Sabato 11 luglio alle 17 a Stagno davanti alla Raffineria e alle 19 a Livorno alla Terrazza Mascagni, partecipiamo alla manifestazione organizzata da Fridays For Future, comitati contro gli inceneritori e associazioni ambientaliste da tutta la regione
Basta VelENI! Basta sfruttamento!
No al mega inceneritore ENI a Stagno!
Chiudere SUBITO l’inceneritore di Livorno!
Siamo come a novembre al fianco di Fridays For Future e dei comitati per opporci al progetto di un nuovo inceneritore “gassificatore” a Stagno. Un anno fa ENI e istituzioni attraverso la stampa locale hanno annunciato il progetto di “bioraffineria” cercando di presentare come “green” l’impianto che tratterebbe ad altissime temperature le plastiche non riciclabili e il CSS, ottenuto dalla componente secca dei rifiuti non differenziabili, per produrre metanolo e altre sostanze combustibili. L’ENI e i suoi esperti ovviamente dicono che non vi saranno le emissioni altamente nocive degli inceneritori tradizionali, ma “solo” emissioni di CO2 e scarti solidi vetrificati. Ma questo impianto sarà il primo del suo genere, non si possono dunque avere dati riguardo a impianti già esistenti per verificare queste affermazioni. I comitati hanno subito denunciato la pericolosità del progetto, che brucerà rifiuti da tutta la Toscana e non solo, e che impiegherà, specie per il raffreddamento rapido, grandi quantità di acqua che al termine del processo sarà carica di metalli pesanti e che non è ancora chiaro dove sarà sversata. Questo impianto rappresenta per la Regione una ghiotta opportunità dopo che il progetto di mega -inceneritore nella piana fiorentina ha trovato un ampio movimento di opposizione ed è stato bloccato dalla magistratura. L’industria, e non solo quella del trattamento rifiuti, può immettere i rifiuti sul mercato trasformandoli in merce. L’ENI può rinviare gli interventi di bonifica, e raccontare la favola dell’economia “circolare”. Intanto quello che circola sono gli affari, sulla pelle di tutte e di tutti.
La raffineria ENI ha avvelenato questo territorio e chi lo abita per oltre 80 anni sfruttando e facendo ammalare chi ci lavora. L’attuale raffineria è già disastrosa, e non rispetta le normative per gli impianti a rischio di incidente rilevante. L’area è tanto inquinata da essere già inserita tra i Siti di Interesse Nazionale per la bonifica, ma nonostante questo l’ENI continua a devastare il territorio. Basti pensare all’alluvione 2017: quando gli idrocarburi sversati da ENI nel Rio Botticina arrivarono al mare; quando molte case e cortili furono inondate da acqua e fango, in alcuni casi in comunicazione con il materiale che allagava la raffineria; quando nei cortili delle palazzine residenziali ex INA adiacenti alla raffineria il fango risultò avere un’altissima contaminazione da idrocarburi. ENI vorrebbe aggiungere un altro impianto oltre a quello già esistente. E di bonificare? Non se ne parla! Il lavoro uccide e fa ammalare, è la vera contraddizione di questa società, e l’emergenza coronavirus ce lo ha confermato ancora una volta.
Intanto ENI si presenta nelle scuole come “amica del clima” ma è una multinazionale che inquina avvelena, sfrutta e che è al centro delle politiche coloniali dell’Italia, il cui principale azionista è il Ministero dell’economia e delle finanze. Dopo le truppe di occupazione mandate in Libia per difendere gli “interessi nazionali” il Governo lo ha detto chiaramente: la prossima missione militare nel Golfo di Guinea avrà il compito di “proteggere gli asset estrattivi di ENI”.
