e polizia da tutto il paese. Il giorno prima delle elezioni, le colonne dei trasporti si sono spostate dalle regioni a Minsk. Il giorno delle elezioni, la città è stata isolata. Autobus senza targa giravano per la città e arrestavano a caso pedoni o giornalisti. L’accesso a Internet è stato spento o severamente limitato in tutto il paese.

La sera la situazione era radicalmente cambiata. Le folle di persone hanno iniziato a uscire in strada e a muoversi verso il centro. La stessa situazione è stata osservata anche nelle città più piccole del Paese. Verso sera iniziarono i primi scontri con la OMON, mentre la gente cercava di liberare i detenuti.

All’inizio la polizia antisommossa correva in giro per la città con magliette e manganelli senza uniformi speciali. Gli attacchi contro OMON hanno rapidamente reso chiaro che la situazione in quel giorno non sarebbe stata normale, con persone che venivano tirate fuori dalla folla e semplicemente detenute.

Appena un’ora dopo i primi scontri, il centro di Minsk cominciò ad assomigliare ad una zona di combattimento. Granate stordenti ceche, cannoni ad acqua canadesi, MAZ bielorussi – tutti hanno lavorato per disperdere i manifestanti. Per la prima volta nella storia del paese, la gente ha cominciato a erigere barricate e a scontrarsi direttamente con le forze dell’ordine. Un numero enorme di persone è stato liberato dalle mani delle forze dell’ordine di notte in varie parti del paese.

La solidarietà durante le proteste ha dimostrato ancora una volta l’incredibile potere dell’opposizione collettiva alla dittatura. Le folle hanno paralizzato ogni azione di OMON e dei militari, contrariamente a tutti i preparativi. La mancanza di Internet ha giocato solo un fattore negativo per il regime – la gente è scesa in strada per scoprire cosa stava succedendo.

Per due ore nel centro di Minsk e in altre città la gente ha combattuto contro le autorità bielorusse. Hanno combattuto con grande energia, un’energia che avevano risparmiato per tanti anni. Lo scontro riuscito dimostra ancora una volta la fragilità della dittatura bielorussa.

Il movimento stesso oggi non è il tradizionale partito politico che porta i bielorussi verso un futuro luminoso. Le proteste sono organizzate attraverso piattaforme mediatiche e non hanno leader chiari. Gruppi di persone si radunano per le strade e decidono la strada da seguire. La mancanza di un piano chiaro può ostacolare l’efficacia della protesta, ma la mancanza di leader chiari rende impossibile reprimere facilmente.

La repressione di ieri sera è stata brutale. Ci sono state tante vittime. In preda alla rabbia, la polizia antisommossa ha lanciato granate rumorose contro la gente. Almeno una volta un camion della polizia ha speronato una folla nel centro di Minsk e ha ucciso un uomo. Secondo i difensori dei diritti umani, almeno tre persone sono state uccise dal regime quella notte. Il sangue è stato versato per la prima volta, ma la gente non ha intenzione di fermarsi. Il piano è di scendere in strada ogni giorno alle 19:00 prima della caduta della dittatura.

Ci sono appelli sui principali canali telegram per la democrazia diretta nel paese. E anche se alcuni temono che tali appelli esistano a causa di un’incomprensione del concetto, la Bielorussia si è ribellata e molti chiedono la fine della dittatura e l’inizio dell’era della democrazia diretta.

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Comunicato di “Effetto Refugio sullo striscione

LEGA, PD, M5S FdI: 20 ANNI DI TAGLI ALLA SANITÀ – 35000 MORTI – SIETE VOI IL VIRUS DI QUESTA SOCIETÀ! VOGLIAMO SANITÀ E ISTRUZIONE PUBBLICA, GIUSTIZIA CLIMATICA E REDDITO PER TUTT*!

