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Assemblea: Facciamo come a Carrara!

FACCIAMO COME A CARRARA!

Assemblea cittadina sabato 29 novembre, alle ore 17,00 presso la sede della Federazione Anarchica Livornese, Via degli Asili 33

parteciperà un membro dell’Assemblea Permanente di Carrara

 

LAVORATORI, SOTTOCCUPATI, PRECARI, DISOCCUPATI

L’UNIONE È LA NOSTRA FORZA!

 

La disoccupazione a Livorno sta assumendo le dimensioni di un disastro: per migliaia di lavoratori l’insicurezza sta lasciando il posto al licenziamento.

Si tratta di un dramma che si scarica sulle vittime, i lavoratori, mentre i responsabili, amministratori, politici, capitalisti, sono sempre al loro posto. Anche i dirigenti dei sindacati pronta-firma, protagonisti delle vicende più vergognose, dallo smantellamento del Cantiere Navale alla truffa della Delphi, cercano di rifarsi una verginità agli occhi dei lavoratori.

Gli anarchici livornesi sono al loro posto, al fianco degli altri sfruttati, nella lotta contro i ricatti, per mezzo dell’azione diretta e dell’autorganizzazione.

La soluzione della crisi è nelle mani dei lavoratori: o accettare il ricatto che i padroni e i loro servi politici e sindacali fanno loro, subendo la diminuzione dei diritti, dei salari e l’aumento dell’orario di lavoro, oppure prendendo in mano quelle aziende che i padroni hanno portato al fallimento, producendo per se e per la colettività, e non per qualche parassita che non ha mai lavorato.

E’ possibile questo?

A Carrara i cittadini hanno sperimentato sulla loro pelle il disinteresse delle istituzioni: un’alluvione all’anno! Alla fine i cittadini hanno occupato il comune e dato vita all’Assemblea permanente, con lo scopo di trasformare la rabbia e la protesta in un percorso di autogestione che esautori chi governa la città e chi aspira a prenderne il posto.

Anche a Livorno ci troviamo di fronte ad un disastro, un disastro occupazionale, e i protagonisti sono gli stessi! Per anni si è detto ai lavoratori di farsi carico dell’economia cittadina, di sacrificarsi per difendere l’occupazione, di rinunciare a questo o quel diritto, a questa o quella conquista, mentre capitalisti, politici dirigenti dei sindacati di stato facevano solo i loro porci interessi; e ora la soluzione alla crisi di oggi sarebbe che i lavoratori contnuino a fare gli interessi di qualcun altro.

Gli anarchici, lavoratori fra lavoratori, pensano che sia giunto il momento di riprendere il nostro destino nelle nostre mani.

Per la difesa del reddito proletario, messo a rischio dai tagli alla Cassa Integrazione in deroga e alla mobilità previsti dal decreto “Salva Italia”;

per distribuire il lavoro esistente fra occupati e disoccupati;

per sostituire l’autogestione dei lavoratori e dei cittadini della produzione, alla gestione capitalistica e statale, che proprio con la disoccupazione dimostra il suo fallimento.

 

Federazione Anarcica Livornese

Collettivo Anarchico Libertario

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Chiesa Cattolica e conflitto sociale

Chiesa Cattolica e conflitto sociale

Ci fa piacere che anche Simone Giusti, il pisano a capo della diocesi
livornese della Chiesa cattolica, si sia accorto che a Livorno sia in
corso un drammatico conflitto sociale.

Sono anni che a Livorno, come in tutta Italia, è in corso una guerra
contro i lavoratori, gli sfruttati, i ceti popolari.  I licenziamenti,
gli sfratti, i tagli ai servizi sociali, l’aumento delle tasse, la
miseria crescente e il peggioramento del tenore di vita sono tutti
segnali di questa guerra.

Chi vive nei quartieri popolari se ne è accorto da anni, come si è
accorto da anni della repressione crescente: licenziamenti
discriminatori, diminuzione dei diritti sul posto di lavoro, denunce,
manganelli, fogli di via, denunce e arresti per chi non si rassegna
alle scelte delle istituzioni, locali e nazionali.

Ma le classi privilegiate si accorgono di questa guerra solo quando le
vittime si organizzano pèer resistere alla violenza, quando i
lavoratori della TRW prendono iniziative non concordate con i
sindacati pronta-firma, quando migliaia di livornesi scendono
pacificamente in strada, senza l’imprimatur di organizzaizoni
ufficiali.
Allora i capitalisti hanno paura, e i loro servi parlano del rischio di
conflitto sociale. Ecco cosa dimostrano le parole di Simone Giusti:
se gli operai vogliono che si parli di loro, devono fare paura.
Devono fare paura perché si organizzano da soli, senza pastori
addomesticati, perché rompono le regole del gioco con l’azione
diretta e l’autorganizzazione.
E la soluzione dei problemi dei lavoratori non sarà certo la minestra
riscaldata della Caritas. Il conflitto sociale avrà fine solo quando
scomparirà la divisione in classi della società.

La Commissione di Corrispondenza
della Federazione Anarchica Livornese

 

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De-industrializzazione e comunismo anarchico

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De-industrializzazione e comunismo anarchico

La de-industrializzazione è un fenomeno ormai caratteristico dei paesi capitalistici avanzati, in questo scritto chiarirò innanzi tutto l’impatto della de-industrializzazione su tutti i paesi capitalistici, in secondo luogo cercherò di definire le implicazioni di questo fenomeno sul superamento del capitalismo, sulla trasformazione della società in senso comunista libertario. Questo tema non ha solo implicazioni di analisi e di dibattito torico, ma ha un impatto molto duro su milioni di proletari, su cui incombe lo spettro della disoccupazione.

Ci farà da guida in questa riflessione un intervento di Michael Roberts, un economista marxista, sul proprio blog, dal titolo “De-industrialisation and socialism”. Il lavoro di Roberts pare dalla constatazione dell’evidente declino del settore industriale come produzione e forza lavoro occupata nelle econimie capitalistiche mature nel XX secolo.

Ciò nonostante, il mondo non si sta “de-industrializzando”. E’ possibile usare le statistiche dell’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro), con l’avvertenza che i lavoratori industriali sono molto sottostimati, in quanto i trasporti, le comunicazioni e molti lavoratori in settori ad alta tecnologia sono inseriti nel settore dei servizi. Secondo quest statistiche, in tutto il mondo nel 1991 c’erano 2 miliardi e 200 milioni di persone impiegate nella produzione, oggi sono 3 miliardi e 200 milioni: la forza lavoro globale, quindi, è cresciuta di un miliardo di unità negli ultimi 20 anni.