Il candidato PD alle regionali, Giani, dopotutto ha detto che se non si farà la cosiddetta “bioraffineria” bisognerà fare un altro inceneritore e che da Presidente della Regione una volta scelto un sito andrà “a diritto con i carri armati”. Nelle istituzioni non bisogna mai avere fiducia, è l’organizzazione e l’impegno dal basso, sono le lotte di base, che possono fermare i progetti e difendere la salute di tutte e di tutti. Sindaci, presidenti di regione, amministratori di municipalizzate e consulenti privati devono rendere conto dell’appoggio degli affaristi dei rifiuti, devono seguire criteri di profitto, non agiscono nell’interesse dei cittadini. Se lo fanno in breve tempo sono messi da parte. Le parole di Giani dimostrano che chi governa teme l’azione dei movimenti, ammettono che le lotte di questi anni nella piana fiorentina hanno raggiunto un risultato confermando quindi l’efficacia dell’azione diretta.
È con l’organizzazione dal basso e l’azione diretta, con la lotta in prima persona di tutte e tutti che possono essere chiusi tutti i vecchi inceneritori e che può essere fermata la costruzione di nuovi impianti.
Nell’area livornese il problema non è solo l’ENI. La chiusura dell’inceneritore ormai vecchio di oltre 30 anni è rinviata ancora! Stavolta si parla del 2023. Al suo posto dovrebbe sorgere un impianto per il trattamento dei rifiuti organici. Da oltre 20 anni l’inceneritore deve essere chiuso. Lo ha chiesto la popolazione a più riprese. Il M5S ne aveva promesso la chiusura nella campagna elettorale del 2014, per correggere il tiro una volta vinte le elezioni, annunciando lo spegnimento per il 2021 per scaricare la responsabilità sull’amministrazione successiva che ora prende tempo con nuove promesse. Noi confermiamo che l’inceneritore va chiuso subito senza condizioni. la sua chiusura è necessaria per la salute di tutte e di tutti e non può diventare una moneta di scambio per la costruzione di nuovi impianti.
Basta soldi alle multinazionali!
Reddito e salute per le classi sfruttate!
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By collettivo
– Luglio 10, 2020
Di seguito il documento di Livorno per il Rojava
Basta guerra in Kurdistan – Libertà per i prigionieri politici in Turchia!
Anche Livorno risponde all’appello per mobilitarsi per la tutela dei diritti umani, per la liberazione delle persone prigioniere politiche in Turchia, contro la guerra che lo stato turco sta conducendo nel Kurdistan. Il 27 giugno si manifesta in tutta Italia contro il governo turco guidato dal partito conservatore-religioso AKP del presidente della repubblica Erdoğan e dal partito fascista MHP.
In Turchia sono decine di migliaia le persone prigioniere politiche chiuse nelle carceri, e spesso alla privazione della libertà e alla reclusione per queste persone si aggiungono i trattamenti inumani e degradanti cui sono sottoposti nelle prigioni, queste brutali condizioni hanno raggiunto il massimo dell’abominio durante l’attuale pandemia del Covid-19. L’amnistia concessa a causa dell’emergenza sanitaria da parte del governo turco ha permesso a 90000 persone di lasciare le celle ma da tale provvedimento sono stati esclusi i condannati per reati di natura “politica”. Questa limitazione ha impedito la liberazione di circa 50000 persone detenute che sono parte di associazioni, partiti e sindacati, intellettuali, giornalisti, studenti, artisti, militanti e attivisti in genere. Questa scelta è stata chiaramente presa per non mettere in libertà i dissidenti e, di fronte al propagarsi dell’infezione nelle carceri, per decimare le persone incarcerate per motivi politici esponendole al rischio di contagio. È in questo contesto che tre membri del progetto musicale comunista Grup Yorum hanno condotto fino alla morte lo sciopero della fame con cui da mesi chiedevano tra le altre cose l’annullamento del divieto ai concerti del gruppo, e la scarcerazione dei suoi membri. Tra coloro che sono detenuti per motivi politici oltre a esponenti