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Difendiamo la salute, non il profitto!

Difendiamo la salute, non il profitto!

La Federazione Anarchica Livornese e il Collettivo Anarchico Libertario esprimono il proprio sostegno alla lotta condotta in queste settimane dalle lavoratrici e dai lavoratori in difesa della propria salute.

I provvedimenti tardivi e contraddittori adottati dal Governo per l’epidemia di coronavirus lasciano pericolosamente esposti gli addetti alla produzione. Dopo la firma del protocollo condiviso tra sindacati firmatutto e datori di lavoro, il presidente del consiglio si era arrischiato ad affermare “l’Italia non si ferma”. Purtroppo solo decine di migliaia di contagiati e migliaia di morti lo hanno costretto a chiudere parzialmente le attività produttive. Una “chiusura” molto morbida, che non prevede comunque sanzioni per le aziende che potrebbero aggirare i divieti. Come sempre tutte le responsabilità sono scaricate su chi lavora, mentre l’interesse padronale è sempre tutelato.

I sindacati di regime, che si erano affrettati a firmare il protocollo per mettere a tacere le proteste delle lavoratrici e dei lavoratori, sono ora costretti a inseguire i continui blocchi e scioperi spontanei.

Gli scioperi spontanei o, ancora meglio, l’ingresso sul posto di lavoro e il rifiuto di compiere lavorazioni senza le adeguate procedure di sicurezza, sono gli unici strumenti che tutelano la salute dei dipendenti e, indirettamente, di tutta la popolazione.

Ancora una volta, le lavoratrici e i lavoratori, con le loro lotte rappresentano l’interesse generale, il diritto di tutti alla salute, mentre governo e padroni difendono solo l’interesse dei privilegiati, l’accumulazione capitalistica, che è la prima causa dei mali e delle sofferenze che ci affliggono.

Sosteniamo dentro e fuori i luoghi di lavoro le lotte per la salute, che sono state sostenute in questo periodo, le iniziative previste a livello locale e nazionale nella giornata del 25 marzo, con lo sciopero convocato dall’USB a livello nazionale e dalla CUB e altre sigle sindacali in Lombardia, così come sosteniamo tutte le azioni di sciopero e di protesta in corso. Sono già molti i casi in cui si è arrivati a ottenere la chiusura dei luoghi di lavoro, l’applicazione di procedure di sicurezza, o a tutelare comunque i diritti di tutti in caso di riorganizzazione del lavoro. Solo continuando su questa strada è possibile difendere la salute di tutti e porre un argine all’arroganza del Governo e delle aziende che cercano di approfittare al massimo di questa situazione.

Federazione Anarchica Livornese
Collettivo Anarchico Libertario

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CORONAVIRUS ED EMERGENZA: non ci dimentichiamo da quale parte della barricata siamo

CORONAVIRUS ED EMERGENZA: non ci dimentichiamo da quale parte della barricata siamo

Di fronte a questa crisi stato e capitale stanno mostrando, con un’evidenza mai raggiunta prima, tutti i propri enormi limiti e la loro strutturale incapacità di tenere conto delle necessità e della salute delle persone.

In Italia, le scelte politiche dei governi hanno costantemente tagliato la sanità pubblica (più che pubblica, statale). Parte delle poche risorse è stata dirottata verso la sanità privata, anche durante l’emergenza attuale. La contemporanea “regionalizzazione”, secondo un modello aziendalista-capitalista, ha poi reso questo servizio, che in teoria dovrebbe essere di carattere universale, fortemente differenziato tra regione e regione, tra regioni ricche e regioni povere.

I pazienti sono diventati clienti e le cure prestazioni d’opera monetizzate in un quadro generale di competizione e profitto.

Questa impostazione del servizio sanitario svela in questo momento drammatico il suo vero volto lasciandoci tutti in balìa della sua filosofia che non è certo quella della pietà umana e del riconoscimento dell’altro come un nostro simile bensì quella del calcolo delle esigenze materiali minime per il massimo profitto che si traducono ora nella carenza di strutture attrezzate, di personale assunto, di materiale di consumo nei magazzini.