In particolare la forza lavoro occupata nel settore industriale è cresciuta del 46%, da 490 milioni nel 1991 a 715 milioni nel 2012, e si prevede che raggiungerà gli 800 milioni alla fine del decennio. Se noi consideriamo gli anni dal 1991 al 2012, la forza lavoro industriale è cresciuta dell’1,8% all’anno, mentre se consideriamo gli anni dal 2004 al 2012 la crescita è stata del 2,7%!

Ma se questa è la tendenza globale, per quanto riguarda le cosiddette economie capitalistiche sviluppate la froza lavoro industriale è diminuita da 130 milioni nel 1991 a 107 milioni nel 2012. Possiamo quindi affermare che la deindustrializzazione è un fenomeno delle economie capitalistiche mature, ma non di quelle “emergenti” e sottosviluppate.

In tutto il mondo, la percentuale delle forza lavoro impiegata nel settore industriale sul totle della forza lavoro è cresciuta dal 22 al 23%, mentre nello stesso periodo la percentuale della forza lavoro occupata in agricoltura è crollata dal 44 al 32%; possiamo dire che il processo di produzione capitalistico succhia contadini e lavoratori agricoli dalle zone rurali e li trasforma in lavoratori industriali nelle grandi città, e questo è un processo che continua. Il settore dei servizi che, come abbiamo visto, è così mal definito, è diventato il più importante, occupando da 34% nel 1991 al 45% nel 2012 della forza lavoro globale.

Esistono quindi delle ragioni di fondo che spingono le società capitaliste mature verso la de-industrializzazione. La principale è senza dubbio il mantenimento del saggio di profitto del capitale: ormai non è più conveniente per il capitale investire nelle economie sviluppate, così il capitle contrasta la caduta del saggio di profitto con la globalizzazione e cercando forza lavoro più a buon mercato da sfruttare. C’è da tener presente che le economie più avanzate dal punto di vista capitalistico sono quelle dei paesi imperialisti: nelle metropoli imperialiste l’esportazione di capitali prende il sopravvento sull’esportazione di merci, e quindi le funzioni legate al comando e al controllo dei flussi finanziari prendono il sopravvento sulla produzione immediata. Questo porta al declino dell’industria manifatturiera, se si toglie la produzione di lusso; e ha delle conseguenze anche sulla composizione di classe, con l’aumento dei lavoratori che erogano servizi personali, e con la nascita di un’aristocrazia operaia, beneficiaria di una piccola parte dei sovraprofitti dell’imperialismo, e legata mani e piedi ai destini di questo. Da questa frazione della classe operaia escono i quadri dei partiti parlamentari di sinistra e dei sindacati di Stato, è in questa origine di classe, oltre che nella struttura verticistica e autoritaria, la spiegazione dei continui tradimenti dei riformisti, e come non si possa avere fiducia nelle promesse di questi signori, anche quando vengono fatte in buona fede.

A questo punto Michael Roberts si pone due domande: il futuro del capitalismo sarà la scomparsa del proletariato quale soggetto del cambiamento, sarà una società senza industrie, dole la gente potrà aspettare la riduzione dell’orario di lavoro per vivere e potrà avere crescenti periodi di tempo libero? E ancora, se nel futuro non ci saranno né industria né classe operaia, che senso ha proporre il ritorno alla manifattura e all’industria come la strada per raggiungere una società migliore?

Già J. M. Keynes negli anni ’30 del secolo scorso aveva fatto previsioni di questo tipo, di un “postcapitalismo” basato sul tempo libero e senza povertà. Queste previsioni sono state costantemente smentite, e anche su questo giornale segnaliamo dati ed episodi che dimostrano la crescente miseria, morale e materiale, delle classi popolari. Ma tutto questo ovviamente non basta: l’ideologia borghese periodicamente propone il paradiso del capitalismo al termine del periodo di sacrifici, dobbiamo sacrificarci oggi per stare meglio domani, ma questo meglio non viene mai.

Come Michael Roberts, anch’io sono convinto che non sia possibile un cambiamento graduale del capitalismo, ma che per passare ad una società post capitalista di benessere e tempo libero per tutti sia necessaria una rottura radicale, uno slancio rivoluzionario.

Le domande che si pone Roberts meritano comunque una risposta, innanzi tutto perché oggi migliaia di lavoratori vengono spinti a mobilitarsi contro la disoccupazione, chiedendo una politica industriale che forse è irrealizzabile, poi perché bisogna capire quale strada deve prendere la trasformazione sociale, e quale ruolo in essa gioca l’industria e i lavoratori occupati in quel settore.

Per sintetizzare: milioni di persone, nei paesi capitalistici avanzati, sono senza lavoro, mentre i mezzi di produzione, macchine, impianti, materie prime, terreni agricoli rimangono inutilizzati. D’altra parte i ceti popolari mancano di beni e servizi necessari alla vita, alla salute, alla cultura. Sembrerebbe quindi che basti un’iniziativa politca, un’iniziativa di programmazione economica che rilanci l’economia per mettere a posto le cose. In realtà questo è meno facile del previsto, perché si scontra con il profitto di ogni singolo capitalista, con la proprietà privata dei mezzi di produzione, con il governo che protegge le classi priilegiate. L’iniziativa sindacale da sola, la solidarietà fra gli sfruttati non è sufficiente a cambire le cose, se non si cambia tutta la società.

Quale può essere il ruolo dei lavoratori industriali in questo cambiamento? Chi cerca un soggtto rivoluzionario, indicando con questo nome una massa di manovra da utilizzare nei propri piani politici, può farsi guidare dalle oscillazioni numeriche delle varie componenti della forza lavoro. Il movimento anarchico sostiene che l’emancipazione dei lavoratori dev’essere opera dei lavoratori stessi, non può essere delegata ad un partito o ad un governo. Se i lavoratori vogliono emanciparsi, devono togliere ai capitalisti il possesso dei mezzi di produzione, e usarli a vantaggio di tutti, anziché del profitto individuale. Questo è vero tanto se i lavoratori industriali sono il 30% della forza lavoro, quanto se sono il 20%! Il percorso di emancipazione è tale se i lavoratori si danno forme di organizzazione che aumentano la loro libertà, non se c’è un governo che, per mezzo di decreti, pone fine al dominio dei capitalisti.