Abbiamo notato che anche quest’anno lo striscione che è stato appeso durante Effetto Refugio non è piaciuto a qualcunx. In particolare ha suscitato la reazione di uno dei partiti presi in causa. La reazione del PD livornese sembra frutto della frustrazione di vedersi rovinare quella che a tutti gli effetti appare come una vetrina elettorale faticosamente allestita durante Effetto Venezia, in vista delle regionali. La risposta sembra dettata dall’imbarazzo di non saper argomentare nel merito della questione sollevata dallo striscione.
Il PD di Livorno ha menzionato il modello lombardo, con l’intento di marcare una distanza. Ma ciò che si è dimenticato di dire è che questo modello lombardo è possibile grazie all’appoggio e alla promozione di politiche di privatizzazione e aziendalizzazione della sanità che il PD da anni porta avanti a livello nazionale. Il risultato è che in Italia, negli ultimi anni, tutti i governi hanno tagliato la sanità pubblica per un ammontare che viene calcolato in 40 miliardi di euro.
Nessunx ha intenzione di paragonare la scellerata gestione dell’emergenza Covid attuata dalla Regione Lombardia con la situazione toscana. Tuttavia, il PD ha omesso di illustrare la situazione sanitaria della Regione Toscana, limitandosi ad appellarsi ad un generico “carattere pubblico”. Che piaccia o meno, i dati raccontano una storia diversa. Secondo fonti sindacali, gli operatori dell’ASL Nord-Ovest che si sono contagiati sul lavoro sono 170. Soprattutto nei primi tempi dell’epidemia anche in Toscana c’è stata una forte carenza di mascherine e camici. La sanità territoriale in questi anni è stata smantellata: a Livorno, siamo passati da undici distretti a tre. Sono state messe in vendita molte strutture, come ad esempio la sede legale di Monterotondo, o il distretto di via Ernesto Rossi. Tutte queste strutture si trovano oggi in stato di abbandono, mentre sarebbero state utili per non far gravare unicamente sull’ospedale l’emergenza Covid. Le liste d’attesa, già lunghe, sono esplose per effetto del lockdown, rendendo difficoltosi e rallentando anche i controlli per i malati oncologici e i trapiantati. I ticket alti e le liste d’attesa lunghe hanno spostato buona parte dell’utenza (quella che ne ha i mezzi economici) verso il privato, così come sotto il controllo dei privati è il settore delle case di riposo. Nel modello Lombardia, il sistema pubblico si limita ad agire da gestore della spesa, mentre è la sanità privata che fornisce le prestazioni agli utenti. In Toscana, questo passaggio è avvenuto e sta avvenendo con meccanismi diversi, che vanno in ogni caso a vantaggio del privato, rendendolo un elemento sempre più imprescindibile nella fornitura dei servizi sanitari. In Toscana il PD ha sempre sostenuto politiche di esternalizzazione di servizi essenziali negli ospedali, molti di questi servizi infatti non sono più gestiti dalle ASL ma si è creato un sistema di appalti molto pericoloso, paragonabile al modello lombardo.

La presenza del PD sullo striscione non è quindi dovuta a qualunquismo populista o a confusione tra destra e sinistra. Sappiamo bene che cosa significa essere di destra ed essere di sinistra e abbiamo veramente pochi dubbi su dove collocare il PD, a Livorno, in Toscana e in Italia.
Ci sembra dunque fuori luogo l’affanno del PD livornese a ricondursi ad una tradizione antifascista che, seppur presente nelle sue radici storiche, è stata completamente spazzata via dalle sue scelte politiche, scomodando impropriamente Pertini. Non solo fuori luogo, ma anche maldestramente fuori tema: non c’è nessun riferimento alle ideologie o alle culture politiche nello striscione, bensì un’amara quanto inconfutabile constatazione. Cosa accomuna partiti diversi tra loro come Lega, PD, M5S o FdI? L’essere stati partiti di governo, in varie fasi e con varie coalizioni (peraltro ballerine), nei decenni precedenti alla pandemia e complici della risposta insufficiente e tardiva del sistema sanitario a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi.

Noi siamo per la sanità pubblica e accessibile a tuttx, e voi?