Il risultato è che i sempre più risicati fondi e il sempre più ridotto personale, già sfruttato al limite nell’ordinario, non lasciano margini per le situazioni di emergenza. Salvo poi ammettere che i posti in terapia intensiva si stanno esaurendo, il personale scarseggia, i respiratori non ci sono e sarà necessario effettuare delle scelte su chi curare. E tutto questo quando lo Stato sborsa senza batter ciglio 70 milioni di euro al giorno per spese militari. Con i 70 milioni spesi in uno solo dei 366 giorni di quest’anno bisestile si potrebbero costruire ed attrezzare sei nuovi ospedali e resterebbe qualche spicciolo per mascherine, laboratori di analisi, tamponi per fare un vero screening. Un respiratore costa 4.000 mila euro: quindi si potrebbero comprare 17.500 respiratori al giorno, molti di più di quelli che servirebbero ora.

Abbiamo assistito in queste settimane a una totale cialtroneria del ceto politico nell’affrontare l’emergenza, con esponenti di tutte le aree che hanno affermato tutto e il contrario di tutto, invocando la chiusura e l’apertura a seconda di ciò che invocava l’avversario. Abbiamo visto il governo impugnare la chiusura delle scuole marchigiane salvo poi chiudere tutto il Paese pochi giorni dopo, abbiamo visto opportunismi ributtanti e ora assistiamo alla retorica del “ce la faremo”.

Se ce la faremo, non sarà certo grazie ai governi nazionale e regionali. Non sarà certo grazie alla massiccia militarizzazione di città e confini. Non sarà certo grazie alle imprese, che tramite Confindustria hanno gettato la maschera scegliendo esplicitamente il profitto. Lo hanno dichiarato in modo chiaro e netto, senza giri di parole, senza vergogna: non chiudiamo, la produzione deve andare avanti. Questo ha portato a scioperi spontanei in molte aziende, con le centrali sindacali a inseguire le lotte dei lavoratori che non hanno voluto cedere supinamente alle pretese padronali. L’inseguimento dei sindacati di regime ha raggiunto il traguardo del ridicolo protocollo siglato il 14 marzo, contenente solo obblighi per i lavoratori e solo raccomandazioni per le imprese.

Questo disgustoso cinismo, questa fame di profitto unita al disprezzo per la salute di chi lavora, proprio perché espressi in un momento così eccezionale, non devono passare e lor signori ne devono rendere conto.

Questa crisi la sta pagando soprattutto chi lavora in sanità ed è sotto la pressione continua di turni massacranti e dei crescenti casi di contagio e di morti fra il personale stesso.

Nessun media mainstream ha ripreso la denuncia degli avvocati dell’associazione infermieri, un’istituzione che non ha nulla di sovversivo. Nella narrazione dominante infermiere ed infermieri sono descritti come eroi, purché si ammalino e muoiano in silenzio, senza raccontare quello che succede negli ospedali. Gli infermieri che raccontano la verità sono minacciati di licenziamento. A quelli che vengono contagiati non viene riconosciuto l’infortunio, perché l’azienda ospedaliera non sia obbligata a pagare indennizzi a chi si trova ogni giorno a lavorare senza protezioni o con protezioni del tutto insufficienti.

Questa crisi la sta pagando chi ha un lavoro saltuario o precario, al momento senza reddito e senza nessuna certezza di riavere il lavoro a epidemia conclusa.

La sta pagando chi si trova a casa in telelavoro a dover conciliare una presenza casalinga spesso molto complessa con bambini o persone da accudire e contemporanei obblighi produttivi.

La sta pagando chi è costretto ad andare nel proprio luogo di lavoro senza nessuna garanzia per la salute.

La sta pagando chi è povero, senza casa, chi sopravvive per strada o in un campo nomadi.

La stanno pagando i lavoratori e le lavoratrici che hanno fatto scioperi spontanei contro il rischio di contagio e sono stati a loro volta denunciati per aver violato gli editti del governo, perché manifestavano in strada per la loro salute.