Accanto alla diminuzione della forza lavoro industriale, nei paesi capitalitici sviluppati, assistiamo alla crescita dei settori destinati alle produzioni di lusso, degli armamenti e così via. E’ ovvio che per questi settori non si pone solo il problema della autogestione ma anche quello della riconversione. Inoltre, la miseria delle classi popolari non deriva solo dall’accaparramento di certi beni da parte degli speculatori, ma dal fatto che la produzione non è organizzata per soddisfare i bisogni delle grandi masse; occorre quindi accompagnare l’esproprio dei capitalisti e l’autogestione della produzione con un piano destinato a migliorare il tenore di vita degli sfruttati. Si tratta di spostare risorse, forza lavoro impianti e tutto quanto è necessario dai settori che producono beni di lusso, o lavorano esenzialmente per beni d’investimento, ai settori produttivi destinati a soddisfare i bisogni popolari. Si tratta di un piano che va in direzione contraria al meccanismo del capitalismo, basato sulla crescita esponenziale della produzione, e quindi sulla produzione di mezzi di produzione, e sulla produzione di beni di lusso.

In quest’ottica tutta una serie di settori oggi fiorenti scompariranno, o saranno ridimensionati; si arriverà così ad una vera de-industrializzazione, anche nell’ottica del superamento della divisione tra città e campagna. Se la prospettiva in cui ci muoviamo è questa, non possiamo che arrivare alla conclusione che l’autogestione della produzione è solo un aspetto della rivoluzione sociale: essa si deve integrare con la gestione sociale della produzione, perché essa non coinvolge solo i lavoratori, ma i consumatori, i cittadini che vivono intorno, come le lotte ambientali ci hanno insegnato, e che un governo centrale è incapace di comprendere.

Ecco che allora la lotta per una politica industriale appare per quello che è un modo per ingannare i lavoratori, spoingerli a nuovi sacrifici, affidarsi agli sfruttatori di turno e perdere di vista la prospettiva della trasformazione sociale, che sola può metter fine a questa vita di incertezza, di disoccupazione, di miseria.

Tiziano Antonelli

 

Questo articolo è stato pubblicato sull’ultimo numero di Umanità Nova.

A Livorno puoi acquistare il nuovo numero del settimanale anarchico presso le edicole di Piazza Garibaldi, Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso l’edicola Dharma Viale di Antignano 110, la Libreria Belforte in Via della Madonna, il bar Dolcenera all’angolo tra Via della Madonna e Viale degli Avvalorati e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20).

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Turchia, Intervista ai/le compagn* del DAF

DAF in Kobane

Da due anni a questa parte le fondamenta della rivoluzione sociale sono in fase di sviluppo in Rojava, il Kurdistan occidentale. Sostenendo questo, è difficile ignorare il fatto che alla base dell’attacco contro Kobanê ci sono gli interessi politici dello Stato Turco e del capitalismo globale. Abdülmelik Yalcin e Merve Dilber di Azione Anarchica Rivoluzionaria, erano nella regione di Suruc, al confine con Kobanê, sin dal primo giorno della resistenza contro i tentativi di oscurare la rivoluzione del popolo, in solidarietà con il popolo della regione. Noi li abbiamo intervistati riguardo alla Resistenza di Kobanê e alla Rivoluzione della Rojava.

 

Fin dall’inizio della Resistenza di Kobanê, avete organizzato molte proteste e fatto volantini e manifesti. Avete anche partecipato alla “catena umana di guardia del confine” che era organizzata nel villaggio di Suruc, vicino al confine con Kobanê. Con qule scopo siete andati laggiù? Potete dirci quello che avete vissuto là?
M. D.: A causa della Rivoluzione della Rojava i confini tra le parti del Kurdistan che si trovavano all’interno del territorio della Siria e della Turchia hanno iniziato a dissolversi. Lo Stato Turco ha pure provato a costruire un muro per distruggere questo effetto della rivoluzione. Nel bel mezzo della guerra e degli interessi del capitalismo globale e degli stati nella regione, il popolo curdo in Siria ha fatto un passo lungo il sentiero che porta alla rivoluzione sociale. Grazie a questo passo è emerso un fronte reale che porta alla libertà del popolo e, a Kobanê, un attacco totale contro la rivoluzione è iniziato per mano dell’ISIS, l’orda violenta prodotta dal capitalismo globale. Quando noi, come anarchici rivoluzionari, abbiamo valutato la situazione a Kobanê e nella Rojava, è stato impossible per noi non essere direttamente coinvolti in essa. Considerando che i confini tra gli stati sono stati aboliti, è vitale essere solidali con coloro che resistono a Kobanê. Noi siamo al quindicesimo mese della Rivoluzione della Rojava. In questi quindici mesi, abbiamo organizzato molte proteste unitarie ed abbiamo fatto volantinaggi e attacchinaggi. Allo stesso modo, durante l’ultima ondata di attacchi contro la rivoluzione a Kobanê, abbiamo fatto molti volantinaggi e attacchinaggi ed abbiamo anche organizzato molte proteste in strada. Dovevamo comunque andare al confine di Kobanê per salutare la lotta del popolo curdo per la libertà, contro gli attacchi dell’orda dell’ISIS. Nella notte del 24 settembre siamo partiti da Istanbul per il confine di Kobanê. Abbiamo incontrato i nostri compagni che sono arrivati un poco prima e insieme abbiamo iniziato la nostra catena umana a guardia del confine nel villaggio di Boydê, ad ovest di Kobanê. C’erano cetinaia di volontari come noi che venivano al confine da diverse parti dell’Anatolia e della Mesopotamia, formando una catena umana lungo i 25 km della linea di confine nei villaggi di Boydê, Bethê, Etmankê e Dewşan.

Uno degli obiettivi della catena umana era fermare il supporto di uomini, armi e logistica per l’ISIS da parte dello Stato Turco, il cui appoggio all’ISIS è conosciuto da tutti. Nei villaggi di confine la stessavita si è trasformata in vita comune, nonostante le condizioni di guerra. Un altro obiettivo della nostra attività di guardia del confine era intervenire in solidarietà con la popolazione di Kobanê, che era dovuta fuggire dall’attacco contro Kobanê, e che era trattenuta al confine per settimane e che veniva pure attaccata dalla polizia militare turca (jandarma). Nei primi giorni delle nostre azioni di guardia del confine, abbiamo tagliato le recinzioni e abbiamo raggiunto Kobanê insieme alle persone venute da Istanbul.

 

Potete dirci cosa è successo dopo che avete attraversato il confine verso Kobanê?

A.Y.: Nel momento in cui abbiamo passato il confine, siamo stati salutati con enorme entusiasmo. Nei villaggi di confine di Kobanê, tutti, giovani e anziani, erano nelle strade. I guerriglieri delle YPG e YPJ hanno salutato sparando in aria la nostra eliminazione dei confini. Abbiamo manifestato per le strade di Kobanê. Più tardi abbiamo avuto una conversazione con la popolazione di Kobanê e con i guerriglieri delle YPG/YPJ che difendono la rivoluzione. È molto importante che i confini che gli stati hanno eretto tra i popoli siano distrutti in questo modo. Questa azione che è avvenuta in condizioni di guerra mostra una volta di più che le sollevazioni e le rivoluzioni non possono essere fermate dai confini degli stati.