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Bielorussia: non si torna indietro

Sollevazione contro la dittatura in Bielorussia, questa notte nuove proteste, di seguito il testo pubblicato ieri da Umanità Nova

Il 9 agosto in Bielorussia si sono tenute le rielezioni del presidente Lukashenko in carica ininterrottamente da 26 anni. Malgrado le narrazioni predominanti sull’autoritarismo “orientale” contrapposto alle presunte “libertà democratiche” occidentali ed europee, negli ultimi due anni per non essere completamente fagocitato dalla Russia di Putin, il dittatore bielorusso ha cercato e in parte ottenuto il sostegno di USA e UE. Con le sparute opposizioni liberali divise Lukashenko ha cercato di mettere a tacere il malcontento con la repressione e gli arresti, proponendosi come garante dell’ordine di fronte alla minaccia di incursioni armate russe e al fantasma della guerra civile. Ma il diffuso malcontento nei confronti del regime si è radicato ancora di più in questi mesi a causa della crisi provocata dall’emergenza sanitaria, e a causa del collasso idrico della capitale, Minsk, a giugno, per il livello di inquinamento dell’acqua potabile. La sera del 9 agosto, mentre Lukashenko veniva dichiarato rieletto con oltre l’80% dei consensi, migliaia di persone sono scese in piazza non solo nella capitale, ma in 33 città. La polizia è intervenuta con violenza. Sono segnalati 3000 arresti 200 feriti e 3 morti. Questa mattina sono entrati in sciopero i lavoratori di alcuni importanti siti produttivi del paese, tra cui la Byelorussian Steel Works. Nella serata i manifestanti torneranno nelle strade, come si può leggere nel testo seguente, pubblicato dagli anarchici bielorussi del gruppo Pramen.

Non si torna indietro

Ieri la società in Bielorussia si è risvegliata dopo un lungo sonno. Un sogno nel quale siamo stati intrappolati per gli ultimi 26 anni. Il sogno che una dittatura possa rendere libere le persone. Ueste menzogne, che sono ancora diffuse da canali di stato e da alcune piattaforme online, troveranno con difficoltà spazio nel cuore delle persone.

La scorsa notte ha svelato cosa ci è mancato negli ultimi anni – la fede nella forza collettiva. La fede nella trasformazione nonostante i rischi. E questa forza è apparsa non solo nelle strade principali della capitale, ma anche in molte piccole città nel paese, dove la OMON [unità speciali della polizia] è fuggita per pura dei dimostranti. Foto e video di numerosi scontri con le unità della polizia speciale hanno finalmente infranto il mito dei silenziosi bielorussi che pregano per l pace e non sono pronti a correre rischi.

Lukashenko e l’intera verticale del potere erano terrorizzati dall’energia che scorreva nelle strade del paese. In altro modo sarebbe impossibile spiegare il fatto che in solo poche ore di proteste, la OMON e le truppe interne siano passate da semplici arresti a una guerra su intera scala contro la popolazione, usando proiettili di gomma, lacrimogeni e idranti. In molte città, la polizia ha completamente perso il controllo delle strade.

Ieri molto sangue è stato versato dalla popolazione lavoratrice del paese. Molti hanno visto un mezzo della polizia piombare in mezzo a una folla di manifestanti. Uno di quelli che sono stati travolti è morto in ospedale. Molte persone sono ancora in terapia intensiva. Dozzine di persone sono ancora in ospedale perché necessitano di cure.

Molti si stanno già preparando per la prossima occasione di scontro. Quelli a cui è rimasto internet stanno imparando a fare cocktail molotov, a costruire barricate, e stanno cercando le aree più vulnerabili delle armature dei poliziotti. Non stiamo guardando video con i gattini, stiamo guardando video che ci dicono come incordonarci e tenere la linea durante gli scontri con i poliziotti. Andiamo nelle terre desolate per imparare a lanciare i sassi. Il regime bielorusso ci ha reso rivoluzionari!

È stato Lukashenko a creare una situazione da cui non si può tornare indietro. Non c’è più stabilità velenosa a cui si possa tornare indietro. Ciò che abbiamo visto e vissuto non andrà più perduto.

La responsabilità per il sangue versato pesa interamente sulle spalle della dittatura. Lukshenko non è pronto a lasciare senza sangue, e noi mostreremo che non solo le persone comuni possono sanguinare. Oggi prenderemo le strade alle 19:00 e saremo spalla a spalla contro le dittatura, per la democrazia diretta. Per una società in cui dittatori e sfruttatori non hanno posto. Oggi continueremo la nostra ribellione per un mondo senza la dittatura bielorussa!