La stanno pagando i reclusi nelle carceri dello Stato democratico che hanno dato vita a rivolte in 30 prigioni in difesa della propria salute. Durante le rivolte ci sono stati morti quattordici morti. Quattordici persone che -ci raccontano- sarebbero morte tutte per overdose da farmaci auto indotta. Quattordici persone sottomesse alla responsabilità di un sistema a cui forse non è parso vero di poter applicare con pugno di ferro altre misure di contenimento, non tanto dell’infezione ma dei carcerati stessi.

In una situazione esplosiva a causa delle condizioni già ai limiti dell’umano che da anni -in modo strutturale e non eccezionale- si vivono all’interno delle carceri il governo ha pensato bene di bloccare ogni visita senza prendere misure efficaci a tutela della salute dei carcerati.

Purtroppo sappiamo bene che una volta conclusa e superata questa fase di emergenza saranno sempre le stesse persone a rimetterci in termini di impoverimento e di ulteriore sfruttamento. Perché anche se nessuno di noi ha la sfera di cristallo, si può già prevedere che useranno la scusa della “ripresa”, del “risanamento economico”, del “superamento della crisi”, per comprimere sempre di più gli spazi di lotta nei posti di lavoro e le libertà civili e politiche. Non sarà certo una sorpresa se la retorica della “responsabilità” sarà utilizzata per affinare ulteriormente i dispositivi disciplinari e di controllo sociale, per limitare ancor di più la libertà di movimento, per limitare ancor di più la libertà di scioperare e manifestare, che ora è di fatto sospesa. Già adesso il numero dei denunciati per la violazione dei decreti supera quello dei contagiati. Su questo saremo chiamati a vigilare e agire senza tentennamenti.

Siamo solidali con tutt* coloro che in questo momento stanno rischiando la propria vita per salvarne altre, con tutto il personale in servizio negli ospedali, con chi lavora e sciopera per garantire condizioni di sicurezza per sé per gli altri, con tutt* coloro che non possono permettersi di #restareacasa perchè una casa non ce l’hanno. Siamo solidali con chi ha paura perché teme per sé e per i propri cari. Siamo solidali con tutt* coloro che si sono ammalat* e sono stat* strappat* da casa senza poter avere contatti con i propri cari a causa dell’assenza di dispositivi di protezione, siamo solidali con tutt* coloro che stanno morendo con cure palliative per l’assenza di strutture di emergenza adeguate e lo siamo anche con chi ha dovuto prendere delle decisioni in merito alle vite altrui su chi intubare e chi no nel disperato tentativo di ridurre il danno al minimo quando il danno è comunque certo.

Non ci dimenticheremo di chi è la responsabilità di quello che accade oggi: è dei governi e degli stati che hanno sacrificato la salute di noi tutti scegliendo il profitto, la guerra e il rafforzamento del loro potere.

Ma non si illudano: le lotte non andranno in quarantena.

Commissione di Corrispondenza della

Federazione Anarchica Italiana

20 marzo 2020

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Lorenzo Orsetti Vive!

18.03.2019 – 18.03.2020

Lorenzo Orsetti Vive!
Internazionalismo, rivoluzione, anarchia!
Con il Rojava, Eddi libera!

Un anno fa veniva ucciso Lorenzo Orsetti a Baghouz, nel nord est della Siria mentre lottava per la libertà e l’internazionalismo.
Aveva scelto di unirsi alla lotta delle popolazioni del Rojava e delle YPG/YPJ nel 2017, combattendo a fianco del Tikko e negli ultimi mesi nella formazione Tekoşina anarşist con il nome di Tekoşer

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Strage nelle carceri, lo Stato è responsabile

 

