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LIVORNO: MONTATURA POLIZIESCA

da Umanità Nova n. 6 del 17 febbraio 2013

Puoi acquistare il nuovo numero del settimanale anarchico presso le edicole di Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso la Libreria Belforte in Via della Madonna e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20).

 

LIVORNO: MONTATURA POLIZIESCA

Nella mattinata di lunedì 11 febbraio è scattata la rappresaglia delle istituzioni per i tre giorni a cavallo fra novembre e dicembre che hanno visto prima la violenza ingiustificata della polizia contro manifestanti pacifici e poi la risposta massiccia dei cittadini che non intendevano e non intendono piegare la testa.

Il pubblico Ministero, su indicazioni della Digos, ha indagato 36 persone, con numerose perquisizioni domiciliari e 8 misure cautelari (obbligo di firma), per ipotesi fantasiose e tutte volte a nascondere le provocazioni poliziesche e il ruolo dei dirigenti cittadini del Partito Democratico in questi fatti. Di questi, tre compagni del Collettivo Anarchico Libertario e uno della Federazione Anarchica Livornese.

L’ipotesi fantasiosa del pubblico Ministero, sostenuta anche dal procuratore capo De Leo, che l’ha definita “una risposta doverosa alla città”, è che gli accusati, in concorso materiale e morale tra loro, sulla base di unico disegno criminoso, abbiano usato violenza e minaccia nei confronti di pubblici ufficiali; e questo nei giorni di venerdì, sabato e domenica.

Di ogni episodio pubblico ministero e Digos danno resoconti volti a colpevolizzare i manifestanti e ad assolvere la polizia, mentre del ruolo del partito di maggioranza a Livorno non si fa cenno.

Per questo riteniamo importante ritornare su quanto è successo venerdì, sabato e domenica, per smentire la ricostruzione inquisitoria e dimostrare la funzionalità dell’operazione al blocco di potere livornese.

Venerdì 30 novembre si teneva a Livorno il comizio di Bersani, in occasione delle elezioni primarie del PD.

In conseguenza degli arresti e delle perquisizioni nei confronti di membri del movimento No TAV, avvenute nei giorni pecedenti, alcuni manifestanti decidono di recarsi al Terminal Crociere per contestare pacificamente la presenza di Bersani. Giunti sul posto trovano un gruppo di lavoratrici della Sodexo di Pisa in lotta per il posto di lavoro. Ma trovano anche il servizio d’ordine del PD spalleggiato dalla DIGOS al gran completo e da un reparto antisommossa. I tentativi di entrare si concludono con tre cariche ed alcuni compagni contusi. In pratica sono i responsabili del servizio d’ordine del PD a dirigere la forza pubblica. Tutto questo nella fantasiosa ricostruzione della Digos e del magistrato diventa il tentativo di impedire (sic) il comizio, così come le cariche della polizia diventano tre tentativi di sfondamento da parte dei manifestanti.

L’indomani, sabato 1° dicembre, vine convocato un presidio itinerante con lo scopo di denunciare le cariche della sera precedente, la Federazione Anarchica Livornese e il Collettivo Anarchico e Libertario decidono di partecipare.

Il presidio si conclude in Piazza Cavour, nella zona pedonale. Poco prima dello scioglimento arrivano i reparti antisommossa di Polizia e Carabinieri che fronteggiano i manifestanti ed intimano di sciogliere il presidio; senza porre tempo in mezzo e senza che ci fossero state reazioni da parte dei manifestanti parte la carica, brutale e violenta come non ce n’erano mai state a Livorno. Nella carica vengono manganellati alla rinfusa manifestanti e passanti: due persone finiscono all’ospedale. Ma, dopo un primo sbandamento, il presidio si ricompone e i compagni rimangono a fronteggiare la polizia, mentre passanti solidali arrivano a dar man forte alle vittime della violenza. Appena la situazione si fa meno tesa e la polizia arretra, il presidio si scioglie e viene riconvocato per il giorno successivo, domenica alle ore 17, sempre in piazza Cavour, per riprendersi la libertà di di manifestazione e per dimostrare che non ci si piega di fronte alla repressione e alla violenza poliziesca.

Tutto questo viene completamente ribaltato e, invece delle brutali e ingiustificate cariche a danno di un presidio pacifico, che si stava concludendo sul marciapiede, l’atto del magistrato, parlando degli indagati, afferma “avvicinandosi e entrando in contatto”, “usavano violenza aggredendo e scagliandosi”. La ricostruzione del pubblico ministero è talmente fantasiosa, che lo stesso giudice delle indagini preliminari la mette in dubbio.

Lo stesso discorso vale per il giorno dopo: si è capito chi ha orchestrato il tam-tam mediatico attorno al cosiddetto “assalto” alla prefettura: a più di tre mesi di distanza dagli atti di protesta (due lamperogeni, una transenna), questi sono diventati “atti di un medesimo disegno criminoso”.

Nel consiglio comunale svoltosi pochi giorni dopo tutte le forze politiche hanno condannato la violenza della polizia, che è stata difesa solo dal consigliere di estrema destra e dal sindaco del Partito Democratico. E’ vergognoso che Cosimi, che dovrebbe rappresentare tutta la città, dopo una manifestazione pacifica che ha visto la città stringersi attorno alle vittime della violenza delle istituzioni, abbia parole solo per i violenti indivisa

Trentasei indagati, in una città piccola come Livorno, sono tanti: è una vendetta nei confronti di chi non si piega, di chi non accetta la rovina della città di cui il PD è uno degli artefici, di chi non accetta la disoccupazione, gli sfratti, la politica di guerra.