Ci vediamo nelle strade delle città! Ci vediamo sulle barricate!

[10/08/20]

https://umanitanova.org/?p=12635

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Per Paolo

Con profondo dolore e sconcerto abbiamo appreso la notizia della scomparsa del compagno Paolo Finzi. Ricordiamo con affetto la sua intelligenza, l’ironia, la vivacità culturale, la possibilità di dare vita, anche nelle differenze, ad un confronto politico mai banale.
Ad Aurora, Alba, Elio e alle compagne e compagni di A- rivista anarchica va il nostro abbraccio.

Collettivo Anarchico Libertario
Federazione Anarchica Livornese

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In memoria di Filippo Filippetti anarchico livornese, antifascista, ucciso dai fascisti

In memoria di Filippo Filippetti

anarchico livornese, antifascista, ucciso dai fascisti

Domenica 2 agosto 2020

ore 19 Commemorazione presso la lapide

Via Provinciale Pisana 354, Livorno (alla ex-scuola di fronte al circolo ARCI “Tamberi”)

dalle 20:30 ritrovo all’aperto per mangiare e bere qualcosa insieme

Nel giardino di Via degli Asili 35, presso la sede della FAL

Filippo Filipetti, giovane anarchico, viene ucciso il 2 agosto 1922 dai fascisti mentre si oppone, assieme ad altri antifascisti, ad una spedizione punitiva contro Livorno.

Il 2 Agosto 1922 un gruppo di giovani antifascisti, tra i quali alcuni anarchici, ingaggia uno scontro armato nei pressi di Pontarcione con i camion dei fascisti. Muore nella sparatoria Filippo Filippetti, membro degli Arditi del Popolo, sindacalista dell’USI per il settore edile.

Nell’estate del 1922 si giocano le ultime carte per fermare la reazione antiproletaria: il paese è attraversato da un crescendo di aggressioni compiute dai fascisti nei confronti delle organizzazioni del movimento operaio e dei singoli militanti; si contano decine di morti fra gli antifascisti.

Da mesi l’Unione Anarchica Italiana e il giornale “Umanità Nova” si battono a sostegno del movimento degli Arditi del Popolo, per costituire un fronte unico proletario che organizzi la difesa.

Su iniziativa del Sindacato Ferrovieri Italiano è costituita l’Alleanza del Lavoro, a cui partecipano tutti i sindacati, con l’appoggio dell’Unione Anarchica, del Partito Repubblicano, del Partito Comunista e del Partito Socialista.

L’Alleanza del Lavoro indice uno sciopero generale ad oltranza per fermare le violenze fasciste a partire dalla mezzanotte del 31 luglio.

I fascisti finanziati da agrari e industriali, armati da Carabinieri ed Esercito, protetti dalla monarchia e dalla chiesa, aggrediscono le roccaforti operaie.

In molte città, fra cui Piombino, Ancona, Parma, Civitavecchia, Bari i fascisti vengono respinti anche grazie all’azione degli Arditi del Popolo. Nel momento in cui la resistenza operaia cresce, CGL e PSI, sperando in un ennesimo compromesso, si ritireranno dalla lotta, aprendo la strada alla rappresaglia armata del Governo.

Livorno è uno dei centri dello scontro. Tra il 1° e il 2 Agosto 1922 squadre fasciste provenienti da tutta la Toscana lanciano la caccia agli antifascisti livornesi, facendo irruzione nei quartieri popolari che resistono all’invasione.

Molti furono gli assassinati in quei giorni. Popolani, militanti comunisti, anarchici, repubblicani e socialisti, tra i quali Luigi Gemignani, Gilberto Catarsi, Pietro Gigli, Pilade Gigli, Oreste Romanacci, Bruno Giacomini e Genoveffa Pierozzi.

Negli scontri in periferia viene ucciso il giovane anarchico Filippo Filippetti.

Gli anarchici invitano tutti gli antifascisti a partecipare alla commemorazione.