14 DETENUTI MORTI, LO STATO È RESPONSABILE! DIGNITÀ E LIBERTÀ!

Strage nelle carceri

Rompiamo il silenzio calato sulla morte di 14 detenuti nelle carceri di Modena, Rieti e Bologna. La scorsa settimana in 27 carceri ci sono state rivolte e proteste contro le condizioni disumane a livello igenico e di sovraffolamento a cui è quotidianamente costretto chi è rinchiuso dietro le sbarre. Condizioni ancora più gravi in tempi di emergenza sanitaria. Le parole scritte sugli striscioni nelle carceri erano chiare “indulto”, “amnistia” e “libertà”. Lo Stato ha risposto facendo intervenire l’antisommossa, i GOM, l’esercito. La propaganda di polizia parla di 14 casi di overdose, ma è sicuro che alcuni detenuti in gravi condizioni non sono stati curati e sono morti durante o dopo il trasferimento in altri carceri, in altre città. Lo Stato è in ogni caso responsabile e colpevole di questa strage. Solidarietà con chi lotta ovunque per la dignità, la salute, la libertà.

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La solidarietà non va in quarantena

La solidarietà non va in quarantena

Nelle ultime settimane molte e molti di noi si stanno chiedendo come portare avanti l’attività politica, sindacale sociale nei contesti che viviamo. Ci siamo già trovati a prendere decisioni non facili, annullare o meno iniziative, manifestazioni, scioperi, presidi, assemblee e incontri pubblici, anche sotto la minaccia di un possibile divieto da parte delle autorità. Quello che sta succedendo può incidere significativamente sulla realtà che viviamo, di pari passo con gli effettivi rischi per la salute il processo emergenziale in corso attorno alla questione del coronavirus pone delle questioni molto importanti in termini politici.

Fino dalle prime notizie riguardo alla diffusione del virus in Cina i principali esponenti dei partiti che siedono in parlamento hanno iniziato a cavalcare l’emergenza, strumentalizzando la situazione. Non è una novità. È la cosiddetta “politica dell’emergenza”, il condensarsi del confronto politico attorno a questioni urgenti che dominano le testate dei giornali e danno vita agli hashtag più popolari, con sensazionalismo, con un linguaggio violento, proponendo soluzioni totali e impossibili. Il dibattito pubblico si muove di emergenza in emergenza, c’è quella del terremoto e quella della sicurezza, c’è l’emergenza freddo e quella dei rifiuti, c’è l’emergenza delle buche in strada e infine quella del coronavirus. A volte sono problemi reali a volte sono artefatti, ma non è importante, perché questi politici non vogliono certo risolvere davvero i problemi delle persone. Vogliono creare invece i temi scottanti su cui battere gli avversari e consolidare consensi. Ma attenzione, non è una questione di cialtroneria, incapacità, ignoranza, è una lotta per il potere.

Perché la comunicazione spesso è solo un terreno di scontro, e l’emergenza, specie quando non è solo raccontata ma è anche formalmente riconosciuta dalla legge, come nel caso di alluvioni, terremoti, disastri e emergenze sanitarie, crea delle grandi “opportunità”. Con commissariati straordinari, appalti, consulenze, finanziamenti, snellimento delle procedure, provvedimenti fiscali, bonus, ammortizzatori sociali, si creano posizioni di potere molto appetibili sul piano economico e politico. Ogni stato di emergenza impone una maggiore concentrazione del potere, e per questo si accompagna ad un’intensificazione della lotta per il potere e la sua spartizione.

Proprio nelle scorse settimane c’è stato un duro scontro tra il governo centrale e le regioni guidate dal centrodestra che avevano immediatamente applicato misure drastiche. Un braccio di ferro sul piano delle competenze e dei provvedimenti che ha toccato anche aspetti costituzionali. Conte è arrivato a dire il 24 febbraio di essere pronto a togliere i poteri alle regioni in materia di sanità, possibile in casi straordinari in base all’articolo 120 della costituzione. Mentre il giorno successivo le tensioni avevano quasi fatto saltare la “cabina di regia” tra governo e regioni. In questo contesto, mentre i giornali parlavano di un possibile governo di unità nazionale Salvini-Renzi, proprio Salvini il 27 febbraio è salito al Quirinale per incontrare Mattarella e richiedere l’intervento del Presidente della Repubblica. Già il giorno dopo Renzi smentiva questa possibilità. Evidentemente era stato trovato un qualche accordo politico per affrontare questa prima fase. Questo teatrino, a colpi di dichiarazioni roboanti, provvedimenti draconiani, appelli all’unità, più che essere dettato da necessità sanitarie sembra esser mosso principalmente da esigenze politiche.