La criminalizzazione dei movimenti di lotta nasconde l’illegalità e la violenza dei governanti, che cercano di togliere diritti su diritti ai lavoratori, a tutti i cittadini, violando la loro stessa costituzione.

Gli anarchici livornesi hanno subito rilevato l’estrema gravità dei fatti del 1° dicembre 2012, un’aggressione a freddo di polizia e carabinieri nei confronti di manifestanti pacifici: scene a cui i cittadini di Livorno non sono abituati; la storica presenza anarchica, nutrita e radicata, la componente antagonista e antiistituzionale hanno garantito nei fatti una notevole agibilità politica; agibilità che evidentemente disturba il manovratore.

Oggi gli anarchici sono solidali con le vittime della repressione, e invitano tutti quanti hanno a cuore le sorti della libertà, le organizzazioni antifasciste, i sindacati di base e quanti si battono per la trasformazione sociale a protestare contro questa ennesima manovra repressiva.

Tiziano Antonelli

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Volantino astensionista

ecco il testo del volantino (due facciate) distribuito in questi giorni

NON VOTARE

NON PARTECIPARE ALLA TUA OPPRESSIONE

La sfiducia nei confronti delle istituzioni e dei partiti sta crescendo sempre di più. I governi che si sono susseguiti, lo Stato ed i suoi apparati mostrano il loro vero volto corrotto, oppressivo e repressivo, sostenendo senza mezzi termini gli interessi padronali e difendendo i privilegi di chiesa, militari e caste varie, gettando la maggior parte della popolazione nella miseria.

Sempre a caccia di poltrone

In tempo elettorale questa sfiducia si manifesta in un aumento dell’astensionismo, ma c’è anche chi sfrutta quella che dai media è definita “antipolitica” per candidarsi proponendo improbabili “rinnovamenti” e “pulizie” del parlamento, governi formati da “gente comune”. Questi sono solo i vecchi trucchi di chi sgomita per conquistare una poltrona in periodi di crisi politica.

Pensare di cambiare qualcosa andando a votare è solo un’illusione.

Nessuna conquista popolare, nessun reale cambiamento sociale può

passare attraverso il voto, attraverso l’azione di un governo.

Lo Stato è il problema

In tutta Europa i governi impongono con la violenza ai lavoratori e alle lavoratrici sempre maggiori sacrifici pergarantire i profitti di pochi. Lo Stato attraverso l’azione del governo deve sempre difendere gli interessi della classedei proprietari per assicurarsi il loro appoggio.

Un rinnovamento dello Stato quindi, un parlamento “pulito” fatto di politici onesti che ci conducano ad una società più giusta non è che una chimera, pura finzione. Questo vale anche per i sedicenti governi rivoluzionari. La storia è piena di governi e burocrazie che “in nome del popolo” hanno bloccato rivoluzioni e fatto arretrare le conquiste dei lavoratori. Ma se non ci bastano gli errori del passato basta guardare sull’altra sponda del Mediterraneo come le rivoluzioni in Tunisia ed in Egitto, dopo la caduta delle vecchie dittature trovino i loro principali nemici nell’esercito e nei nuovi governi che massacrano il popolo e riempono le carceri proprio come quelli precedenti.

Si capisce allora che nello Stato non può esserci soluzione, perché lo Stato è il problema.

Autogestione

Se governi e padroni sono il problema, allora la soluzione siamo noi, uomini e donne che lavorano. Lo stanno capendo in molti ormai. In Grecia i lavoratori non credono più alle promesse e alle belle parole, hanno deciso di organizzarsi dal basso, senza padroni. Sono nate così molte esperienze di autogestione, e proprio in questi giorni sta iniziando a funzionare una fabbrica di materiale edile completamente autogestita dagli operai a Salonicco, un esempio di come siaconcretamente possibile una società libera da padroni e governanti.

Azione diretta

Anche le singole conquiste dei lavoratori, l’affermazione dei diritti, le lotte ambientali non possono essere delegate alla bontà di un governo. Dalla riduzione dell’orario di lavoro alla scala mobile, dall’aborto all’autodeterminazione delle donne, dal nucleare alle lotte contro gli inceneritori, tutte le vittorie sono state raggiunte dai grandi movimenti di lotta.

Sono stati parlamento e governi invece a smantellare alcune di queste conquiste, è nelle istituzioni che si attenta quotidianamente alle nostre libertà. È con l’azione diretta, con la lotta in prima persona, solidale e dal basso, senza capi e burocrazie che si possono ottenere concreti risultati a vantaggio di tutti.

VENERDì 22/02 ORE 18

presso la Federazione Anarchica Livornese

in Via degli Asili 33

ASSEMBLEA-DIBATTITO

su astensionismo e

prospettive di lotta

a seguire: aperitivo, chiacchiere, cibo, musica, libri e giornali

FEDERAZIONE ANARCHICA LIVORNESE – COLLETTIVO ANARCHICO LIBERTARIO

cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it – collettivoanarchico@hotmail.it

 

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e se ti venisse voglia di votare….

ricordati:

– DELLA DISOCCUPAZIONE ( 12% dato ufficiale, almeno 20% reale)

– DEL PRECARIATO (8 nuovi contratti su 10)

– DEL LAVORO SOTTOPAGATO

– DELLE TUE DIFFICOLTA’ PER ARRIVARE ALLA FINE DEL MESE (gli

stipendi non recuperano piu’ nemmeno gli aumenti dell’inflazione)