dell’opposizione democratica, ai militanti della sinistra rivoluzionaria, ai socialisti, ai comunisti e agli anarchici, vi sono anche molti attivisti dei movimenti curdi. Tra questi ultimi, 5000 sono membri del Partito Democratico dei Popoli, l’HDP, che sostiene i diritti delle minoranze e le istanze curde. Alcuni di essi sono deputati, co-sindaci, consiglieri comunali e di distretto, o comunque rivestono cariche elettive di cui sono stati esautorati. Lo stato militarista turco ha sempre soffocato ogni aspirazione alla libertà della popolazione sotto il peso di una violenta repressione, ma per comprendere la situazione attuale bisogna guardare al 2015, quando per fermare lo sviluppo dell’esperienza rivoluzionaria dei cantoni del Rojava e il plurale e variegato movimento di solidarietà che era nato in Turchia, lo stato turco scatenò una vera e propria guerra contro i propri cittadini su più livelli. Da una parte cercò di distruggere il movimento di solidarietà con la paura, praticando il terrorismo con gli attentati esplosivi che provocarono stragi a Diyarbakır, Suruç e Ankara, dall’altra, con la giustificazione della lotta al terrorismo, mise in atto bombardamenti aerei e di artiglieria sullo stesso territorio turco colpendo città e villaggi, occupati poi militarmente per compiere omicidi, brutalità, arresti, torture e sparizioni. Nel 2016 la lotta per il potere interna allo stato e ai suoi apparati sfocia in un tentativo di colpo di stato che, sedato con violenza dal presidente della repubblica Erdoğan, diviene occasione per mantenere per due anni lo stato di emergenza, rafforzare le posizioni di potere, riempire le carceri di oppositori, sostituire decine di migliaia di funzionari e dipendenti del settore pubblico sospettati di essere dissidenti con suoi sostenitori, avviare la guerra per il controllo di Afrin e invaderla militarmente ottenendo il consenso anche del partito di opposizione CHP. Lo stato di emergenza è finito da due anni ma la repressione continua ancora oggi. Il 4 giugno i deputati di HDP Leyla Guven e Musa Farisoğulları e il deputato del CHP Enis Berberoğlu con un ulteriore atto autoritario sono stati privati del loro mandato parlamentare e incarcerati. Mentre il 15 giugno le manifestazioni organizzate ovunque nel paese anatolico in occasione della “Marcia per la democrazia” lanciata dal HDP sono state attaccate dalla polizia che ha lanciato lacrimogeni malmenato e arrestato i manifestanti tra cui anche consiglieri e deputati.
Non è un caso che nel contempo si inasprisca la guerra portata dallo stato turco in Kurdistan. Il 15 giugno lo stato turco ha attaccato con intensi bombardamenti aerei varie località nel nord dell’Iraq, tra cui Şengal, Maxmur e Qandil, per lanciare il 17 giugno una nuova campagna di guerra con un’incursione via terra impiegando truppe speciali. Questi attacchi minacciano innanzitutto le popolazioni locali e di profughi già martoriate dai conflitti, tra cui la popolazione ezida. Si contano infatti già numerose vittime civili. La nuova operazione di guerra lanciata dalla Turchia – nominata “Artiglio di tigre” – punta a far naufragare ogni tentativo di costruire la pace nell’area mesopotamica, a colpire le forme di autogoverno nella regione e a indebolire ogni prospettiva rivoluzionaria e di liberazione. Anche il governo di Ankara, come ogni altro governo del mondo, utilizza la guerra per esercitare un più rigido controllo repressivo all’interno delle sue frontiere e per imporre il consenso sul proprio operato di fronte alle minacce per la nazione. Con l’attacco ad Afrin nel 2018 lo stato turco ha avviato una fase di espansionismo imperialista che ha acuito la crisi economica del paese, e che sta portando la popolazione nel vicolo cieco della miseria e della guerra. Per questo il regime guidato da Erdoğan mantiene incarcerati migliaia di oppositori politici e muove guerra a tutti quei soggetti che dentro e fuori dalla Turchia conducono in quella regione la lotta per la libertà.