Dalla settimana successiva, il 4 marzo, con l’aumento effettivo dei casi e la diffusione del contagio anche fuori dalle regioni del nord Italia viene emesso un primo di una serie di decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri che hanno nell’arco di pochi giorni inasprito fortemente le restrizioni, andando ovviamente anche a toccare la libertà di manifestazione e di riunione. Il DPCM 4 marzo 2020, prevede misure restrittive valide per tutto il territorio nazionale fino al 3 aprile e tra le altre cose sospende “le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”

Questo provvedimento segue due comunicazioni della Commissione di Garanzia Sciopero che sospendono di fatto il diritto di sciopero per l’emergenza coronavirus. La prima comunicazione del 24 febbraio è un invito generale a sospendere gli scioperi dal 25 febbraio al 31 marzo che ha fatto saltare gli attesi scioperi della scuola del 6 marzo. La seconda del 28 febbraio invitava esplicitamente a sospendere gli scioperi generali convocati per il 9 marzo per le giornate globali di lotta femminista dell’8 e del 9 marzo. Si tratta di fatto di un divieto di sciopero specifico per la giornata del 9 marzo, che ha costretto gran parte dei sindacati a ritirare l’indizione, solo lo Slai Cobas ha mantenuto in piedi lo sciopero con rischio di pesanti sanzioni per l’organizzazione sindacale e gli scioperanti.

Nella notte tra il 7 e l’8 marzo viene emesso il DPCM 8 marzo 2020 con effetto immediato che dispone misure rigidissime. Con l’articolo 1 si estende la cosiddetta “Zona rossa” prevedendo anche il divieto di entrata e uscita e di spostamento – tranne che per emergenze e ovviamente per lavoro – all’interno del territorio dell’intera Regione Lombardia e di 14 provincie del Piemonte, dell’Emilia Romagna, del Veneto e delle Marche. Con l’articolo 2 si aumentano le misure restrittive sul territorio nazionale, vietando in modo totale le manifestazioni: “Sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato.”

Tra il 9 e il 10 marzo infine è stato emesso un nuovo decreto, il DPCM 9 maro 2020, che ha esteso a tutto il territorio nazionale comprese le isole tutte le restrizioni, incluse le limitazioni agli spostamenti, ammessi solo per iderogabili e comprovati motivi di lavoro, per emergenza sanitaria e per necessità. Inoltre “su tutto il territorio nazionale è vietata ogni forma di assembramento di persone in luogo pubblico o aperto al pubblico”.

Se con il DPCM 4 marzo eravamo letteralmente a un metro dalla sospensione delle libertà di riunione e manifestazione, con il potere discrezionale di questori e prefetti di vietare ogni iniziativa, con il più recente DPCM 9 marzo siamo arrivati invece al divieto totale per ogni forma di assembramento fino al 3 aprile. Una formulazione così ambigua, che impiega “assembramento” anziché “manifestazione”, lascia ampio margine di interpretazione alle autorità incaricate dell’ordine pubblico. Inoltre dopo decenni di provvedimenti antisciopero siamo giunti alla definitiva sospensione del diritto di sciopero. Questi decreti hanno avuto subito un effetto devastante, già il primo del 4 marzo, a una manciata giorni dalle manifestazioni dell’8 marzo organizzate in moltissime città dai nodi locali di NonUnaDiMeno e da altre realtà femministe aveva creato estrema confusione. In molte città di fronte a una situazione già segnata dalla paura alimentata dai media attorno all’emergenza coronavirus e dai reali timori per i rischi sanitari, che rendevano più difficile la partecipazione alle iniziative, il provvedimento del governo ha portato le assemblee locali ad annullare molte manifestazioni e momenti di piazza. In molte località comunque anche se non è stato possibile mantenere i cortei sono stati organizzati momenti di piazza rimodulati, resistendo in qualche modo ai provvedimenti e alla paura.