– DELLE DISUGUAGLIANZE SOCIALI CHE AUMENTANO (i salari sono fermi, ma i profitti aumentano :15,5% per tutte le imprese, ma il 63,5% per le grandi imprese, il 90% per le multinazionali)

– DEI TAGLI AI SERVIZI PUBBLICI , ALLA SANITA’ ( 26 miliardi in meno dal 2010 al 2014), ALLA SCUOLA, AL TRASPORTO PUBBLICO, ECC

– DEI SOLDI CHE PER FINANZIARE LE GUERRE NON MANCANO MAI (F35 e spese militari in aumento del 2,7% nel 2013)

– DEI SOLDI PER SOVVENZIONARE LA CHIESA ( alle scuole private, sconti sull’IMU)

– DEI MORTI E DEGLI INFORTUNI SUL LAVORO

SE TI RICORDI TUTTO QUESTO, SE TI RICORDI CHE DOPO LE PROMESSE ELETTORALI TUTTO TORNA COME PRIMA : I POLITICANTI E I PADRONI COMANDANO E TU TORNI ALLA TUA VITA DI SACRIFICI … ALLORA CONDIVIDERAI L’ASTENSIONISMO ANARCHICO

Che significa RIPRENDERE NELLE PROPRIE MANI I

PROBLEMI che ci riguardano

decidendo e agendo IN PRIMA PERSONA.

venerdì 22/02

dalle ore 18

presso la federazione anarchica livornese in via degli asili 33

assemblea-dibattito

astensione e prospettive di lotta

a seguire: aperitivo, musica, chiacchiere, libri e giornali

FEDERAZIONE ANARCHICA LIVORNESE – COLLETTIVO ANARCHICO LIBERTARIO

cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it – collettivoanarchico@hotmail.it

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PRESIDIO ASTENSIONISTA E CONTRO LA REPRESSIONE

Sabato 16 febbraio si svolgerà, come previsto, il presidio astensionista organizzato dalla Federazione Anarchica Livornese e dal Collettivo Anarchico Libertario. Viste le recenti perquisizioni e denunce relative alle manifestazioni di protesta e alle cariche poliziesche dello scorso 30 novembre 1 e 2 dicembre, il presidio vedrà anche dei momenti di controinformazione e denuncia relativa alla montatura repressiva in atto. Invitiamo a partecipare attivamente all’iniziativa tutti coloro che vogliono manifestare solidarietà alle compagne e ai compagni vittime della repressione, e quanti hanno a cuore l’affermazione dell’agibilità politica nella nostra città.

PRESIDIO ASTENSIONISTA E CONTRO LA REPRESSIONE

Non affidarti a chi tradisce i tuoi interessi per sostenere banche, preti, padroni, militari e caste varie.
SOLO LA LOTTA PUÒ ESSERE DECISIVA

Sabato 16/02
in Piazza Grande (angolo Bar Sole)

dalle ore 16:30
volantini, striscioni, pannelli e banchetto con
diffusione di libri e giornali anarchici

dalle ore 18
interventi al megafono

sulle ragioni dell’astensionismo e sulle proposte di lotta e trasformazione sociale portate avanti dal movimento anarchico
sulla recente montatura repressiva ai danni di compagne e compagni che hanno partecipato alle manifestazioni di protesta in risposta alle violente cariche della polizia nelle giornate dello scorso 30 novembre, 1 e 2 dicembre .

NON VOTARE – NON PARTECIPARE ALLA TUA OPPRESSIONE!

Federazione Anarchica Livornese
cdcfadanarchicalivornese@virgilio.it

Collettivo Anarchico Libertario
collettivoanarchico@hotmail.it
http://collettivoanarchico.noblogs.org/

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Comunicato sulla nuova stretta repressiva a Livorno

Nella mattinata di lunedì 11 febbraio è scattata la rappresaglia delle istituzioni per i tre giorni a cavallo fra novembre e dicembre che hanno visto prima la violenza ingiustificata della polizia contro manifestanti pacifici e poi la risposta massiccia dei cittadini che non intendevano e non intendono piegare la testa.

Il pubblico Ministero, su indicazioni della Digos, ha indagato 36 persone, con una decina di perquisizioni domiciliari e 8 misure cautelari (obbligo di firma), per ipotesi fantasiose e tutte volte a nascondere le provocazioni poliziesche e il ruolo dei dirigenti cittadini del Partito Democratico in questi fatti. Di questi, tre compagni del Collettivo Anarchico Libertario e della Federazione Anarchica Livornese, uno dei quali ha subito anche una perquisizione domiciliare.

Le indagini sono ancora in corso, quindi non si sa se il numero degli indagati o i reati contestati possano variare. Per ora, l’ipotesi fantasiosa del pubblico Ministero, sostenuta anche dal procuratore capo De Leo, che l’ha definita “una risposta doverosa alla città”, è che gli accusati, in concorso materiale e morale tra loro, sulla base di unico disegno criminoso che coprirebbe i tre giorni, abbiano usato violenza e minaccia nei confronti di pubblici ufficiali, il tutto accompagnato anche da danneggiamento ed adunata sediziosa.

Di ogni episodio pubblico ministero e Digos danno resoconti volti a colpevolizzare i manifestanti e ad assolvere la polizia.

Per questo riteniamo importante ribadire la nostra valutazione su quanto è successo venerdì 30 novembre, sabato 1° e domenica 2 dicembre, per smentire la ricostruzione inquisitoria e dimostrare la funzionalità dell’operazione al blocco di potere livornese.