Lo stato turco non conduce questa guerra da solo. Le ultime operazioni sono state effettuate con la cooperazione dell’Iran che ha effettuato dei bombardamenti con l’artiglieria. Ma la Turchia è anche parte, insieme all’Italia, della NATO, che a vari livelli sostiene la politica militare turca. Tra i numerosi paesi che sono partner della Turchia nel fiorente commercio degli armamenti, assieme ad Israele c’è anche l’Italia. Due giorni dopo l’avvio dell’operazione “Artiglio di tigre” si è recato ad Ankara per incontrare il proprio omologo il ministro degli esteri italiano Di Maio, quello che aveva promesso invano lo stop alla vendita di armi verso la stessa Turchia che oggi dichiara “importante partner commerciale”.
Tra i principali fornitori di armamenti allo stato turco c’è la Leonardo, multinazionale dell’industria bellica, di cui il maggior azionista è il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il governo italiano è quindi complice e responsabile della politica di repressione e di guerra condotta dallo stato turco. La grande ondata di proteste e azioni che lo scorso autunno abbiamo messo in atto in Italia contro l’operazione “Fonte di Pace” lanciata dalla turchia contro l’autogoverno della Siria del Nord e l’esperimento confederalista animato dal movimento curdo non ha solo un sostegno politico alla resistenza delle forze di autodifesa ma, con la pressione esercitata sul governo a partire dalle piazze, dalle azioni, dalle manifestazioni, ha spinto il governo ad annunciare il ritiro della missione militare italiana “Active fence” in difesa dello spazio aereo turco. Per questo manifestiamo sabato 27 giugno a Livorno e a Firenze, mentre altre iniziative di piazza si tengono in tutta Italia.
Sabato 27 giugno
LIVORNO h 11 Via Grande angolo Via del Giglio
FIRENZE h 17 Piazza della Repubblica
Livorno per il Rojava
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By collettivo
– Giugno 27, 2020
dopo la manifestazione del 9 giugno il mondo della scuola torna in piazza a Livorno con una manifestazione lanciata da Priorità alla scuola per giovedì 25 giungo alle 18 in Terrazza Mascagni. Di seguito il volantino che la Federazione Anarchica Livornese distribuirà in piazza.
DIMEZZARE IL NUMERO DI ALUNNI PER CLASSE: UNICO RIMEDIO!
LA SCUOLA PRETENDE RISORSE NON LINEE GUIDA!
L’emergenza sanitaria ha reso evidenti tendenze già presenti nella scuola e che sono accelerate nella didattica a distanza.
La contrapposizione tra dirigenti, legati a filo doppio all’apparato burocratico e particolarmente ascoltati dal ministero, da una parte e dall’altra parte lavoratori della scuola e studenti è emersa in modo lampante: con arroganza e superficialità sono stati imposti al personale ATA compiti non previsti dal contratto e senza adeguata preparazione e protezione. Il lavoro agile, per il personale non docente, è stato in un primo tempo una misura di protezione, ma l’emergenza ha fatto sì che venisse applicato in deroga al testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e al contratto.
La didattica a distanza ha ridefinito anche la modalità lavorativa dei docenti: lo strumento informatico di per sé porta alla standardizzazione delle procedure, dalle modalità di insegnamento alla valutazione; se a questo si aggiungono le possibilità di controllo delle videolezioni da parte degli animatori informatici e dei dirigenti, l’invadenza di molti dirigenti, si capisce che la didattica a distanza è una campana a morto per la professionalità dei docenti e la libertà di insegnamento.
La tecnologia non è neutra, ma si è rivelata un potente strumento per normalizzare una delle categorie più refrattarie a trasmettere le narrazioni del capitalismo trionfante o sedicente tale.
Anche per la riapertura a settembre il governo e il ministro procedono nello stesso modo cialtronesco e autoritario, prevedendo in nome della sicurezza il prolungamento della didattica a distanza, che già molti istituti hanno messo nel piano dell’offerta formativa, lezioni itineranti dai parchi ai musei, riduzione dell’ora di lezione a 40 minuti e un probabile prolungamento dell’orario di lavoro per i docenti. Intanto nell’organico di diritto si è continuato con l’accorpamento delle classi, sempre più affollate, e l’assunzione di nuovo personale slitta alle calende greche.