Queste norme potrebbero cambiare già nelle prossime ore, essere ulteriormente inasprite, o essere affiancate da nuovi provvedimenti, la situazione è ancora abbastanza confusa, ad ogni modo in questo momento fino al 3 aprile sono vietate in modo arbitrario tutte le forme di manifestazione e riunione, con la giustificazione inappellabile della salute pubblica, e sono punibili tutti gli spostamenti considerati non necessari. Cosa succederà alle tante lotte territoriali, alle vertenze lavorative, alle proteste locali, alle mobilitazioni più radicali, se già queste misure hanno avuto un effetto così forte sulle manifestazioni dell’8 marzo, in una giornata di mobilitazione a livello internazionale che in questi anni ha saputo affermare una propria legittimità? Come è possibile in un simile contesto per chi deve continuare a lavorare, per chi è rinchiuso nelle carceri, per chi al di là del coronavirus deve ricorrere a cure mediche, per chi non ha casa o accesso a servizi igenici, per chi vive in alloggi malsani o precari, per tutti coloro che subiscono prepotenze e taglieggiamenti di speculatori e approfittatori, organizzarsi, far valere i propri diritti, ottenere condizioni decenti, creare forme di solidarietà? Siamo in una situazione in cui lo stato di emergenza conferisce al governo maggiore potere, in cui il Presidente della repubblica chiede “disciplina” e “responsabilità”, in cui le manifestazioni e le riunioni possono essere vietate in modo quasi arbitrario, in cui il diritto di sciopero è sospeso. È una situazione molto pericolosa.

Basta pensare all’approccio militare che è stato scelto per affrontare la situazione delle carceri, le rivolte scoppiate in 27 penitenziari in tutta Italia rendono evidente che una parte della popolazione di questo paese, quasi 61000 persone vivono costretti in condizioni di sovraffollamento e igieniche disastrose. Per questo chiedono in questa situazione una cosa sola, libertà, attraverso un indulto o un amnistia. Per ora lo Stato ha risposto con i reparti antisommossa, i famigerati GOM, e con l’esercito. Ci sono al momento 11 morti tra i carcerati tra Modena e Rieti, per cause ancora da accertare, ma su cui appare evidente la responsabilità dello Stato e dei suoi apparati. Fuori dalle carceri c’erano anche familiari dei detenuti e realtà solidali, queste semplici presenze per i decreti di emergenza del governo possono essere considerate illegali.

È bene notare che fin dalle prime settimane dell’emergenza si è iniziato a parlare di recessione, di crisi economica. In effetti molti settori produttivi in Italia e nel mondo sono colpiti dalle conseguenze dell’emergenza coronavirus, ed ora alcuni amministratori locali propongono un arresto temporaneo delle attività produttive. Ma sappiamo bene cosa significa il ritornello della recessione per milioni di lavoratrici e lavoratori sia precari che “garantiti”, sono già partiti dei licenziamenti, molti contratti a termine non saranno rinnovati, chi lavora a prestazione o in nero non percepisce stipendio, si richiedono sacrifici, si impongono le ferie, quando va bene c’è la cassa integrazione. Ma non è tutto, c’è chi già si sfrega le mani e vorrebbe cogliere l’occasione per intervenire più in profondità sui rapporti di lavoro, con “sperimentazioni” volte a restringere diritti e libertà di chi lavora. In un articolo di Repubblica del 24 febbraio, Mariano Corso responsabile dell’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano afferma: “oltre al coronavirus, bisogna anche debellare un virus che è la nostra incapacità di lavorare in maniera efficiente, superando il pensiero che solo la presenza in ufficio sia garanzia di risultato”. Se da una parte quindi sono sospesi scioperi e manifestazioni non sono certo sospesi i licenziamenti né si frenano le pretese dei manager. Anzi loro possono dire che “Milano non si ferma” mentre chiedono altri soldi pubblici e lasciano a casa qualche migliaio di precari.