Si è capito chi ha orchestrato il tam-tam mediatico attorno al cosiddetto “assalto” alla prefettura: a più di due mesi di distanza dagli atti di protesta (due lamperogeni, una transenna), questi sono diventati “atti di un medesimo disegno criminoso”.

Nel consiglio comunale svoltosi pochi giorni dopo tutte le forze politiche hanno condannato la violenza della polizia, che è stata difesa solo dal consigliere di estrema destra e in parte dal sindaco del Partito Democratico.

Trentasei indagati, in una città piccola come Livorno, sono tanti: è una vendetta nei confronti di chi non si piega, di chi non accetta la rovina della città di cui il PD è uno degli artefici, di chi non accetta la disoccupazione, gli sfratti, la politica di guerra.

La criminalizzazione dei movimenti di lotta nasconde l’illegalità e la violenza dei governanti, che cercano di togliere diritti su diritti ai lavoratori, a tutti i cittadini, violando la loro stessa costituzione.

La Federazione Anarchica Livornese e il Collettivo Anarchico e Libertario hanno subito sottolineato la gravità dei fatti di sabato 1° dicembre, così come la positiva risposta data dalla città domenica 2 dicembre con una manifestazione di massa come non se ne vedevano da tempo per le strade di Livorno; oggi con la criminalizzazione si cerca di cancellare quei giorni impressi nella memoria di tutti i livornesi; così come si cerca di mettere a tacere quella presenza anarchica e sovversiva che ha garantito spazi di agibilità per tutti, momenti e pratiche di solidarietà e di lotta.

L’operazione poliziesca cerca di colpire le aree più combattive della città: gli anarchici sostengono tutte le vittime della repressione, si batteranno con ogni mezzo per far crollare la montatura e invitano tutti quanti hanno a cuore le sorti della libertà, le organizzazioni antifasciste, i sindacati di base e quanti si battono per la trasformazione sociale a protestare contro questa ennesima manovra repressiva.

Federazione Anarchica Livornese

cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

 

Collettivo Anarchico Libertario

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Foto presidio astensionista in Piazza Grande 9/02

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La lotta per la vita – Promesse elettorali sulle spalle dei proletari

da Umanità Nova del 10 febbraio 2013

Puoi acquistare il nuovo numero del settimanale anarchico presso le edicole di Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso la Libreria Belforte in Via della Madonna e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20).

SABATO 9 PRESIDIO ASTENSIONISTA IN PIAZZA GRANDE (ANGOLO BAR SOLE) DALLE ORE 16:30

 

La lotta per la vita

Promesse elettorali sulle spalle dei proletari

Seguo distrattamente la campagna elettorale e mi sembra che i temi al centro del confronto fra le varie liste elettorali siano soprattutto la gara a chi ha rubato di più, la diminuzione delle tasse, la crescita economica.

Ammesso e non concesso che i conti dello Stato siano in equilibrio, la diminuzione delle tasse e la crescita economica implicano un aumento della pressione sui ceti popolari. Se il bilancio dello Stato, e ripeto se, è in equilibrio, la diminuzione delle tasse implica una riduzione delle entrate che va compensata o con un aumento delle entrate da altre fonti, oppure con una diminuzione delle uscite. In particolare, la diminuzione delle aliquote più alte dell’Irpef implica un aumento della pressione su quelle più basse, o un aumento dell’IVA, così per l’annunciata proposta dell’abolizione-rimborso dell’IMU; per dare un’idea del contenuto di classe di queste misure è significativo che non si parli di restituzione del fiscal drag, cioè del rimborso dell’aumento della pressione fiscale sui redditi più bassi, conseguenza dell’adeguamento delle retribuzioni all’inflazione.

Lo stesso discorso vale per le misure per la crescita economica: le idee in campo sono legate alle grandi opere, agli investimenti pubblici che, appunto, vanno trovati o con un aumento delle entrate (più tasse) o con una diminuzione delle uscite (più tagli). Anche in questo caso, la crescita è soprattutto dei profitti delle aziende beneficiate degli aiuti di Stato, banche o industrie: mentre a pagare è sempre il popolo lavoratore.

In sostanza, dietro la promessa di diminuzione delle tasse o di crescita economica, c’è sempre un conto che il governo farà pagare ai ceti popolari, perché un governo, qualsiasi governo, ha bisogno di una classe privilegiata, di una classe economicamente potente che lo appoggi in cambio della protezione contro le rivendicazioni degli sfruttati. Ci sono delle liste, che sicuramente non peseranno nella formazione del nuovo governo, che sostengono questa o quella proposta a favore dei proletari ma queste proposte o saranno ininfluenti sulla politica futura del governo, o saranno presto dimenticate perché ogni governo, se non può volere che la società si disfaccia, poiché allora verrebbe meno a sé ed alla classe sfruttatrice il materiale da sfruttare, non può nemmeno lasciare che la società si regga da sé senza intromissioni ufficiali, poiché allora il popolo si accorgerebbe ben presto che il governo non serve se non a difendere i proprietari che l’affamano, e si affretterebbe a sbarazzarsi del governo e dei proprietari. Per quanto belle siano le promesse elettorali, ogni partito che entri nell’area di governo sacrifica i bisogni, i diritti del popolo alla salvezza del Governo.

