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FAL: Comunicato stampa su libertà di scelta e tagli alla sanità

pubblichiamo il seguente comunicato della FAL

Comunicato stampa su libertà di scelta e tagli alla sanità

La Federazione Anarchica Livornese ritiene molto importanti le iniziative sul territorio attivate da Non Una Di Meno Livorno a denuncia dei generali tagli sulla sanità e sui consultori in particolare, con le conseguenti pesanti limitazioni alla libertà di scelta su aborto, maternità e contraccezione.

Ritiene gravi e vergognose le posizioni espresse a mezzo stampa dal primario di Ginecologia dell’ospedale di Livorno che denotano una volta di più l’approccio violento delle istituzioni, in questo caso quella sanitaria, all’autodeterminazione delle donne e delle libere soggettività.

La sanità pubblica è sempre più tagliata e malfunzionante. Accedere alle prestazioni è sempre più difficile. Accedere a servizi essenziali come quelli legati a contraccezione, aborto, salute sessuale lo è ancora di più.

Scelte politiche ed economiche da anni tagliano e riducono servizi sul territorio, incentivano la privatizzazione, dirottano le risorse verso quanto di più distante esista dal benessere delle persone. In questa situazione, il progressivo e spropositato aumento delle spese militari rappresenta, oltre che un pericolo mondiale, un insulto ai bisogni reali, sempre più disattesi. A farne le spese soprattutto le fasce sociali più deboli, in un sistema di gestione della salute sempre più classista.

L’attacco alla autodeterminazione in materia di salute riproduttiva e sessuale, l’attacco all’aborto, il taglio dei consultori e dei relativi servizi ha qualcosa che va oltre le scelte economiche di taglio e privatizzazione. La libertà di scelta delle donne sul proprio corpo è concepita come qualcosa di pericoloso, da ostacolare in ogni modo, perché sovverte la base del dominio, ciò su cui il patriarcato ha basato il suo potere, regolato dalla gerarchia sessista e dall’istituzione familiare come sistema di disciplinamento sociale; su di esso il capitalismo ha modellato la divisione del lavoro e la riproduzione delle condizioni di vita, oltre che della prole, coerenti con la logica del profitto. Una sessualità libera, una libera scelta di maternità, una libera scelta di abortire, un libero orientamento sessuale e un superamento del genere sono elementi pericolosi, che sovvertono l’ordine sociale, politico ed economico costituito.

In Italia l’aborto è regolamentato da una legge che funziona a scartamento ridotto; in alcune zone del paese la percentuale di obiezione di coscienza la rende impraticabile. È come se, in questo ambito, la famosa autonomia differenziata verso la quale si sta andando (attualmente deprecata anche da coloro che a suo tempo le spianarono la strada col referendum sul titolo V della Costituzione) fosse una realtà già da quarantacinque anni. Laddove per svariati motivi, pure tra le varie e sempre maggiori difficoltà, il servizio è più accessibile, abbiamo comunque l’aggressione alla libera scelta determinata dal moralismo, dal giudizio, dallo stigma, dalla colpevolizzazione, dalla condanna. È quanto abbiamo letto nelle parole del primario di Ginecologia dell’ospedale di Livorno, che imputa all’aborto l’origine di tutti i mali, compreso il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione livornese, che imputa alle donne la rottura degli schemi relazionali tradizionali, che rivendica per sé e per altri non meglio identificati soggetti la responsabilità di capire “cosa sia meglio per le nostre compagne per le nostre figlie e per noi stessi”. Come se le donne fossero persone incapaci di capire da sé.