L’unica soluzione, sia per i problemi dell’emergenza sanitaria, sia per i tradizionali problemi dell’istruzione, è l’abbattimento del numero di alunni per classe. Secondo fonti giornalistiche, sono 160.000 su 400.000 le aule che evidenziano problemi di sicurezza: un governo che avesse a cuore i problemi della scuola e intendesse risolverli avrebbe uno strumento a disposizione: la requisizione immediata, in attesa che l’edilizia scolastica fornisca le aule mancanti, magari utilizzando le strutture occupate dai militari che potrebbero andare in campi prolungati, visto che questo rientra nel loro addestramento, mentre le lezioni all’aperto non fanno parte del programma ministeriale.
Una volta ridotto il numero di alunni per classe e trovate le aule, assume un senso diverso e più concreto la richiesta di nuove assunzioni nel settore.
Se si vuole che a settembre la scuola riapra in sicurezza e senza didattica a distanza, bisogna muoversi subito: quello che è stato perso con l’organico di diritto può essere recuperato con l’organico di fatto, che viene definito nel mese di luglio. Per questo non servono tavoli istituzionali e accordi: perché governo e ministero smettano di fiancheggiare Confindustria e i grandi gruppi informatici bisogna creare un movimento di massa basato sull’autorganizzazione e sulla pratica dell’azione diretta, che faccia esplodere le contraddizioni di questa operazione. Gli Stati Uniti insegnano.
Federazione Anarchica Livornese
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By collettivo
– Giugno 25, 2020
Per la liberazione dei prigionieri politici in Turchia
Fermiamo la guerra al Kurdistan
Sabato 27
h 11:00
Via Grande angolo Via del Giglio
Nella giornata di mobilitazione in sostegno ai prigionieri politici in Turchia e di fronte a un inasprimento della guerra dello stato turco in Kurdistan con gli attacchi a Şengal, Maxmur e Qandil, saremo presenti in piazza anche a Livorno.
Nel pomeriggio di sabato 27 invitiamo a partecipare alla manifestazione che si terrà a Firenze dalle ore 17 in P. Della Repubblica
http://www.retekurdistan.it/…/sabato-27-giugno-in-piazza-d…/
Di seguito l’appello per la giornata di mobilitazione del 27
http://www.uikionlus.com/appello-per-una-mobilitazione-per…/
E l’appello per fermare l’attacco al Kurdistan
http://www.uikionlus.com/ovunque-e-kurdistan-ovunque-e-res…/
Livorno per il Rojava
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By collettivo
– Giugno 23, 2020
Stragi nazifasciste e lotte di liberazione
GIOVEDÌ 18 GIUGNO
Presso la FEDERAZIONE ANARCHICA LIVORNESE
Via degli Asili 33
Ore 18: presentazione del libro “Mommio paese martire della resistenza”
ne parliamo con Lido Lazzerini, autore del libro e sopravvissuto alla strage nazifascista di Mommio del 4 e 5 maggio 1944
Ore 21.30: proiezione del film “CORBARI” (1970) di Valentino Orsini
L’iniziativa si terrà nel giardino di Via degli Asili 33-35
COLLETTIVO ANARCHICO LIBERTARIO
FEDERAZIONE ANARCHICA LIVORNESE
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By collettivo
– Giugno 17, 2020
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By collettivo
– Giugno 15, 2020
Oggi 13 giugno ore 17 ai 4 mori
Contro il colonialismo vecchio e nuovo
Chiudere i CPR! Via le truppe italiane dall’Africa!