L’iniziativa si svolgerà tutelando la salute di tutt*

Federazione Anarchica Livornesecdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

Collettivo Anarchico Libertario collettivoanarchico@hotmail.it – http://collettivoanarchico.noblogs.org/

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Liberiamoci! Informazione e lotta contro il governo

Venerdì 24 luglio a Livorno

banchetto/presidio informativo

Terrazza Mascagni ore 21

Liberiamoci!

La pandemia ha reso più profonde le diseguaglianze nella società. Il governo ha aumentato le spese militari del 6%, avviato nuove missioni di guerra, regalato soldi alle grandi aziende. Liberiamoci da governi, sfruttamento, eserciti!

Per riaprire le scuole a settembre è stato ridotto il numero degli alunni per classe? È stato assunto nuovo personale? Per gestire l’emergenza sono stati fatti interventi di adeguamento degli edifici scolastici, individuati nuovi spazi anche attraverso l’esproprio di caserme e edifici religiosi? È stato avviato un intervento di lungo periodo per rinnovare l’edilizia scolastica, dal momento che gran parte delle scuole erano già inadeguate prima del covid?

No! Solo stratagemmi per mantenere classi pollaio, non aumentano le assunzioni di personale stabile come sarebbe necessario, ma la scuola riaprirà grazie ai precari. Invece di ripensare la scuola e adeguare le strutture i dirigenti giocano a tetris con lavoratori e studenti. E non ultimo: aumento dei finanziamenti alla scuola privata.

Per risollevare il sistema sanitario e far fronte ad una nuova emergenza sono stati fatti adeguamenti alle strutture ospedaliere? È stata ripensato e sviluppato il servizio sanitario sul territorio, dai medici di base ai consultori, dai servizi di igiene e sanità pubblica all’assistenza domiciliare? Sono state potenziate le risorse che sono mancate durante l’emergenza, dai posti letto ai macchinari clinici, dal materiale per la diagnostica ai DPI? Sono state approntate concrete misure di prevenzione chiare per la popolazione? Sono state fatte nuove assunzioni di medici, infermieri, e di altri lavoratori del settore?

No! In compenso si continua a investire sulla sanità privata. Non c’è nessun nuovo indirizzo, né una riconsiderazione rispetto alla politica degli ultimi venti anni in tema di sanità basata sulla riduzione dei servizi pubblici territoriali, posti letto compresi, con sovraccarico delle strutture e del personale. Anche il progetto di ampliamento dell’ospedale di Livorno non è stato riconsiderato alla luce delle problematiche emerse con la pandemia.

Di fronte all’aumento della disoccupazione e della povertà sono state rafforzate le forme di sostegno al reddito? Sono stati stabilizzati i lavoratori precari? Chi lavorava come dipendente ed è stato costretto a casa dalla pandemia è stato pagato? Sono state garantite le condizioni di lavoro in salute e sicurezza nelle varie fasi dell’emergenza?

No! Ancora precarietà, ancora disoccupazione. Chi è stato a casa quando andava bene è stato costretto alle ferie forzate o alla Cassa integrazione, che ancora non è stata erogata. Niente sostegno al reddito ma solo ai consumi. Nessuna tutela per la salute di chi lavora. Concluso il lockdown c’è stato un aumento di incidenti sul lavoro. Fiumi di soldi alle grandi aziende, come nel caso di FIAT-FCA. I 209 miliardi che l’Italia avrà dal Recovery Fund dell’UE saranno vincolati a nuovi “sacrifici”, a nuovi tagli, a un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita per tutt*.

Questo è quello che hanno fatto tutti i governi e c’è ancora chi, come premio, vorrebbe prolungare a Conte i poteri speciali dello stato di emergenza. Ora che ha portato aiuti a fondo perduto per capitalisti e banchieri, il nuovo livello di indebitamento è del 157,6%. Conte si è impegnato a riportarlo in 10 anni al livello della media europea 80,0% circa. Chi pagherà circa 138 miliardi l’anno? Ci aspettano nuovi tagli ai servizi sociali e ai redditi più bassi. I problemi li possiamo risolvere, non cambiando il governo, ma organizzandoci dal basso e con l’autogestione cambiamo le scuole, la sanità, i trasporti, la produzione liberata dalla ricerca del profitto individuale, sarà orientata alla soddisfazione dei bisogni delle masse e al rispetto dell’ambiente. Si sostituirà all’illusione della competizione e del merito la solidarietà e il mutuo appoggio.