Alla domanda spontanea perché quelli che promettono non hanno attuato le misure nel periodo precedente, visto che hanno votato l’IMU, gli aumenti delle tasse e soprattutto i tagli, dalle pensioni, alla sanità, dalla scuola all’assistenza sociale, mentre hanno aumentato le spese militari e le dotazioni per le aggressioni all’estero, i complici delle ultime rapine, che ora si contendono i voti dei cittadini, rispondono che i tempi non erano maturi, e che dovevamo riconquistare la fiducia dei mercati e dell’Europa. Ma chi ci dice che dopo le elezioni i mercati e l’Europa, che evidentemente contano più della democrazia, della costituzione e del popolo, sovrano per il giorno delle lezioni, non chiedano nuovi sacrifici?

 

Mancano 7 miliardi?

L’ultimo bollettino della Banca d’Italia, pubblicato lo scorso gennaio, lanciava previsioni allarmanti sulla situazione economica italiana. Se la caduta del PIL di un punto percentuale nel 2013 può essere di difficile interpretazione, il fatto che nel 2012 manchino 3 miliardi al raggiungimento del pareggio è, appunto, un fatto. Ma fra le pieghe del Bollettino si capisce che nel 2013 il conto per i cittadino sarà ancora più salato: la riduzione del Prodotto Interno Lordo di un punto percentuale porta con sé la riduzione di 0,4-0,5% delle entrate fiscali, mentre aumentano le richieste per gli ammortizzatori sociali, per l’assistenza ecc.. C’è chi parla appunto di una manovra di 6-7 miliardi da compiere non appena il nuovo governo entrerà in carica; se il governo dovesse tentennare, il conto diventerebbe più salato.

Una manovra di queste dimensioni significa cento euro a testa, compreso neonati e pensionati, che si aggiungono ai salassi di fine 2012 e ai rincari scattati con il nuovo anno, e che renderebbe inevitabile l’aumento di quell’IVA, che stringe alla gola i consumatori italiani, che rovescia quella progressività dell’imposizione fiscale scritta sulla costituzione ma che i governi, anno dopo anno, svuotano di contenuto.

Nessuno dei partecipanti alla competizione elettorale affronta il problema della situazione reale dell’economia, dei conti pubblici; nessuno affronta le cause di questa situazione: i privilegi della Chiesa, delle banche, della casta militare, i soldi spesi inutilmente per le grandi opere, i costi più assurdi addebitati al pubblico erario, le spese folli per le missioni all’estero. In complesso un conto sempre più salato imposto a cittadini sempre più stremati.

I licenziamenti, i tagli ai salari e alle pensioni intaccano il tenore di vita, la possibilità di godere del tempo libero e degli svaghi, di avere un’abitazione confortevole, si arriva anche ad intaccare la spesa alimentare; i tagli alla sanità e la protezione data alle industrie inquinanti mettono in pericolo la nostra salute, mentre le continue guerre rischiano di scatenare una guerra generale.

Io credo che gli anarchici non aspetteranno che il prossimo governo ci faccia morire sempre di più di fame e di malattie senza reagire.

Non limiteremo la nostra protesta alla denuncia e alla controinformazione, così come non ci daremo all’autolesionismo, non ci rinchiuderemo in una miniera o in cima ad una torre.

Chi ci sta di fronte, chi ci governa e i docili strumenti a sua disposizione stanno lottando per la vita, per continuare a sfruttarci senza lavorare. Ma anche noi, noi anarchici, noi lavoratori, noi disoccupati, noi gente del popolo lottiamo per la vita, per una vita che sia degna di essere vissuta, per noi e per i nostri figli, per tutti, una vita che significa solidarietà, una società più giusta e più libera per tutti.

 

Tiziano Antonelli

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Bombarda e dimentica – Mali, il nazionalismo francese alla ricerca del consenso

da Umanità Nova del 10 febbraio 2013

Puoi acquistare il nuovo numero del settimanale anarchico presso le edicole di Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso la Libreria Belforte in Via della Madonna e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20).

 

Bombarda e dimentica 

Mali, il nazionalismo francese alla ricerca del consenso

mascheramali

Sono trascorse quattro settimane dai primi bombardamenti francesi in Mali e già questa prima fase del conflitto sembra essersi conclusa.

 

La cronaca ci racconta un esercito francese forte, moderno e vittorioso, capace al medesimo tempo di difendere gli interessi della nazione e di intervenire al fianco dei “popoli amici” ex colonizzati.

In effetti, pur restando valido il vecchio copione dell’intervento umanitario e della lotta per la democrazia, l’immagine che domina la propaganda è quella dell’esercito liberatore.

Un’impostazione marcatamente militarista che emerge chiaramente nel dibattito politico come nella narrazione mediatica.

 

Questo senza dubbio rende più complessa l’opera di demistificazione che dobbiamo fare; non basta svelare la realtà della guerra e comprendere gli interessi politici ed economici che in essa si intrecciano. Se la guerra non viene più nascosta, ma cinicamente imposta come legittimo e giustificato strumento politico ed economico, siamo di fronte a una nuova aggressiva propaganda militarista.

 

Avevamo avuto un piccolo assaggio di questa propaganda con la guerra in Libia di due anni fa.

Anche allora la Francia giocò il ruolo di prima della classe, inaugurando con i bombardamenti quello che poi sarebbe divenuto un intervento NATO a sostegno di chi si ribellava al regime di Gheddafi. Il Patto Atlantico fece la parte del liberatore con i bombardamenti, un blocco navale e l’invio di armi e altri aiuti ai ribelli di Bengasi. La Francia, dando il via alle danze, confermò aggressivamente il proprio ruolo negli affari africani.