Per un mondo senza razzismo e polizia
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By collettivo
– Giugno 13, 2020
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By collettivo
– Giugno 12, 2020
Il 3 giugno a Livorno contro le spese militari e la guerra, per l’accesso alla salute, all’istruzione e al reddito per tutt* siamo tornati in piazza rincontrando tante compagne e compagni, e parlando con tante persone interessate.
di seguito il testo del volantino distribuito
Ospedali e scuole collassano
nel 2020 le spese militari aumentano
A causa dei tagli al servizio sanitario degli ultimi decenni l’impatto della pandemia è stato più grave e drammatico. Le scuole cadono a pezzi e gli edifici non sono adeguati alle misure di prevenzione sanitaria. Per l’ISTAT nel 2020 ci saranno 385 mila disoccupati in più.
Di seguito il testo del volantino distribuito
Nel 2020 lo stato italiano spenderà 26,3 miliardi di euro per la guerra, 72 milioni al giorno.
Per anni i governi che si sono succeduti hanno detto che non c’erano soldi per la salute, per l’istruzione, per il reddito. Ma la spesa militare continua ad aumentare, nel 2020 sarà di 1 miliardo e mezzo in più rispetto al 2019, con un aumento del 6%.aa
Isoldi ci sono per tre nuove portaerei, per le missioni militari all’estero; per continuare la politica estera di aggressione in Africa e in Asia, contro la popolazione civile, al servizio dei grandi gruppi monopolistici, per la conquista di fonti di approvvigionamento e mercati.
I soldi ci sono per l’operazione strade sicure e la militarizzazione delle città. L’emergenza sanitaria ha visto i militari impiegati a soffocare le proteste di lavoratrici e lavoratori.
Il 2 giugno la Festa della Repubblica viene celebrata ogni anno con costosissime parate militari e di fatto viene ad esserela festa delle forze armate.
Per questo il 3 giugno a Livorno saremo in piazza contro il governo, contro le spese militari e la guerra, per la salute, l’accesso all’istruzione e il reddito per tutt*.
BASTA GUERRA –BASTA SPESE MILITARI!
Federazione Anarchica Livornese
Collettivo Anarchico Libertario
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By collettivo
– Giugno 4, 2020
Mentre ospedali e scuole collassano
nel 2020 le spese militari aumentano
A causa dei tagli al servizio sanitario degli ultimi decenni l’impatto della pandemia è stato più grave e drammatico. Le scuole cadono a pezzi e gli edifici non sono adeguati alle misure di prevenzione sanitaria. Per l’ISTAT nel 2020 ci saranno 385 mila disoccupati in più.
Nel 2020 lo stato italiano spenderà 26,3 miliardi di euro per la guerra, 72 milioni al giorno.
Per anni i governi che si sono succeduti hanno detto che non c’erano soldi per la salute, per l’istruzione, per il reddito. Ma la spesa militare continua ad aumentare, nel 2020 sarà di 1 miliardo e mezzo in più rispetto al 2019, con un aumento del 6%.
Isoldi ci sono per tre nuove portaerei, per le missioni militari all’estero; per continuare la politica estera di aggressione in Africa e in Asia, contro la popolazione civile, al servizio dei grandi gruppi monopolistici, per la conquista di fonti di approvvigionamento e mercati.
I soldi ci sono per l’operazione strade sicure e la militarizzazione delle città. L’emergenza sanitaria ha visto i militari impiegati a soffocare le proteste di lavoratrici e lavoratori.
Il 2 giugno la Festa della Repubblica viene celebrata ogni anno con costosissime parate militari e di fatto viene ad esserela festa delle forze armate.
Per questo il 3 giugno a Livorno saremo in piazza contro il governo, contro le spese militari e la guerra, per la salute, l’accesso all’istruzione e il reddito per tutt*.
BASTA GUERRA –BASTA SPESE MILITARI!
Presidio in Piazza Grande
3 giugno ore 17:30
(Con attenzione alle modalità di prevenzione del rischio sanitario)
Federazione Anarchica Livornese
Collettivo Anarchico Libertario
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By collettivo
– Giugno 1, 2020