 

Sono circolate molte notizie riguardo ad attacchi da parte della polizia militare e di poliziotti regolari contro le persone che hanno partecipato alla “catena umana di guardia del confine” e contro la popolazione rurale vicino al confine. Cosa cerca di ottenere lo Stato Turco con queste prepotenze sul confine? Cosa pensate di questo?


A.Y.:
Sì, è vero che la politica dello Stato Turco è quella di attaccare tutti coloro che sono coinvolti nella guardia de confine e che vivono nei villaggi di confine, e tutti coloro che da Kobanê provano ad attraversare il confine. Qualche volta gli attacchi accadono frequentemente e a volte durano per giorni. È ovvio che ogni attacco ha una propria giustificazione come ha un proprio scopo. Abbiamo osservato che durante quasi tutti gli attacchi dei militari (gendarmeria), i camion traspotrano qualche cosa dall’altra parte del confine. Non siamo sicuri dell’esatto contenuto di questi trasporti verso l’ISIS. Comunque, abbiamo potuto capire dalla potenza degli attacchi che a volte si trattava di lasciar attraversare il confine a persone che volevano unirsi all’ISIS, a volte si trattava di inviare armi e altre volte ancora di fornire all’ISIS le sue necessità quotidiane.Questi trasporti spesso sono caricati su veicoli con numeri di targa riconducibili alle autorità e altre volte da bande che fanno “traffici” protetti dallo stato. Inoltre queste bande protette dallo stato hanno usurpato le proprietà delle persone di Kobanê che aspettano al confine. La polizia militare d’altra parte lascia le persone attraversare il confine con una tariffa di commissione del 30%. Le politiche dello stato contro la popolazione locale sono rimaste le stesse negli anni. A causa delle condizioni di guerra, questa politica è diventata ora molto più visibile. Gli attacchi al confine sono condotti con il proposito di intimidire le persone che prendono parte alle azioni di guardia del confine e la popolazione dei villaggi di confine.

 

Nonostante lo Stato Turco lo neghi, è abbastanza noto il suo supporto all’ISIS. In ogni caso voi dite che adesso, pure le persone che attraversano il confine per unirsi all’ISIS possono essere viste facilmente. Quindi in questa regione non è un segreto che lo Stato Turco supporti l’ISIS. Come funziona questo supporto al confine?


M. D.:
Lo Stato Turco ha insistentemente negato il suo supporto all’ISIS. Ad ogni modo, ironicamente, ogni qual volta ha fatto una dichiarazione di smentita, un nuovo trasporto veniva organizzato al confine. Molti di questi trasporti sono abbastanza grandi da essere osservati facilmente. Per esempio: diversi veicoli portavano “pacchi di aiuti” al confine.Siamo stati testimoni del fatto che decine di “veicoli di servizio” con vetri oscurati attraversavano il confine. Nessuno si domanda seriamente cosa ci sia in questi veicoli. Noi tutti sappiamo che le necessità dell’ISIS sono soddisfatte attraverso questo canale.

 

Potresti per favore spiegarci quale sia, sul piano storico come su quello contemporaneo, l’importanza per gli anarchici rivoluzionari di abbracciare la Resistenza di Kobanê e la rivoluzione di Rojava, soprattutto in un periodo come questo?


A.Y.:
La Resistenza di Kobanê e la Rivoluzione della Rojava non deve essere considerata in modo separato dalla lunga storia della lotta del popolo curdo per la libertà. Nella terra in cui viviamo, la lotta del popolo curdo per la libertà è chiamata “il problema curdo”. Per anni è stato rappresentato in modo errato come un problema causato dal popolo e non dallo stato. Noi lo diciamo ancora: questa è la lotta del popolo curdo per la libertà. L’unico problema qui è lo stato. Il popolo curdo ha combattuto una lotta di esistenza contro la politica di distruzione e di negazione della Repubblica Turca per anni, e per centinaia di anni contro altri poteri politici in queste terre. Questa lotta contro lo stato e il capitalismo è espressa dal potere organizzato del popolo. Nello slogan “il PKK è il popolo, il popolo è qui”, è chiaro chi sia questo agente politico, che si definisce in ciascuno individuo, e dunque chi sia questo potere organizzato. Da quando abbiamo fondato nella lotta la nostra analisi, in differenti contesti, la nostra relazione con individui curdi, la società e le organizzazioni del popolo curdo, è stata di solidarietà reciproca. Noi basiamo questa relazione sulla prospettiva della lotta dei popoli per la libertà. Nella lotta del popolo per la libertà, i movimenti anarchici sono sempre stati dei catalizzatori. Nell’epoca in cui il Socialismo non poteva uscire dall’Europa, quando non esistevano teorie sul “Diritto della nazioni a scegliere il proprio destino”, il movimento anarchico ha assunto forme diverse in diverse regioni del mondo, come la lotta del popolo per la libertà. Per capire questo, è sufficiente vedere l’influenza dell’anarchismo sulle lotte popolari in un’ampia gamma dall’Indonesia al Messico. Inoltre, né la rivoluzione in Rojava, né la lotta degli Zapatisti in Chiapas si adatta alla definizione della classica lotta di liberazione nazionale. La Nazione come termine politico per sua definizione chiaramente comprende lo stato. Quindi mentre si considera la lotta popolare per l’autorganizzazione senza stato, dobbiamo prendere le distanze dal concetto di nazione. D’altra parte il nostro approccio non comprende paragoni e similitudini tra la Resistenza di Kobanê ed altri esempi storici. Attualmente differenti gruppi citano differenti periodi storici e paragonano la Resistenza di Kobanê a questi esempi. Tuttavia, bisogna sapere che la Resistenza di Kobanê è la Resistenza di Kobanê stessa, che la Rivoluzione della Rojava è la Rivoluzione della Rojava stessa. Se qualcuno vuole associare a qualcosa la Rivoluzione della Rojava, che ha creato le basi per la rivoluzione sociale, può studiare la rivoluzione sociale che venne realizzata nella Penisola Iberica.