Ricordiamoci che se il 25 marzo tante fabbriche e aziende hanno chiuso per limitare i danni della pandemia è stato solo grazie a lavoratrici e lavoratori che hanno scioperato nonostante i divieti per difendere la salute di tutt*. Il nostro futuro e la nostra vita sono nelle nostre stesse mani, lottiamo per cambiarli!

Federazione Anarchica Livornese – cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it – federazioneanarchica.org

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A 5 anni dalla strage: giustizia per Suruç!

da umanitanova.org

A 5 anni dalla strage: giustizia per Suruç!

Da fine giugno a Kadıköy, Istanbul, si susseguono iniziative per il quinto anniversario della strage di Suruç. Le organizzazioni giovanili rivoluzionarie, tra cui la Anarşist Gençlik (Gioventù Anarchica), in queste settimane sono scese nelle strade più e più volte, nonostante le provocazioni della polizia. Hanno scandito slogan e interventi, hanno attraversato le strade del quartiere con cortei e hanno presidiato i luoghi più significativi, in una campagna di lotta e di memoria.

Il 20 luglio saranno 5 anni da quando una bomba esplose nel corso di una conferenza stampa della Federazione delle Associazioni di Giovani Socialisti (SGDF) nel Centro Amara di Suruç. L’attacco fu rivendicato dallo Stato Islamico ma era parte di una più ampia strategia di terrore dello Stato Turco, e colpì dei giovani rivoluzionari, socialisti e anarchici, che stavano per attraversare il confine per partecipare alla ricostruzione di Kobanê. (https://umanitanova.org/?p=1083)

La strage di Suruç è uno dei più sanguinosi massacri di giovani degli ultimi decenni. Dopo questa bomba lo Stato Turco ha scatenato una strategia di guerra e di terrore nel proprio territorio per frenare le aspirazioni di cambiamento dei giovani, la diffusione delle idee e delle pratiche rivoluzionarie tra Turchia e Rojava. Ma come confermano le manifestazioni di questi giorni a Kadıköy la lotta per la libertà non si può fermare.

Nelle scorse settimane le organizzazioni giovanili sono scese in piazza con lo slogan “Suruç için adalet, herkes için adalet” ovvero “Giustizia per Suruç, giustizia per tutti”, e con una presa di posizione unitaria di cui riportiamo alcune parti:

“Siamo di nuovo insieme per commemorare, nell’anniversario del massacro, i 33 compagni che erano in viaggio per realizzare un sogno. 5 anni fa, i nostri compagni, i nostri compagni di lotta, si sono uniti fianco a fianco con solidarietà rivoluzionaria, e hanno detto: «Abbiamo difeso insieme Kobanê, la ricostruiremo insieme». In uno dei più sanguinosi massacri di giovani della storia abbiamo perso i nostri compagni, che erano in viaggio per portare giocattoli ai bambini di Kobanê, per guarire le ferite della popolazione del Rojava. Noi, che riprendiamo sulle nostre spalle la loro lotta, riempiamo le strade quest’anno, proprio come ogni anno, per la giustizia.