 

Sembra che proprio al conflitto libico si debba risalire per comprendere l’origine dell’attuale situazione in Mali. Le conseguenze destabilizzanti della guerra in Libia vengono infatti spesso utilizzate per sostenere la necessità della nuova avventura francese. In parte questo è vero, e se la tensione è salita nell’area è anche grazie, almeno in parte, allo sgretolamento dello stato libico e alla diffusione nel Sahel di grandi quantità di armi provenienti dai depositi di Gheddafi e dagli “aiuti ai ribelli” paracadutati dalla NATO. Ma non basta, stiamo parlando di un’area da sempre attraversata da grandi traffici, di armi e non solo, in cui il controllo degli stati è quasi assente. Il ruolo della crisi libica quindi avrebbe un peso relativo e certo non superiore ad altri fattori di destabilizzazione. Proprio tra questi fattori spuntano i soldi dell’emiro del Qatar Al Thani, che avrebbe finanziato i gruppi armati integralisti della regione. Va notato però che proprio con l’emiro Al Thani il presidente francese Hollande ha individuato obiettivi comuni che condurranno ad una coordinazione tra i due paesi nella crisi siriana. In questa situazione si sono esasperati i conflitti territoriali tra Nord e Sud del Mali, irrisolti da decenni, inaspriti dalla comparsa degli islamisti sulla scena politica e alimentati dalla Francia, che anche dopo l’indipendenza degli stati africani, non ha mai abbandonato i propri interessi neocoloniali.

Nel gennaio 2012 inizia così una guerra civile tra il governo centrale di Bamako e l’MNLA (Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad) che reclama l’indipendenza per il Nord del Mali. In marzo la situazione precipita con un colpo di stato militare a cui segue la dichiarazione unilaterale d’indipendenza dell’Azawad. I gruppi armati jihadisti intanto prendono il controllo di alcune città del Nord. Sono la Francia e l’ECOWAS (Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale) a trovare una soluzione politica che permette alla giunta golpista di inaugurare un governo “legittimo” di transizione, quel governo che nel dicembre scorso è stato poi deposto dagli stessi militari. In questo contesto di conflitto ha lavorato per mesi la diplomazia internazionale, in particolare la Francia, l’ONU e l’ECOWAS, al fine di creare le condizioni per un intervento militare che riportasse l’intera area sotto il controllo di Bamako.

L’avventura militare francese non nasce quindi come iniziativa di emergenza per fermare un’improvvisa avanzata dei terroristi. La Francia entra, assieme all’ECOWAS, in una guerra già in corso da mesi, dopo aver preparato a lungo un intervento in difesa dei propri interessi imperialistici nell’area.

 

Il ruolo giocato in questa guerra dalla Francia è quindi di primo piano: dopo aver alimentato le tensioni nella regione, aver sostenuto i governi golpisti e aver preparato le condizioni per un proprio intervento armato, si presenta come unico soggetto capace di riportare l’ordine e la sovranità legittima nel Mali. Ma il protagonismo francese in Africa non è certo una novità; non solo Parigi non ha mai abbandonato i propri interessi economici nella regione, ma come abbiamo visto in queste settimane di guerra, ci sono ancora basi militari francesi in terra africana perfettamente operative. N’Diamena e Abidjan, le due basi più vicine al Mali, sono infatti quelle da cui sono partiti sia i bombardamenti aerei, sia le truppe e i mezzi corazzati della Legione Straniera che hanno guidato l’avanzata sulle città occupate dai fondamentalisti islamici.

 

Il costante controllo militare su questa regione africana garantisce la salvaguardia degli enormi interessi delle imprese francesi nell’area. Gli interessi più evidenti sono quelli legati all’estrazione dell’uranio in Niger, dove la francese Areva progetta di aprire nel 2014 una nuova miniera che si andrebbe ad aggiungere alle tre già attive, siti minerari che fin dai primi bombardamenti la Francia ha militarizzato facendoli presidiare da riservisti delle forze speciali. Non va dimenticato che, oltre ai grandi profitti che rende l’uranio sia sul mercato civile che su quello militare, la Francia ha 19 centrali nucleari per un totale di 58 reattori sul suolo nazionale. Inoltre, quando si tratta di guerre gli interessi più grandi passano dal mercato delle armi. In Mali infatti l’industria militare francese farà affari d’oro e potrà anche usare il conflitto come “vetrina” per le sue produzioni di morte, come nel caso degli aerei caccia Rafale. Ma ci sono anche i giacimenti d’oro e di uranio in Mali e molti altri interessi nell’intera regione legati alla gestione dei porti, alle infrastrutture, ai lavori pubblici, alle telecomunicazioni.

 

Visto in questi termini, dal punto di vista militare, l’intervento francese potrebbe sembrare una grande operazione di polizia più che una guerra. Dopotutto si parla di un’area legata alla Francia da un passato coloniale che ha trovato una continuità con la forte presenza economica e militare francese che sussiste ancora oggi. Potrebbe sembrare un intervento finalizzato esclusivamente a mettere in sicurezza un territorio già posto, anche se indirettamente, sotto controllo.

Ma la Francia non è certo l’unica a cui preme una regione che non è distante dal gas algerino e dal petrolio libico. In un contesto che vede tra l’altro un’avanzata della Cina nel continente africano e il protagonismo russo nel traffico delle armi, a molti interessa tenere sotto controllo il Mali, il Sahel, e più in generale l’Africa occidentale. Proprio per questo le ingerenze non sono certo solo francesi, e se osserviamo meglio, quello che si svolge in Mali non è che l’aspetto più evidente ed esplosivo del conflitto tra diversi interessi imperialistici che concorrono in quella zona. La Francia è intervenuta per difendere le basi della propria economia colonialista, ma lo ha fatto mostrando al mondo che quel territorio è ancora sotto la sua influenza, e che anzi non può essere messo in alcun modo in discussione il suo ruolo militare e politico di “Gendarme d’Africa”. La guerra di Hollande è stata in questo senso un chiaro messaggio politico all’ONU, alla UE, agli Stati Uniti ed al resto della NATO.