 

Nonostante la resitenza a Kobanê stia avvenendo al di fuori dei confini dello Stato Turco, manifestazioni di solidarietà hanno luogo in ogni angolo del mondo. Qual’è la vosta valutazione degli effetti della Resistenza di Kobanê – pure della Rivoluzione della Rojava – in particolare nell’Anatolia ma anche nel Medio Oriente e anche a livello globale? Quali sono le vostre previsioni in relazione a questi effetti?
M. D.: Gli appelli alla serhildan (parola curda che significa rivolta) hanno trovato risposta in Anatolia, in particolare in città del Kurdistan. Sin dalla prima notte (di manifestazioni) tutti nelle strade hanno salutato la Resistenza di Kobanê e la rivoluzione della Rojava contro le bande dell’ISIS e lo Stato Turco che le sostiene. Specialmente nelle città del Kurdistan, lo stato ha attaccato la serhildan del popolo con la sue forze di polizia e con sicari paramilitari. Lo stato ha terrorizzato il Kurdistan uccidendo 43 dei nostri fratelli attraverso i sicari di Hizbulkontra (un gioco di parole che unisce i termini Hizbullah, organizzazione paramilitare turca sunnita, e Contra, in riferimento alle tattiche di contro-insorgenza. Quindi se Hizbullah significa “partito di dio” Hizbulkontra significa “partito del contra”). Questi massacri stanno indicando quanto lo Stato Turco tema la rivoluzione della Rojava e la possibilità che tale rivoluzione possa anche generalizzarsi nel suo territorio. Attaccando con la disperazione generata dalla paura, lo Stato Turco e il capitalismo globale hanno un’altra paura, che è ovviamente legata alla regione del Medio Oriente. Nel Medio Oriente, nonostante tutti i piani, il saccheggio e la violenza prodotta: la rivoluzione riesce ancora ad emergere. Questo ha fatto saltare tutti i piani del capitalismo globale e degli stati della regione. Questo è un cambiamento radicale tale che, nonostante tutte le efferatezze, la rivoluzione sociale potrebbe emergere nella Rojava. Questa rivoluzione è la risposta a tutti i dubbi riguardo alla possibilità di una rivoluzione in questa regione e su scala globale. Ha rafforzato la fiducia nella rivoluzione, in particolare per le persone di questa regione ma anche a livello globale. Il proposito di tutte le rivoluzioni sociali nella storia è stato quello di raggiungere una rivoluzione socializzata su scala globale.

In questa prospettiva noi facciamo appello ai gruppi anarchici a livello internazionale ad agire in solidarietà con la Resistenza di Kobanê e la Rivoluzione della Rojava. Con il nostro appello alla solidarietà, anarchici da diverse parti del mondo in Germania, come ad Atente, a Bruxelles, a Amsterdam, a Parigi e a New York hanno tenuto manifestazioni. Noi salutiamo ancora una volta ogni organizzazione anarchica che ha recepito il nostro appello, che ha organizzato manifestazioni a partire dal nostro appello, e coloro che sono stati qui con noi nella catena umana di guardia del confine.

 

Fin dai primi giorni dell’attacco dell’ISIS, i media sostenuti dallo Stato Turco hanno prodotto un sacco di notizie che affermavano che Kobanê stava per cadere. Comunque, dopo più di un mese hanno capito questo: Kobanê non cadrà! Sì, Kobanê non è caduta e non cadrà. Noi, come giornale Meydan, salutiamo la vostra solidarietà con Kobanê. C’è qualcos’altro che volete aggiungere?


M. D.:
Noi, come anarchici rivoluzionari, abbiamo visto, abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo l’invincibilità della fiducia nella rivoluzione, pure nelle circostanze di guerra nella nostra regione. Quello che sta accadendo nella Rojava è una rivoluzione sociale! Questa rivoluzione sociale, dove i confini sono aboliti, gli stati vengono resi impotenti, i piani del capitalismo globale sono stati messi in difficoltà, si generalizzerà anche nella nostra regione. Noi invitiamo ogni individuo oppresso a vedere le cose dal punto di vista degli oppressi. Con questa coscienza noi li invitiamo anche a sostenere la lotta organizzata per la rivoluzione sociale. Questa è la sola strada per rendere fertili i semi che sono stati piantati nella Rojava e per far vivere la rivoluzione sociale in più ampie regioni. Viva la Resistenza di Kobanê! Viva la Rivoluzione della Rojava!

Questo articolo è stato pubblicato nel numero 22 del giornale Meydan
Fonte: http://meydangazetesi.org/gundem/2014/10/devrimci-anarsist-faaliyet-ile-kobane-uzerine-roportaj-dehaklara-karsi-kawayiz/

 

La traduzione di questo articolo è stata pubblicata sull’ultimo numero di Umanità Nova.

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NO TAV: Presidio/dibattito QUELLE NOTTI E QUEI GIORNI C’ERAVAMO TUTT*

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QUEI GIORNI E QUELLE NOTTI C’ERAVAMO TUTTI
TUTTI LIBERI!

Presidio e Dibattito pubblico

ore 17:30 in Piazza Cavour

sabato 22 novembre


Per quattro NO TAV, Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, l’accusa ha chiesto nell’udienza del 14 novembre una pesantissima condanna a 9 anni e 6 mesi ciascuno.Gli altri tre, Graziano, Lucio e Francesco, sono ormai da mesi incarcerati e non sanno ancora quando inizierà il processo.
L’opposizione alla devastante ed inutile linea ferroviaria ad alta velocità in Val di Susa ha saputo diventare negli anni un forte movimento popolare, per questo il movimento NO TAV deve confrontarsi con una durissima repressione statale.

Centinaia di imputati, oltre mille indagati, decine di persone sottoposte a varie restrizioni della libertà (obbligo o divieto di dimora, foglio di via), multe da centinaia di migliaia di euro, diversi compagni da mesi agli arresti domiciliari, un processo contro 53 no tav condotto in un’aula bunker, per i quali l’accusa ha chiesto quasi 200 anni complessivi di pena. A questi si aggiungono i sette attivist* attualmente imputati in due diversi processi per aver danneggiato un compressore. Ma il danneggiamento di alcune attrezzature del cantiere, come talvolta è avvenuto in questa lotta ventennale di resistenza, condotta da un movimento popolare che riconosce come propria la pratica del sabotaggio, viene considerata dall’accusa un atto di terrorismo. Secondo il teorema della procura di Torino, un’ opposizione concreta a decisioni prese in sede istituzionale implica una finalità di terrorismo. In questo modo, qualsiasi lotta sociale che si ponga in contrasto con decisioni assunte in sede politica o economica può essere non solo criminalizzata mediaticamente, ma anche incriminata con imputazioni gravissime.
A gennaio verrà emessa la sentenza del Maxiprocesso ai 53 NOTAV per i fatti del 27 giugno e 3 luglio 2011, in cui sono stati richieste condanne per un totale di quasi 200 anni di reclusione e più di due milione di euro per danni a persone, cose e d’immagine.
La Procura di Torino con questi processi è in prima fila per creare un grave precedente in modo che tutte le lotte sociali vengano indagate come ipotesi criminali e diventi legale schiacciare le popolazioni.