È lo stesso sistema capitalista-imperialista, che ha massacrato 33 rivoluzionari a Suruç. La storia delle sue guardie è sfruttamento, guerra, massacro. […] Mentre ad alta voce gridiamo «Giustizia per Suruç, Giustizia per tutti», la nostra voce sta dando voce a Gülistan Doku [studentessa universitaria curda di 21 anni scomparsa dal 5 gennaio 2020 http://www.kedistan.net/2020/01/18/turkey-where-is-gulistan-doku/], trasformandosi in resistenza contro la violenza della polizia, raggiungendo lavoratori intrappolati in un’epidemia o nel ricatto della fame, diventando speranza in queste molte ingiustizie. Il fuoco della lotta, che non può essere estinto a Suruç, continua a crescere esponenzialmente. Nonostante i massacri e le politiche di annientamento, i giovani continuano ovunque a lottare, in particolare nelle università. Conosciamo i complici, i padroni e i mandanti di coloro che hanno effettuato i massacri, da Suruç al 10 ottobre [strage di Ankara del 10 ottobre 2015, 86 morti e 186 feriti in seguito a un attentato esplosivo durante una manifestazione per la pace]. Continuiamo a mantenere vivi i nomi di coloro che sono stati assassinati in ogni luogo in cui ci troviamo, e sappiamo che manterremo vivi i loro ricordi con la nostra determinazione a lottare. Nell’anniversario del massacro, sappiamo che la giustizia può essere conquistata solo per le strade.”

La memoria di questa strage è ancora viva, e non solo nelle regioni dell’Anatolia e della Mesopotamia, ma ovunque nel mondo. A Livorno sabato 18 luglio compagn* della Federazione anarchica livornese e del Collettivo anarchico libertario hanno voluto commemorare con uno striscione le 33 vittime della strage del Centro culturale Amara di Suruç, avvenuta in un luogo importante per la solidarietà internazionalista, dove anche molti solidali livornesi sono passati nel corso degli anni. Lo striscione è stato esposto nel corso dell’iniziativa di inaugurazione dell’installazione RojavaStreet preparata dal Teatrofficina Refugio e dal Collettivo Miranda per rispondere all’appello di RiseUp4Rojava.

A Kadıköy durante una manifestazione unitaria delle organizzazioni giovanili al Parco Mehmet Ayvalıtaş, sabato 18 luglio, la Anarşist Gençlik (Gioventù Anarchica) ha lanciato un appello a partecipare alla commemorazione programmata per il 20 luglio alle 19 al palazzo del Süreyya Opera di Kadıköy. Di seguito riportiamo l’appello dell’organizzazione anarchica giovanile:

“Per cinque anni abbiamo attraversato queste strade per perseguire la giustizia, gridando ogni volta più forte la memoria dei nostri compagni, amici, fratelli e sorelle assassinati. Perché queste sono state separate da noi queste persone, con cui resistevamo insieme spalla a spalla in ogni azione, con cui lanciavamo gli stessi slogan, con la stessa determinazione e lo stesso coraggio, con cui mangiavamo con il cucchiaio dalla stessa zuppa.

Erano partiti con giocattoli e libri che avevano raccolto porta a porta per i bambini, erano partiti per ricostruire Kobanê, la città che era stata dichiarata “caduta” varie volte e era stata saccheggiata dallo Stato Islamico, ma che vinse e riconquistò la vita grazie alla solidarietà e alla resistenza dei Popoli del Rojava. Rispondendo all’appello della SGDF (Federazione delle Associazioni dei Giovani Socialisti), si sono trasferiti a Kobanê per la solidarietà, con le loro bandiere nelle mani, i loro slogan nella loro lingua, la lotta contro tutte le guerre, e la rabbia verso tutti gli stati. Si sono riuniti al Centro Culturale Amara di Suruç il 20 luglio 2015. Volevano poter essere una speranza per i bambini che erano violentemente stressati e impauriti nei giorni in cui la lotta rivoluzionaria sorgeva nella nostra geografia e si accelerava la lotta per la libertà contro l’ingiustizia e la violenza degli stati. Erano partiti per incontrare persone che stavano conquistando la propria libertà. Ma furono assassinati da una bomba di stato.

Cosa è successo dopo? Gli assassini sono stati protetti nonostante tutte le denunce. Coloro che sono stati feriti nel massacro di Suruç, i compagni di coloro che sono stati uccisi, i loro familiari sono sempre stati sottoposti a tentativi di intimidazione anche attraverso la detenzione. Il padre di Vatan, compagno ucciso a Suruç, a otto mesi dal massacro disse a una commemorazione sulla tomba del figlio “le loro idee sono germogliate in altre lotte”. Proprio come al funerale aveva detto di essere “orgoglioso di lui” e che Vatan “non era solo mio figlio, era mio amico, era mio compagno”.