 

Ma questa guerra si impone con forza anche nella politica interna e nella situazione sociale in Francia, un paese che inizia a “percepire il declino”, in cui la retorica della crisi e dei sacrifici sta iniziando a mietere posti di lavoro, libertà e diritti. Mentre l’esercito bombarda il Mali, il MEDEF (confindustria francese) bombarda i lavoratori. Si aumenta la precarietà per disciplinare il lavoro, mentre la PSA Citroen Peugeot prova a chiudere lo stabilimento di Aulnay scatenando la rabbia operaia, e la Renault vede bloccarsi per un semplice vizio di forma il piano di ristrutturazione che prevedeva il taglio di 8000 posti di lavoro. Inoltre questa nuova guerra imporrà ai lavoratori ulteriori e più gravi sacrifici.

Ma la Francia che va alla guerra è anche un paese attraversato da forti tensioni autoritarie e reazionarie. Nei primi giorni dell’intervento francese in Mali, a Parigi, centinaia di migliaia di persone hanno attraversato la città sotto i vessilli cattolici per una marcia omofoba. Il presidente François Hollande in questo contesto ha cercato di catalizzare nella “guerra contro il fondamentalismo islamico” queste spinte reazionarie.

Hollande infatti sabato 2 febbraio si reca in Mali ed è proclamato “eroe” dalla stampa francese. La guerra è una potente iniezione di nazionalismo nella società, crea consenso attorno al capo dello stato, chiede silenzio, rispetto dell’autorità ed unità nazionale di fronte al nemico.

 

La situazione in Italia non è certo diversa. L’impegno in Mali è passato in sordina per non turbare la campagna elettorale, ma in Africa occidentale come nelle altre missioni di guerra e occupazione in cui i militari italiani sono impegnati, il primo obiettivo è la difesa degli interessi imperialistici.

“Siamo in guerra” affermò la scorsa estate il governo, riferendosi alla politica economica e fiscale.

È la guerra dello stato e del capitale: sfruttamento, violenza, oppressione e saccheggio che non conoscono confini nazionali.

 

Non sappiamo ancora come andrà a finire l’avventura coloniale in Mali, quali saranno gli sviluppi dopo la conclusione di questa prima fase del conflitto. Ci troviamo di fronte ad una fase molto aggressiva del capitalismo in Europa, in cui al duro attacco padronale corrispondono forti spinte autoritarie che si concretizzano nel militarismo, nel nazionalismo, nella repressione del dissenso. Una risposta capace di fermare questo attacco può passare solo attraverso l’internazionalismo, l’antimilitarismo e la solidarietà di classe.

 

D. A.

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Sabato 9/02 PRESIDIO ASTENSIONISTA in Piazza Grande

NON VOTARE

Non affidarti a chi tradisce i tuoi

interessi per sostenere banche, preti,

padroni, militari e caste varie.

SOLO LA LOTTA PUÒ ESSERE

DECISIVA

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Sabato 9 febbraio

dalle ore 16:30

in Piazza Grande

 

PRESIDIO ASTENSIONISTA

volantini, striscioni, pannelli e microfono aperto

diffusione di libri e giornali anarchici

 

Venerdì 22 febbraio

dalle ore 18

presso la Federazione Anarchica Livornese

Via degli Asili 33

 

ASSEMBLEA – DIBATTITO

su astensionismo e prospettive di lotta

 

a seguire

aperitivo abbondante

musica, chiacchiere, libri e giornali

 

 

NON SEPPELLIRE LA LOTTA DENTRO

UN’URNA

LOTTA CON GLI ANARCHICI

 

Federazione Anarchica Livornese – F.A.I.

cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

 

Collettivo Anarchico Libertario

collettivoanarchico@hotmail.it

http://collettivoanarchico.noblogs.org

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La fabbrica autogestita Metaleftikì Viomijanikì di Salonicco inizia a funzionare.

Fonte: http://verba-volant.info/es/comienza-a-funcionar-la-fabrica-autogestionada-de-viomijaniki-metaleftiki-industrial-minera/

La fabbrica autogestita di Metaleftikì Viomijanikì (Industria Mineraria) di Salonicco inizia a funzionare.

Nel maggio 2011 l’amministrazione della fabbrica Metaleftikì Viomijanikì (Industriaa Mineraria), una filiale di Filkeram-Johnson, azienda produttrice di piastrelle e materiali da costruzione, ha abbandonato la fabbrica della società senza pagare ai lavoratori gli stipendi arretrati di diversi mesi lavoro. In risposta, gli operai si sono astenuti dal lavoro a partire da settembre 2011. L’assemblea dei lavoratori del 25 gennaio 2013 ha deciso, quasi all’unanimità, che la fabbrica sarà autogestita dai lavoratori, senza padroni o altri parassiti e mediatori. La fabbrica autogestita aprir a metà febbraio 2013.

afisa kriti
Segue un comunicato dell’Iniziativa Aperta di Solidarietà e Appoggio alla Lotta dei Lavoratori di Metaleftikì Viomijanikì (Industria Mineraria), pubblicato sulla pagina web del Sindacato dei Lavoratori dell’impresa in autogestione (http://biom-metal.blogspot.gr/).