– Chi dissente e si oppone verrà accusato di “ricattare” amministrazioni ed istituzioni
– Un danno alla proprietà privata sarà equiparato a ledere la salute e l’incolumità delle popolazioni.
– Resistere all’ingiustizia di fronte ai gravissimi costi della crisi comporterà il venire fermati, perseguitati,indagati ,condannati.

Attaccare alcuni di noi vuol dire attaccare tutti! Nessuno dovrà essere lasciato solo davanti alla repressione!

Prossima udienza il 26 novembre, parola alle difese. E poi il 17, per le sentenze.uol dire attaccare tutti! Nessuno dovrà essere lasciato solo davanti alla repressione!
Si parte,si torna PER FORZA insieme….
No Tav Livorno

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LAVORATORI, SOTTOCCUPATI, PRECARI, DISOCCUPATI L’UNIONE È LA NOSTRA FORZA!

LAVORATORI, SOTTOCCUPATI, PRECARI, DISOCCUPATI

L’UNIONE È LA NOSTRA FORZA!

 

La disoccupazione a Livorno sta assumendo le dimensioni di un disastro: per migliaia di lavoratori l’insicurezza sta lasciando il posto al licenziamento.

Si tratta di un dramma che si scrica sulle vittime, i lavoratori, mentre i responsabili, amministratori, politici, capitalisti, sono sempre al loro posto. Anche i dirigenti dei sindacati pronta-firma, protagonisti delle vicende più vergognose, dallo smantellamento del Cantiere Navale alla truffa della Delphi, cercano di rifarsi una verginità agli occhi dei lavoratori.

Gli anarchici livornesi sono al loro posto, al fianco degli altri sfruttati, nella lotta contro i ricatti, per mezzo dell’azione diretta e dell’autorganizzazione.

La soluzione della crisi è nelle mani dei lavoratori: o accettare il ricatto che i padroni e i loro servi politici e sindacali fanno loro, subendo la diminuzione dei diritti, dei salari e l’aumento dell’orario di lavoro, oppure prendendo in mano quelle aziende che i padroni hanno portato al fallimento, producendo per se e per la colettività, e non per qualche parassita che non ha mai lavorato.

E’ possibile questo?

A Carrara i cittadini hanno sperimentato sulla loro pelle il disinteresse delle istituzioni: un’alluvione all’anno! Alla fine i cittadini hanno occupato il comune e dato vita all’Assemblea permanente, con lo scopo di trasformare la rabbia e la protesta in un percorso di autogestione che esautori chi governa la città e chi aspira a prenderne il posto.

Anche a Livorno ci troviamo di fronte ad un disastro, un disastro occupazionale, e i protagonisti sono gli stessi! Per anni si è detto ai lavoratori di farsi carico dell’economia cittadina, di sacrificarsi per difendere l’occupazione, di rinunciare a questo o quel diritto, a questa o quella conquista, mentre capitalisti, politici dirigenti dei sindacati di stato facevano solo i loro porci interessi; e ora la soluzione alla crisi di oggi sarebbe che i lavoratori contnuino a fare gli interessi di qualcun altro.

Gli anarchici, lavoratori fra lavoratori, pensano che sia giunto il momento di riprendere il nostro destino nelle nostre mani.

Per la difesa del reddito proletario, messo a rischio dai tagli alla Cassa Integrazione in deroga e alla mobilità previsti dal decreto “Salva Italia”;

per distribuire il lavoro esistente fra occupati e disoccupati;

per sostituire l’autogestione dei lavoratori e dei cittadini della produzione, alla gestione capitalistica e statale, che proprio con la disoccupazione dimostra il suo fallimento.

 

FACCIAMO COME A CARRARA!

Assemblea cittadina sabato 29 novembre, alle ore 17,00 presso la sede della Federazione Anarchica Livornese, Via degli Asili 33

parteciperà un membro dell’Assemblea Permanente di Carrara

 

Federazione Anarcica Livornese

Collettivo Anarchico Libertario

 

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Carrara. Occupato il comune, nata l’assemblea permanente

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Carrara. Occupato il comune, nata l’assemblea permanente

11 novembre. L’occupazione del Comune di Carrara è arrivata al suo quarto giorno. Tanti cittadini, esasperati dall’ultima alluvione, sabato scorso avevano dato vita ad una manifestazione davanti al comune. Sin dal mattino qualche manifestante aveva occupato la sala consiliare. L’occupazione di massa è scattata intorno all’una, quando il sindaco ha deciso di affacciarsi alla finestra, dichiarando che sia lui sia la sua giunta non si consideravano responsabili dell’accaduto.
I pochi carabinieri di guardia alla scalinata d’accesso al comune hanno capito al volo e, dopo aver messo al sicuro il sindaco, se ne sono andati.

Diverse centinaia di persone fanno a turno nella sala occupata. Qualche politico sperava che la protesta facesse da volano per la nascita di una lista civica, ma si è presto disilluso di fronte alla determinazione dell’assemblea popolare ad autogestire la lotta e la gestione dell’emergenza. E’ nata l’assemblea permanente dei cittadini di Carrara, con riunioni quotidiane ogni giorno alle 18. I partecipanti hanno dato vita a vari gruppi di lavoro e si sono dotati di un ufficio di comunicazione, con il compito di trasmettere all’esterno le decisioni dell’assemblea.

A Carrara ci sono state 4 alluvioni in undici anni che, sommate a quelle dei paesi vicini, arrivano ad un’alluvione all’anno. Al di là di qualche intervento tampone è stato fatto poco o nulla. Questa volta, grazie all’abbassamento dell’alveo del fiume Carriona e all’innalzamento degli argini, il centro storico si è salvato dall’inondazione, ma la frazione a mare di Marina è stata investita in pieno. I tanti volontari che sono immediatamente accorsi per dare una mano cercando di salvare qualcosa, si sono trovati di fronte scene di grande desolazione: in numerose case poco o nulla era sfuggito alla furia delle acque.

La rabbia è tanta, perché è forte la consapevolezza che il dissesto idrogeologico non può essere affrontato con provvedimenti tampone, ma servirebbero interventi strutturali, che potrebbero mettere in discussione interessi molto forti. In primis quelli dei padroni delle cave che ad uno sfruttamento intensivo uniscono la vendita degli scarti di lavorazione, un tempo lasciati sul fianco della montagna ed oggi venduti per il mercato dei carbonati di calcio.
La tradizione libertaria di Carrara, una radicata attitudine a fare da se, hanno innescato una risposta forte, che al di là della protesta e della rabbia, sta costruendo un percorso di autonomia, che mette in difficoltà il governo della città e chi ambirebbe a prenderne il posto.
Ne abbiamo parlato con Donato, un compagno che, come tanti, sin da giovedì scorso ha spalato fango a Marina, e, da sabato, partecipa all’occupazione e all’assemblea permanente.
Il nome scelto non è casuale. E’ lo stesso che i cittadini di questi territori si diedero per la lotta contro la Framoplant, impianto chimico che ha avvelenato per decenni l’ambiente e chi ci abitava. Dopo 12 anni di lotte la Farmoplant chiuse i battenti.