La relazione tra aborto e calo demografico, spesso sottolineata dai settori più reazionari, suona quanto mai sinistra e richiama la definizione che l’aborto aveva nel codice penale prima della depenalizzazione, quando era classificato come “reato contro la sanità e l’integrità della stirpe”. E se non è possibile riportare indietro l’orologio come qualcuno vorrebbe, tante sono le iniziative di contrasto alla libertà di scelta sul proprio corpo. Anche perché la ripresa del movimento femminista e transfemminista, le costanti spinte all’autodeterminazione, le possibilità offerte dall’aborto farmacologico, gestibile senza ricorso ad ospedalizzazione e non disciplinato dalla legge 194 mettono paura. E le istituzioni corrono ai ripari per difendere il monopolio patriarcale sui corpi non conformi al destino riproduttivo. Lo fa la Chiesa, con le ribadite condanne espresse dai suoi vari esponenti, lo fanno molti stati e molti governi, lo fa la suprema corte degli stati uniti, lo fanno gli oltre 50 comuni italiani che hanno dedicato spazi ai cimiteri dei feti, lo fanno le regioni, Toscana compresa, che finanziano la presenza delle associazioni antiabortiste nei consultori, lo fanno le politiche di taglio dei consultori, lo fanno i fascisti di turno al governo che vogliono dare personalità giuridica ai feti in modo da imputare di infanticidio chi abortisce.

Non ce la faranno. Siamo convint3 che nonostante la repressione oscurantista, le colpevolizzazioni, gli ostacoli di una legge colabrodo come la 194, la lotta quotidiana per l’autodeterminazione portata avanti dal movimento femminista e transfemminista, dalle donne, dalle libere soggettività e da tutt3 coloro che le affiancano e sostengono andrà avanti. Perché la libertà di scegliere, come tutti i desideri di libertà, si rigenera, si riafferma, rompe le maglie del diritto che vorrebbe irreggimentarla, sfugge a chi vorrebbe domarla, si fa fluida e intersezionale. Questo desiderio di libertà animerà sicuramente le piazze dell’8 marzo, a Livorno, come in tutto il mondo

Federazione Anarchica Livornese

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MANIFESTAZIONE – FERMIAMO LA CORSA DEL GOVERNO VERSO LA GUERRA MONDIALE

24 FEBBRAIO MANIFESTAZIONE
Fermiamo la corsa del governo verso la guerra mondiale
h 17:30 P. GRANDE
LIVORNO
– Contro ogni imperialismo
– Contro tutte le guerre e i nazionalismi
– Basta invio di armi e denaro per alimentare la guerra in Ucraina
– Basta missioni militari in Europa Orientale
– Solidarietà tra le classi sfruttate dei diversi paesi
– Sostegno a chi diserta e a chi lotta contro la guerra
Coordinamento per il ritiro delle missioni militari

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PRESIDIO A LIVORNO: FUORI ALFREDO DAL 41 BIS

 

FUORI ALFREDO DAL 41 BIS

GIOVEDÌ 2 FEBBRAIO

ORE 17:30

PIAZZA CAVOUR

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Presentazione della Balkan Anarchist Bookfair 2023

20 anni di Balkan Anarchist Bookfair:
Oltre i muri del nazionalismo e della guerra!*

Presentazione del progetto e dell’evento della BAB a Ljubljana (7-9 luglio 2023)

Sabato 4 febbraio
presso la Federazione Anarchica Livornese
in Via degli Asili 33, Livorno

alle 20 cena buffet
dalle 21 Presentazione con compagn* di Ljubljana dell’assemblea organizzativa della BAB 2023

La Balkan Anarchist Bookfair – Fiera del libro anarchico dei Balcani – è un progetto ventennale che si tiene quasi ogni anno in diversi paesi del Balcani. Iniziato a Ljubljana, in Slovenia, nel 2003, torna a Ljubljana per il suo 20esimo compleanno, dal 7 al 9 luglio 2023.

Per noi il concetto di BAB non ha mai riguardato solo i libri. Lo abbiamo sempre inteso come uno strumento per rafforzare i nostri gruppi, organizzazioni, relazioni e reti a livello locale, regionale e internazionale. Lo intendiamo come uno spazio in cui scambiare le nostre idee, analisi, prospettive e confrontare le nostre pratiche, i nostri modelli di organizzazione e le nostre esperienze di lotta, le nostre partecipazioni ai movimenti sociali e l’inserimento delle nostre idee in essi.