Ciò che è stato scritto dopo le parole che sono state dette, è iniziato con la bandiera nera che non gli è caduto dalla lingua, con la bandiera nera che non ha fatto cadere.

Di Alper è stato scritto delle melodie anarchiche che pronunciava, e della bandiera nera che non è caduta dalla sua mano. Suruç è stato un altro dei massacri più sanguinosi che la geografia abbia mai visto. È stato anche uno degli esempi più potenti della rivoluzione e della lotta per la libertà contro lo stato. Dopo il massacro, la nostra solidarietà divenne più forte, la nostra lotta continuò mano nella mano, fianco a fianco.

Siamo nelle strade da cinque anni. La lotta di Suruç è la nostra lotta, dicendo che non c’è perdono continuiamo la lotta per la giustizia, là dove dovrebbe esservi giustizia. Sappiamo che non possiamo avere giustizia dai palazzi di giustizia dello stato. Gli assassini non sono stati giudicati ma sono protetti tra le mura dello stato. Per questo gridiamo nelle piazze, nelle strade in cui viene dichiarata a voce alta la verità. Continuiamo a dire che nonostante le pressioni, gli arresti, le detenzioni, sarà chiesto il conto di Suruç.

Sono passati cinque anni da quando la collaborazione tra lo Stato Turco e lo Stato Islamico ha fatto esplodere la bomba, ma il dolore per coloro che abbiamo perso e la nostra rabbia nei confronti degli assassini è ancora forte come il primo giorno. Riprendiamo la lotta dei 33 anarchici e socialisti rivoluzionari che morirono nel massacro di Suruç. Verremo a chiedere il conto con le loro bandiere. Nonostante il tempo trascorso e nonostante altri massacri si siano susseguiti, la nostra fede e la nostra lotta stanno crescendo. Non abbandoneremo questa lotta finché non creeremo il mondo libero che sognavano i nostri compagni assassinati!”

Questo è il momento centrale della campagna di lotta avviata nelle ultime settimane in occasione del quinto anniversario della strage, e in questo periodo scendere in piazza significa anche rompere le maglie della repressione che sta caratterizzando anche in Turchia la gestione dell’emergenza sanitaria.

DA

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Giustizia per Suruç

La sera di sabato 18 luglio con il Teatrofficina Refugio abbiamo inaugurato l’installazione Rojava Street, con un’iniziativa che rispondeva all’appello di RiseUp4Rojava

Abbiamo anche dedicato uno striscione alle 33 giovani vittime della strage di Suruç. Il 20 luglio saranno 5 anni da quando una bomba esplose nel corso di una conferenza stampa della Federazione delle Associazioni di Giovani Socialisti nel centro Amara di Suruç. L’attacco rivendicato dallo Stato Islamico ma parte della strategia di terrore dello Stato Turco, colpì dei giovani rivoluzionari, socialisti e anarchici, che stavano per attraversare il confine per partecipare alla ricostruzione di Kobanê.

La strage di Suruç è uno dei più sanguinosi massacri di giovani degli ultimi decenni. Dopo questa bomba lo Stato Turco ha scatenato una strategia di guerra e di terrore nel proprio territorio per frenare le aspirazioni di cambiamento dei giovani, la diffusione delle idee e delle pratiche rivoluzionarie tra Turchia e Rojava. Ma la lotta per la libertà non si può fermare.

Suruç için adalet
Giustizia per Suruç
Giustizia per tutt*

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Riapre la Biblioteca della FAL – area studio e consultazione

 

Riapre la Biblioteca della FAL
(Federazione Anarchica Livornese)

Dal 16 luglio

Ogni giovedì dalle 14 alle 20
In Via degli Asili 33-35 (Borgo Cappuccini)

Area studio all’aperto, silenziosa, all’ombra degli alberi del giardino, zona bar per confrontarsi davanti ad un caffè

Biblioteca per consultazione libri, opuscoli e periodici (oltre 3000 volumi su anarchismo, movimento operaio e lotte sociali).

La riapertura avverrà avendo cura di tutelare la salute di tutt*

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