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SOLIDARIETÀ A KOBANÊ, IL RUOLO DEGLI ANARCHICI

DAF in Kobane

SOLIDARIETÀ A KOBANÊ

IL RUOLO DEGLI ANARCHICI

Nelle ultime settimane si sono moltiplicate in Italia, come in molti altri paesi europei, le iniziative di solidarietà con la resistenza di Kobanê. Gli anarchici stanno svolgendo un ruolo importante, non solo partecipando a manifestazioni di solidarietà e organizzando proprie iniziative di piazza, ma anche diffondendo notizie, creando momenti di dibattito e discussione, apportando al movimento di solidarietà il proprio specifico contributo. La Fedrazione Anarchica Italiana, con la mozione uscita dal convegno di Roma del 12 ottobre scorso, ha definito il proprio impegno a sostenere la lotta delle popolazioni della Rojava e le componenti libertarie che agiscono in quel contesto. Gli anarchici saranno in piazza sabato 1 novembre per partecipare alla giornata di mobilitazione globale in solidarietà a Kobanê che vedrà manifestazioni a Roma, Firenze, Torino, Milano e probabilmente anche in altre città. Gli anarchici saranno in piazza per sostenere le popolazioni della Rojava, contro ogni intervento imperialista, per una prospettiva rivoluzionaria e libertaria.

È ormai più di un mese che la città di Kobanê è assediata dalle truppe dello Stato Islamico (ISIS), una forza reazionaria che mira ad instaurare un regime autoritario e oscurantista, appoggiata e protetta dal governo turco, finanziata da Qatar e Arabia Saudita, che grazie agli USA negli ultimi anni di guerra in Siria ha assunto un ruolo sempre più importante nello scenario mediorientale. La resistenza di Kobanê è stata condotta principalmente dalle milizie del PYD (Partito di Unità Democratica, curdo, vicino al PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) dotate quasi esclusivamente di armi leggere. Dal 2012 nella Rojava, il Kurdistan occidentale in territorio siriano, è in atto la sperimentazione di forme di autogoverno ispirate al cosiddetto “confederalismo democratico”, che costituisce da quasi 10 anni la nuova base ideologica dei partiti curdi che fanno riferimento ad Abdullah Ocalan, il leader incarcerato del PKK. È per distruggere questo esperimento di democrazia radicale e per eliminare ogni possibilità di autonomia politica per le popolazioni curde che il governo turco sostiene lo Stato Islamico e durante l’assedio di Kobanê ha completamente isolato la città della Rojava, posta a ridosso del confine con la Turchia, schierando un ingente numero di uomini e mezzi dell’esercito lungo la linea di confine. In questo modo non solo il governo turco ha impedito il passaggio delle persone in fuga verso la Turchia dalla città assediata, non solo ha impedito che potessero giungere aiuti di qualsiasi tipo alla città di Kobanê, alla sua popolazione e ai combattenti, ma ha anche favorito il passaggio di aiuti e rinforzi per le truppe dello Stato Islamico. La strategia del governo turco faceva conto su una rapida vittoria dello Stato Islamico, quindi su una disfatta curda che avrebbe dato modo al Presidente turco Erdoğan di giocare la parte del liberatore con un intervento militare a Kobanê. Confidando nella caduta della città, il governo turco non ha mantenuto la promessa di aprire un corridoio di aiuti per Kobanê fatta al leader del PYD Salih Muslim in un incontro riservato. La determinata resistenza incontrata dallo Stato Islamico ha fatto saltare i piani di Erdoğan: la strategia fallimentare adottata per Kobanê ha condotto il governo turco in un vicolo cieco, portandolo di fatto a rompere le trattative per il processo di pace con il PKK. Per questo dal carcere Ocalan aveva lanciato il 5 ottobre al governo turco una sorta di ultimatum, annunciando che se non ci fossero stati passi avanti nelle trattative il processo di pace era da considerarsi interrotto.

Se da una parte la resistenza di Kobanê ha fatto naufragare la strategia del governo turco, dall’altra l’insurrezione che è scoppiata in Turchia tra il 6 ed il 9 ottobre, poi placata per l’intervento degli stessi partiti curdi, ha messo in evidenza le responsabilità del governo turco nel sostenere lo Stato Islamico.

Quella rivolta che è costata 46 morti e oltre 600 feriti tra i dimostranti e che ha posto sotto scacco il governo per quattro giorni, non ha avuto lo sbocco rivoluzionario che alcuni si aspettavano. In ogni caso ha dimostrato come la mobilitazione di massa possa avere la forza di ostacolare le strategie imperialiste. Se la rivolta fosse andata avanti la situazione in Turchia sarebbe sicuramente precipitata, anche per questo probabilmente gli USA hanno deciso l’8 ottobre di iniziare a fare effettivi bombardamenti contro le forze dello Stato Islamico e ad inviare modesti aiuti alle milizie che difendono Kobanê. Questo ha dato modo alla resistenza di contrattaccare e di riprendere possesso di alcune zone di Kobanê, allentando la pressione sul governo turco e permettendo che non si interrompesse definitivamente il processo di pace con il PKK.

Ma qual’è il nostro ruolo come anarchici in questo contesto?

Sappiamo che molti movimenti curdi affermano di aver adottato, con l’evoluzione del pensiero di Ocalan, nuove linee ideologiche basate sull’ecologismo, il femminismo, la democrazia radicale, ispirate anche ad alcuni pensatori libertari come Murray Bookchin. Questo rinnovamento ideologico assieme al superamento del marxismo leninismo, all’abbandono della prospettiva di indipendenza attraverso la creazione di uno stato-nazione, e all’approdo ad una forma di municipalismo, ha suscitato negli ultimi anni grande interesse tra intellettuali e attivisti libertari. Molti a ragione si interrogano sull’autenticità di questo rinnovamento politico, sul ruolo della figura di Ocalan, sull’organizzazione gerarchica che permane nei partiti curdi e su come tali partiti traspongano nei programmi e nell’effettiva azione politica queste nuove linee ideologiche. Queste domande non possono certo essere liquidate. Andiamo però adesso a concentrarci su un altro aspetto.