L’assemblea organizzativa della BAB 2023 sta preparando una serie di presentazioni del progetto ai nostri più vicini compagni nella regione, seguendo la decisione dell’assemblea di confermare le nostre relazioni con gruppi più o meno formali, reti e individui che vorrebbero partecipare all’evento nell’estate del 2023.

Presenteremo la storia della fiera del libro, parleremo dei nostri principi organizzativi, delle nostre speranze e dei nostri piani per l’evento a Ljubljana e per il futuro del movimento anarchico e antiautoritario.
Saremmo contenti di ricevere pensieri, idee, commenti sul programma dell’evento, così come di sviluppare una più ampia discussione sul ruolo delle fiere del libro nel movimento anarchico, localmente o internazionalmente.

Ci piacerebbe in particolare incontrare progetti editoriali autoorganizzati, che siano piccoli o grandi, saltuari o periodici, collettivi o individui a cui piacerebbe prendere parte alla fiera del libro, oltre a gruppi politici, organizzazioni, attivisti.

Nessuna nazione ci unisce, nessuna guerra ci dividerà!

Potete trovare maggiori informazioni sulla pagina web e facebook che aggiorneremo regolarmente
https://bab2023.espivblogs.net/

https://www.facebook.com/BalkanAnarchistBookfair

*slogan del movimento anarchico della ex-Yugoslavia che fu usato nelle mobilitazioni antimilitariste e antinazionaliste contro le guerre degli anni ‘90, e che fu anche il nome della testata anarchica che fu pubblicata all’epoca dai compagni di diversi paesi della ex-Yugoslavia

 

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PISA Venerdì 20: BENEFIT Umanità Nova + Dibattito “Fermiamo le armi, e iniziamo da qui! La guerra e il nostro territorio”

Venerdì 20 gennaio

ROOTS AND CULTURE

SERATA BENEFIT PER IL SETTIMANALE ANARCHICO UMANITÀ NOVA
Al Cantiere San Bernardo, Via Pietro Gori

Dalle ore 18
“Fermiamo le armi, e iniziamo da qui!
La guerra e il nostro territorio”

Dibattito con la partecipazione del Coordinamento Antimilitarista di Livorno

Il territorio tra Pisa e Livorno è segnato da una forte militarizzazione. La presenza della Folgore, della Accademia Navale, della 46a Brigata aerea e delle forze speciali dell’esercito e dei carabinieri fanno di questa zona un nodo strategico per le politiche di guerra dello stato italiano. Sta a noi rompere questa dinamica a partire dall’opposizione alla nuova base militare del Tuscania a Coltano e dall’ampliamento di Camp Darby. L’aeroporto di Pisa e il porto di Livorno hanno un ruolo sempre più importante nel trasporto di materiale bellico anche verso l’Ucraina. Per solidarizzare con i disertori ucraini e russi quindi, e sostenere una coerente posizione antimilitarista e internazionalista contro Putin e contro la Nato dobbiamo cominciare da qui. La solidarietà internazionale parte innanzitutto dalle inziative contro le piattaforme della guerra sul nostro territorio. La recente campagna contro l’azienda Cheddite le cui munizioni sono state usate dalla polizia iraniana, per sparare fucilate sui manifestanti, è un esempio. Opporsi alla produzione bellica, al traffico di armi, alle basi, alla militarizzazione del territorio è un primo passo per inceppare gli ingranaggi del militarismo e della guerra.

Intendiamo costruire su questa base una discussione circolare con tuttx lx interessatx

Dalle ore 20

Apericena vegetariana e

Dj Set ReggaeRootsDub

strettamente su vinile

RootsMilitantHiFi

(RankingTeo-VbraOne-Rastantò)

Circolo Anarchico Vicolo del Tidi

Cantiere San Bernardo

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Da venerdì è in edicola a Livorno il primo numero di Umanità Nova del 2023