Nel cuore della crisi, i lavoratori della Metaleftikì Viomijanik (Industria Mineraria) attaccano il cuore dello sfruttamento e della proprietà

Con una disoccupazione salita al 30% ed il reddito dei lavoratori ridotto a zero, gli operai di Metaleftikì Viomijanikì (Industrial Minera) ne hanno abbastanza delle belle parole, delle promesse e dell’evasione fiscale. Senza salario e in sciopero dal maggio 2011, con la fabbrica abbandonata dai padroni, decidono, nel corso di una assemblea generale del loro sindacato, di rifiutare una lunga disoccupazione che appare inevitabile, e di lottare per prendere la fabbrica nelle proprie mani e gestirla essi stessi.

Con una proposta formale, da ottobre 2011, hanno chiesto la creazione di una cooperativa di lavoratori sotto il loro pieno controllo, richiedendo anche il riconoscimento giuridico per questo progetto come per quelli che seguiranno. Intanto affermano di aver già pagato la somma di denaro necessaria per riavviare il funzionamento della fabbrica. Questo denaro appartiene a loro, dal momento che sono quelli che producono la ricchezza della società. Il piano che è stato elaborato da loro stessi si è subito scontrato con l’indifferenza totale dello Stato e delle diverse burocrazie sindacali. Tuttavia, è stato accolto con grande entusiasmo dal movimento popolare che, attraverso la creazione dell’Iniziativa Aperta di Solidarietà a Salonicco, e con numerose iniziative in molte altre città, da almeno 6 mesi sta cercando di diffondere il messaggio di Metaleftikì Viomijanikì in tutta la società.

È l’ora di Metaleftikì Viomijanikì! I lavoratori non possono aspettare ancora che lo Stato in fallimento mostri nella pratica il proprio interesse ed il proprio appoggio teorico (Pure i 1000 euro di sostegno economico straordinario che aveva promesso il Ministero del Lavoro non sono arrivati nelle mani dei lavoratori, perché il Ministro dell’Economia Sturnaras non ha firmato la sovvenzione!). È l’ora che Metaleftikì Viomijanikì (Industria Mineraria) torni in funzione, come qualsiasi altra fabbrica che ha chiuso, che è fallita o che fa licenziamenti, ma nelle mani dei loro lavoratori, e non nelle mani di vecchi e nuovi padroni. La lotta non si può limitare a Metaleftikì Viomijanikì. Affinché si generalizzi e trionfi deve estendersi a tutte le fabbriche e le imprese che chiudono, perché solo grazie ad una rete di fabbriche autogestite e occupate che Metaleftikì Viomijanikì potrà sopravvivere e diventare il pioniere di una diversa
organizzazione della produzione e dell’economia, senza sfruttamento, senza disuguaglianze e gerarchie.

Le fabbriche chiudono uno dopo l’altra, i disoccupati raggiungono i 2 milioni e la maggior parte della società è condannata alla povertà e alla miseria dal governo tripartito della Troika dei partiti PASOK (partito socialista), ND (Nuova Democrazia, partito conservatore di destra), DIMAR (partito della sinistra democratica) così come dai governi precedenti. Noi chiediamo che le fabbriche passino nelle mani dei lavoratori, questa è la risposta necessaria al disastro che sperimentiamo tutti i giorni ed è l’unica risposta alla disoccupazione, per questo la lotta di Metaleftikì Viomijanikì è anche la nostra lotta.

Facciamo appello a tutti i disoccupati e i lavoratori, a tutti coloro che hanno sperimentato la crisi, affinché si schierino al fianco dei lavoratori di Metaleftikì Viomijanikì e li sostengano ora che cominciano a dimostrare nella pratica che gli operai possono fare a meno dei padroni. Chiediamo di partecipare a una carovana di lotta e di solidarietà che si concluderà con tre giorni di lotta a Salonicco. Noi vi chiediamo di prendere parte alla lotta e di organizzare la battaglia nelle vostre località con percorsi assembleari di democrazia diretta, senza burocrati, per rovesciare coloro che distruggono la nostra vita con uno sciopero generale ad oltranza di carattere politico! Così le fabbriche e tutta la produzione passeranno nelle mani dei lavoratori e potremo organizzare l’economia e la società che vogliamo: una società senza padroni!
È l’ora di Metaleftikì Viomijanikì! A lavoro!
Apriamo la strada ovunque per l’autogestione operaia. Apriamo la strada per una società senza padroni.

Eventi:

Domenica 10 febbraio:
alle 18:00 Assemblea delle Iniziative di Solidarietà di tutta la Grecia, nel cinema Alexandros

Lunedì 11 febbraio:
– Corteo dal centro di Salonicco (Kamara), alle 17:00
– Concerto nello stadio Ivanofio, alle 20:00

Martedì 12 febbraio:
Tutti alla fabbrica!
Concentramenti: h11:00 Kamara, h12:00 IKEA

Iniziativa Aperta di Solidarietà e Appoggio alla Lotta dei Lavoratori di Viomijanikí Metaleftikí (Industria Mineraria)

Il testo in greco: http://biom-metal.blogspot.gr/2013/01/blog-post_8563.html


Ελευθεριακή Συνδικαλιστική Ένωση – Διεθνείς Σχέσεις
Unione Sindacale Libertaria – Relazioni Internazionali

http://athens.ese-gr.org/

 

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02/02 Presentazione “Livorno ribelle e sovversiva” e cena sociale

livornoribelle 020213

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