Sappiamo che nella Rojava sono effettivamente realizzate delle sperimentazioni di autogoverno, di autogestione e di autorganizzazione, e questo avviene non tanto e non solo per i pur positivi concetti libertari adottati dal PYD, ma per l’azione della popolazione stessa. Il nostro riferimento è l’azione collettiva degli sfruttati e degli oppressi nei processi rivoluzionari e l’intervento degli anarchici in questi contesti. Gli anarchici e i rivoluzionari non possono aspettarsi niente dal rinnovamento delle linee ideologiche di qualsivoglia partito. Per questo è importante rivolgere la nostra attenzione verso la componente anarchica di questa lotta. In questi anni in ambito curdo sono nati gruppi e giornali anarchici, come Qıjıka Reş, o forum di discussione come il Kurdistan Anarchist Forum, che cercano di portare un contributo anarchico nei movimenti curdi e tra la popolazione. Negli ultimi anni inoltre l’anarchismo in Turchia ha conosciuto un grande sviluppo, grazie anche all’irrompere sulla scena politica di tematiche come il femminismo e l’ecologismo, che il giovane movimento anarchico turco ha contribuito a sviluppare. Tra i gruppi anarchici in Turchia, il gruppo DAF (Devrimci Anarşist Faaliyet – Azione Anarchica Rivoluzionaria) di Istanbul è probabilmente il più influente. Il gruppo DAF è impegnato in questi mesi vicino a Kobanê, a Suruç e negli altri villaggi di confine in Turchia, partecipando alle assemblee nei villaggi, praticando l’azione diretta aprendo varchi nelle recinzioni poste sul confine per far passare i profughi verso la Turchia e gli aiuti verso Kobanê. Sono migliaia le persone che in queste settimane sono accorse lungo il confine per praticare la solidarietà e sostenere Kobanê scontrandosi con la polizia e la Gendarmeria. In questo contesto, oltre ai partiti curdi, svolgono un ruolo importante i gruppi della sinistra rivoluzionaria turca e gli anarchici. Senza questo intervento la città di Kobanê sarebbe rimasta davvero isolata e difficilmente avrebbe potuto resistere tanto a lungo.

Oltre a svolgere un importante ruolo negli aiuti, nella solidarietà e nella partecipazione alle catene umane di solidali che permettono la creazione di corridoi temporanei illegali per far passare i profughi e gli aiuti, gli anarchici del gruppo DAF diffondono le idee e le pratiche anarchiche tra la popolazione, e partecipano attivamente all’autogestione dei villaggi. L’intervento degli anarchici in quelle zone è orientato verso una prospettiva rivoluzionaria e si oppone ad ogni soluzione di tipo statale, consapevoli che la ricostituzione di un governo bloccherebbe ogni processo rivoluzionario.

Come anarchici possiamo dunque svolgere un ruolo significativo in questo contesto, praticando la solidarietà in senso internazionalista, sostenendo la prospettiva rivoluzionaria che come ancora una volta si presenta come unica alternativa alla guerra, alla reazione, alla devastazione portata dal capitale e dallo stato.

Dario Antonelli

Per supportare la popolazione in Kurdistan ed i profughi, l’Internazionale delle Federazioni Anarchiche si unisce all’iniziativa della DAF, gruppo anarchico in Turchia, e sta lanciando una nuova sottoscrizione. Invia le tue donazioni a Société d’Entraide libertaire (SEL) IBAN : FR76 1027 8085 9000 0205 7210 175 (indicando “DAF” nella causale).

 

Questo articolo è stato pubblicato sull’ultimo numero di Umanità Nova.

A Livorno puoi acquistare il nuovo numero del settimanale anarchico presso le edicole di Piazza Garibaldi, Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso l’edicola Dharma Viale di Antignano 110, la Libreria Belforte in Via della Madonna, il bar Dolcenera all’angolo tra Via della Madonna e Viale degli Avvalorati e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20).

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31/10 PRESIDIO: Sosteniamo le lotte dei lavoratori, contro le spese militari e la guerra

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SOSTENIAMO LE LOTTE DEI LAVORATORI

CONTRO LE SPESE MILITARI CONTRO LA GUERRA

 

PRESIDIO

Venerdì 31 ottobre

ore 17:30

Piazza Cavour

Anche quest’anno la Brigata Paracadutisti Folgore, nell’ambito della Festa della Specialità dei paracadutisti, commemora a Livorno, venerdì 31 ottobre, l’anniversario della battaglia fascista di El Alamein. Una parata nostalgica, con l’esposizione di armi e strumenti di morte. Una celebrazione della guerra passata e presente. Una celebrazione della rapina ai danni dei lavoratori e dei disoccupati, per finanziare le spese militari e l’impiego dei soldati in Italia nella militarizzazione delle città e contro le proteste come in Val di Susa, per sostenere il costo dei caccia F35 ed Eurofighter, per finanziare gli interventi militari all’estero, primi fra tutti quelli in medio oriente al fianco degli USA e dello stato d’Israele.

Quest’anno sono stati spesi dal governo italiano 5 miliardi di euro solo per l’acquisto di armamenti, di cui oltre un miliardo per gli Eurofighter e oltre 500 milioni per gli F35. Questi soldi sono solo una parte della ben più alta spesa complessiva per il settore militare, che nel 2012 ha toccato i 26 miliardi di euro.

In una città in cui aumenta il numero dei disoccupati e degli emigrati, in una città che proprio in questi mesi vede a rischio oltre 2000 lavoratori solo tra ENI e TRW, e molti altri impiegati in aziende che i padroni vogliono chiudere, questa “festa” non è altro che la celebrazione dell’attacco alle condizioni di vita e di lavoro di gran parte della popolazione, della negazione di libertà e diritti conquistati, imposta con la politica dei “sacrifici” dai governi degli ultimi anni, di cui il “Jobs-Act” di Renzi rappresenta solo l’ultimo esempio.

Dall’assemblea permanente dei lavoratori TRW contro la chiusura dello stabilimento decisa dalla direzione aziendale, allo sciopero in porto all’ALP per la salvaguardia dei posti di lavoro e il contratto, in queste settimane molte lavoratrici e lavoratori sono sono scesi in piazza o sono entrati in agitazione a Livorno, pur con modalità differenti ed in tempi diversi.

La lotta sui posti di lavoro e il sostegno ai lavoratori passa anche dall’opposizione alla celebrazione delle spese militari e della guerra fatta grazie ai “sacrifici” imposti ai lavoratori.

Per questo invitiamo tutte e tutti a partecipare ad un presidio contro le spese militari, contro la guerra, a sostegno delle lotte dei lavoratori.

Collettivo Anarchico Libertario

Federazione Anarchica Livornese

Rivolta il Debito – Livorno

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Foto del presidio in solidarietà con la resistenza di Kobane

OVUNQUE KOBANÊ, OVUNQUE RESISTENZA!

Alcune foto dal presidio di oggi in piazza grande a Livorno

 

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