Da venerdì è in edicola a Livorno il primo numero di Umanità Nova del 2023

Umanità Nova si può trovare in distribuzione anche a Livorno:
Bar Dolcenera angolo via della Madonna via avvalorati
Edicola Piazza Grande Angolo Via Cogorano
Edicola Piazza Attias lato Corso Amedeo
Edicola Via Verdi angolo Via San Carlo
Edicola Via Garibaldi 7
Edicola Piazza Damiano Chiesa
Edicola piazza Aldo Moro
Edicola viale Antignano 115

 

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2012 – 2022 L’esempio del Rojava

articolo pubblicato sull’ultimo numero di Umantià Nova dello scorso anno, il numero 32 del 18 dicembre 2022

2012 – 2022 L’esempio del Rojava

Tra gli anniversari che hanno segnato questo anno 2022 che si sta andando a concludere, tra tante vicende storiche, uno riguarda un fatto che dieci anni fa fece poca notizia, ma che diede avvio ad un processo, ancora in corso, che ha suscitato negli anni enorme attenzione per aver liberato un grande potenziale rivoluzionario in una zona segnata da uno dei più violenti conflitti interimperialisti degli ultimi decenni.

Il 19 luglio del 2012 iniziava quella che è conosciuta come Rivoluzione del Rojava. Nel contesto della guerra civile siriana, nel vuoto di potere lasciato dal regime di Assad che si trovava indebolito, le Unità di Difesa del Popolo (YPG), milizia del Partito dell’Unità Democratica (PYD), assunsero il controllo della città di Kobanê, lungo il confine tra Siria e Turchia, occupando gli edifici governativi e le vie di accesso alla città. Da quel momento, in quella parte settentrionale della Siria che i curdi chiamano Rojava, il Kurdistan Meridionale in territorio siriano, si avvia un vero e proprio processo rivoluzionario. Le forze delle autorità centrali vengono esautorate e allontanate, le YPG e le YPJ assumono il controllo del territorio e il Movimento per una Società Democratica (TEV-DEM), organizzazione ombrello creata dal PYD, riorganizza la società con l’obiettivo di applicare il confederalismo democratico. Il confederalismo democratico è il nuovo paradigma ideologico elaborato in seno al movimento curdo e adottato dal Movimento delle Comunità Curde (KCK) negli anni 2000. Del KCK fa parte il PYD ma anche il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) attivo nel Bakur, il Kurdistan Settentrionale in territorio turco e i corrispettivi partiti attivi nelle aree segnate dalla presenza curda in territorio iraniano e iraqeno. È il movimento che fa riferimento ad Abdullah Öcalan, fondatore del PKK in carcere dal 1999, e che dichiara di aver abbandonato tra gli anni ‘90 e gli anni 2000 l’ideologia marxista-leninista per abbracciare il confederalismo democratico, un paradigma ideologico eclettico, che assumendo anche riferimenti libertari propone una prospettiva ecologista, femminista e democratica. Ma il principale cardine del confederalismo democratico è il rifiuto dello stato-nazione, un nodo chiave per un partito che si fa portavoce di una minoranza, quella curda, in una regione, quella mesopotamica, marcata dalla presenza di stati di matrice fortemente nazionalista, come la Turchia, la Siria, l’Iran e l’Iraq. Dopo decenni di guerriglia con l’obiettivo dell’indipendenza, per la costruzione di una nuova entità statale basata sull’identità curda, la prospettiva cambia radicalmente. Viene abbandonata l’idea di indipendenza attraverso un nuovo stato-nazione con propri confini, e viene sostituita dalla creazione di forme di autogoverno territoriale che possano rappresentare la pluralità culturale dei diversi popoli della regione, senza confini predeterminati, senza un’unica identità linguistica, etnica o culturale. È in questa prospettiva che il TEV-DEM avvia la costituzione di forme di autogoverno: cooperative, case del popolo, case delle donne, un sistema politico decentrato su più livelli, dal consiglio di quartiere, al cantone, fino al livello più alto, un sistema che non è mai divenuto nel corso degli anni monopartitico.

Questo processo si inseriva in un contesto molto particolare. Nel 2011 il Mediterraneo è una delle aree in cui è più forte il conflitto tra le istituzioni e i movimenti di contestazione nati nel quadro della grande crisi economica globale del 2007/2008. Ma se in Europa i movimenti di classe non riescono a scalfire le politiche di macelleria sociale e la contestazione della classe politica non fa che generare nuove forme di legittimazione del potere più autoritarie, lungo la costa sud del Mediterraneo invece un vero e proprio ciclo insurrezionale travolge le dittature. Dopo Tunisia, Libia ed Egitto anche la Siria viene toccata da questo dirompente movimento che viene chiamato “primavere arabe”. Le potenze globali e regionali per evitare che questi processi possano mettere in discussione l’ordine neocoloniale e con esso lo stesso ordinamento sociale, decidono di intervenire sia con l’impegno militare diretto, sia con l’appoggio a “nuovi” gruppi di potere, sia creando bande ed eserciti “controrivoluzionari” o comunque incaricati di assicurare sul campo gli interessi del governo che li arma. Questo porta in Siria alla guerra civile. Nel momento in cui la guerra spazza via dallo scenario della Siria ogni possibilità di una trasformazione sociale dal basso, l’autogoverno del Rojava rappresenta, non senza contraddizioni, uno spazio in cui dare concretezza alle aspirazioni di libertà che animavano i movimenti di quegli anni.

La situazione interna della Turchia giocò anch’essa un ruolo importante. Con la sanguinosa repressione tra la primavera e l’estate del 2013 dell’ampio movimento di protesta che era nato a Gezi Park ad Istanbul contro il modello autoritario e affaristico del governo conservatore religioso guidato dall’AKP di Erdoǧan, la sinistra rivoluzionaria e l’opposizione in genere cercano una strategia per il rovesciamento del blocco di potere al governo. Quando si chiude ogni margine per le trattative di pace tra il governo di Ankara e il movimento curdo, la prospettiva diviene chiara: unire la forze per il cambiamento da una parte e dall’altra del confine, tra Turchia e Rojava. Tra il 2014 e il 2015 questa prospettiva cresce e matura insieme alla solidarietà internazionale che conosce, tra l’esodo della popolazione Ezida dalle montagne di Shengal e l’assedio di Kobanê, il momento di massima attenzione. Dal 2015 fino al 2016, con lo stragismo e la guerra interna lo stato turco scatena una repressione feroce per eliminare fisicamente le opposizione e impedire con la forza lo sviluppo concreto di una prospettiva comune di liberazione tra Siria e Turchia.

Negli anni il processo rivoluzionario è stato sempre sotto attacco da più parti e molti sostengono che si sia di fatto arrestato. Spesso anche su queste pagine, come in molte iniziative pubbliche, abbiamo affrontato, anche su un piano critico, i limiti e le contraddizioni di quella che non si è comunque mai qualificata come “rivoluzione anarchica”, ma che senza dubbio rappresenta un esperimento di trasformazione sociale eccezionale in tempi come questi, e non può non suscitare non solo il nostro interesse ma anche il nostro impegno solidale. La guerra portata dalla Turchia, per procura o in forma diretta, con le successive invasioni di Afrin nel 2018, di Serekaniye nel 2019 e oggi con i bombardamenti su Kobanê. La necessità di portare guerra allo Stato Islamico e alle varie gang controrivoluzionarie della regione. Gli intrighi militari e diplomatici delle potenze presenti sul campo, dagli USA alla Russia, all’Iran, fino alle stesse truppe di Damasco, hanno spesso isolato l’esperienza del Rojava, dimostrando come stati formalmente nemici trovino facilmente un accordo quando si tratta di assestare un colpo a una pericolosa prospettiva rivoluzionaria. La guerra continua ha certamente indebolito la prospettiva di profondo cambiamento sociale oltre che politico. È uno dei problemi più classici della storia dei movimenti rivoluzionari, quello della contraddizione tra guerra e rivoluzione. Ma le contraddizioni, gli elementi da discutere sono molti. La questione della proprietà privata in un’economia prevalentemente agricola e disastrata dalla guerra, la questione dell’estrazione delle risorse fossili, la costituzione della Amministrazione Autonoma della Siria del Nord Est e lo spettro della cristallizzazione delle istituzioni statali che potrebbe rendere ineffettive le forme di autogoverno, l’amministrazione della giustizia, la gestione delle migliaia e migliaia di prigionieri di guerra cittadini di paesi europei che si rifiutano di riprenderli, preferendo lasciarli come elemento destabilizzante in Rojava. Elementi che non potrebbero essere riassunti in un breve articolo, che non renderebbe il debito spazio a questioni così importanti e a come si sono sviluppate nel corso di un decennio.

Ma una cosa è certa, se anche questa esperienza dovesse spaventosamente finire con una guerra, se anche le contraddizioni dovessero prendere il sopravvento e bloccare il processo di trasformazione, il Rojava avrebbe comunque uno straordinario esempio da dare al mondo. Il rifiuto dell’egemonia e il riconoscimento della natura plurale della società è probabilmente il messaggio più originale e importante di questo processo. Uno dei più visibili risvolti concreti di questo assunto è la costruzione di forme di convivenza, cogestione, cooperazione tra le diverse identità, popolazioni e culture presenti in quella regione. Questo è un aspetto che non è mai venuto meno nell’esperienza del Rojava, non è mai arretrato, anzi è cresciuto e si è sviluppato nel tempo. Molti solidali quando si iniziò a parlare del Rojava, con uno sguardo non sempre libero da lenti neocoloniali, esaltavano l’importanza di queste pratiche di convivenza e tolleranza in una terra da sempre segnata da conflitti settari, religiosi ed etnici, dal massacro delle minoranze, dalla guerra “tribale”, dall’oppressione delle donne, dal dominio di sangue di un gruppo sull’altro. Ma la vera importanza di tutto questo penso che l’abbiamo potuta capire solo adesso. Mentre nella civile Europa si torna a combattere in nome del nazionalismo etnico e linguistico, e le menzogne sull’identità culturale e di sangue diventano, di nuovo, un discrimine tra “amici” e “nemici”. Nel contesto di guerra in Europa persino alcuni soggetti tra quelli che sostenevano politicamente la rivoluzione in Rojava oggi si schierano a sostenere il “diritto alla difesa” di un popolo, che parli ucraino o russo. Superare l’idea di popolo come unità linguistica ed etnica che costituisce una nazione, riconoscere la pluralità della composizione culturale di una regione, la divisione in classi delle società, il ruolo oppressivo degli stati, sembra essere diventato difficile nell’Europa di oggi. Possiamo trovare delle risposte proprio in quelle terre che molti ritenevano “tribali”. La prospettiva del confederalismo democratico propone delle possibili strade, rifiutando lo stato nazione, riconoscendo la pluralità, rifiutando la polarizzazione imposta dalla guerra e sviluppando una terza via. Dopotutto il movimento curdo approda al confederalismo democratico dopo la feroce guerra che nei primi anni ‘90 provocò massacri e devastazione dei villaggi nel Kurdistan Settentrionale in territorio turco. Il confederalismo democratico fu il tentativo di costruire una strategia di pace. Non intesa come assenza di guerra o come accordo tra i governi, ma come solidarietà tra le classi oppresse e sfruttate. Un aspetto spesso trascurato che ci mostra il valore rivoluzionario della pace.

Dario Antonelli

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Presidio di solidarietà e benvenuto per i naufraghi

Domani appuntamento alle 7:30 in fondo a Via del Molo Mediceo

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IL GOVERNO OSTACOLA I SOCCORSI IN MARE – LIVORNO SOLIDALE E ANTIRAZZISTA SALUTA L’ARRIVO DELLA LIFE SUPPORT E DELLA SEA EYE 4

pubblichiamo di seguito il comunicato della rete Livorno solidale e antirazzista di cui facciamo parte e con cui abbiamo organizzato la presenza al porto nekka giornata di oggi e di domani
IL GOVERNO OSTACOLA I SOCCORSI IN MARE – LIVORNO SOLIDALE E ANTIRAZZISTA SALUTA L’ARRIVO DELLA LIFE SUPPORT E DELLA SEA EYE 4
La mattina di oggi, 22 dicembre, al molo 75 del porto di Livorno è attraccata la Life Support di Emergency con a bordo 142 naufraghi. Dalle 6.30 di stamani a pochi metri dalla banchina alcune decine di persone hanno animato un presidio spontaneo in solidarietà con i naufraghi. Alcuni striscioni sono stati esposti al presidio e al monumento dei Quattro Mori. Questa notte alcunx antirazzistx hanno appeso sul muro del molo novo, di fronte a dove è poi attraccata la Life Support un grande striscione con un messaggio chiaro “Refugees Welcome”. Per domani mattina alle 10 è previsto l’arrivo della Sea Eye con a bordo 108 naufraghi. Anche per domani 23 dicembre è importante una presenza solidale al porto di Livorno.
Di seguito il comunicato che abbiamo condiviso come Livorno antirazzista e solidale, di cui fanno parte diverse realta politiche e sociali.
Livorno solidale e antirazzista rivolge un saluto di benvenuto ai naufraghi che saranno sbarcati nel nostro porto, probabilmente fra il 22 e il 23 dicembre.
Ringrazia gli equipaggi di Life Support e Sea Eye 4, e quanti si adoperano per aiutare queste persone ad affrontare questo momento drammatico della loro vita.
Purtroppo però la scelta di portare i naufraghi fino a Livorno viene dal Ministero degli Interni e non risponde alle esigenze delle persone soccorse, anzi rischia di rappresentare un nuovo ostacolo al soccorso dei naufraghi che sono stati salvati al largo della Libia e che sono stati costretti a patire altri tre giorni di navigazione, passando davanti a decine di altri porti. Per questo uniamo la nostra voce alla protesta di Emergency e delle altre organizzazioni che si occupano del soccorso in mare, denunciando la manovra del governo che punta a rendere insostenibile alle organizzazioni il costo dei soccorsi attraverso l’indicazione di porti sicuri estremamente distanti dalle aree di soccorso. Tutto questo avviene mentre il governo sta mettendo in campo nuove regole assassine per impedire di fatto le attività delle Ong per il soccorso in mare dei naufraghi.
Se qualche politicante pensa di poter fare di Livorno e del suo porto l’ennesimo palcoscenico per le proprie campagne di odio e per fare propaganda elettorale sulla pelle della gente ha sbagliato posto. Sul salvataggio dei naufraghi non si discute. Chi viene a fare passerella rischia di fare uno scivolone.
Segnaliamo inoltre una strana coincidenza tra questa operazione e l voci insistenti sull’apertura di un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) in Toscana, veri e propri lager per senza documenti, la cui apertura era stata impedita fino ad oggi dalla mobilitazione popolare.
Fanno pena le prese di posizione dei gruppi estremisti e fuori dalla realtà come la Lega che, in uno squallido gioco delle parti, non perde occasione per scagliarsi contro le decisioni dello stesso governo di cui fa parte.
Questa decisione del governo si unisce ad altre scelte autoritarie e antipopolari, ad una finanziaria che trova soldi solo per la Chiesa, i militari e i capitalisti, tagliando il reddito di cittadinanza e venendo meno alle promesse di aumento delle pensioni minime.
Livorno anche in questa occasione conferma la sua storia:
QUI NESSUNO È STRANIERO
Livorno antirazzista e solidale

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CHEDDITE ARMA LA DITTATURA IRANIANA – Immagini dal presidio

Oggi insieme al Coordinamento Livornese per il ritiro delle missioni militari all’estero di cui facciamo parte, alla Comunità iraniana di Pisa e a tante altre realtà eravamo di fronte alla Cheddite di Livorno, dove vengono prodotti i proiettili con cui la polizia iraniana spara sui manifestanti. Una importante iniziativa di solidarietà internazionalista e di denuncia per sostenere chi in questi mesi si rivolta in Iran e per fermare la produzione e il traffico di armi. Con la solidarietà, l’iniziativa unitaria e l’azione diretta possiamo fermare il traffico di armi.

 

 

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