Fu proprio con lo stesso ritornello della recessione che meno di dieci anni fa il Governo guidato da Monti decise uno dei più pesanti tagli degli ultimi decenni ai finanziamenti per la sanità pubblica, e in 10 anni sono stato sottratti al Servizio Sanitario Nazionale 37 miliardi di euro. C’è il concreto rischio che la crisi economica legata all’emergenza coronavirus porti a una nuova stagione di “sacrifici”.

Quando ci chiedono di essere responsabili di fare un passo indietro in nome della responsabilità collettiva ci prendono solo in giro. Chi è responsabile dello smantellamento della sanità pubblica che oltre a eliminare molte delle strutture incaricate della prevenzione, ha drasticamente ridotto i posti letto negli ospedali, e addirittura portato alla chiusura di distretti sanitari e presidi ospedalieri? Chi è responsabile della diffusione di malattie respiratorie causate dal grave inquinamento dell’aria, dalle produzioni nocive e da condizioni di vita e di lavoro malsane? Chi è responsabile del fatto che molte persone considerabili a rischio per il coronavirus sono ancora costrette a lavorare e non possono andare in pensione?

Sono le istituzioni, i partiti e gli industriali che hanno distrutto il nostro servizio sanitario, che hanno provocato l’aumento di malattie respiratorie croniche, che ci tengono nella disoccupazione o inchiodati al lavoro fino alla vecchiaia, sono loro che adesso ci chiedono di essere responsabili, di fare altri sacrifici e di non protestare.

Un altro aspetto di questa emergenza da considerare è la traccia che lascerà nella società. Improvvisamente un paese come l’Italia si è trovato immerso in un clima “di guerra”. Non solo e non tanto per la militarizzazione delle aree sottoposte a quarantena ma per la martellante comunicazione politica e mediatica che ha tenuto banco sin dai primi giorni e che ha polarizzato l’attenzione su tutto il territorio del paese. I bollettini quotidiani che alla sera presentavano il conto dei morti, dei contagiati e dei guariti della giornata sono diventati presto una routine, accompagnati dalle notizie sui provvedimenti del governo e dagli appelli alla disciplina, al rispetto delle raccomandazioni igieniche, alla responsabilità, dai numeri di telefono tramite i quali segnalare possibili casi. Se alcune implicazioni di questo periodo si vedranno solo più avanti, altre sono già evidenti. In questo contesto lo Stato sembra essere l’unico garante della salute pubblica, contro il contagio, contro la morte, contro il caos. Questa immagine viene ancora più enfatizzata da chi esalta il modello cinese, o rispolvera addirittura Hobbes per richiamare alla necessità se non di una dittatura quantomeno di uno Stato forte come unica soluzione. In realtà lo Stato ha presieduto allo smantellamento della struttura sanitaria pubblica e per sua natura si preoccupa più di soddisfare le richieste degli industriali e dei grandi proprietari che di tutelare la salute dei cittadini. Inoltre al di là della questione dell’effettiva efficacia dei provvedimenti restrittivi finalizzati a limitare il contagio, su cui non ho alcuna competenza per esprimermi, l’approccio autoritario condotto con provvedimenti drastici applicati ciecamente e acriticamente può risultare disastroso in caso di errori di valutazione. Al contempo il ritornello “state chiusi in casa che ci pensiamo noi” attiva un processo di deresponsabilizzazione e infantilizzazione nella società molto pericoloso. Il senso di impotenza e impossibilità di incidere di fronte all’emergenza fa trascurare l’importanza delle scelte e delle iniziative individuali e collettive dal basso. Questi provvedimenti possono contribuire a disgregare ulteriormente il tessuto sociale, demolendo ogni forma di autodifesa individuale e collettiva, facendo perdere ogni fiducia nella capacità di reazione a livello sociale. L’autoritarismo non può sostituire la solidarietà, la consapevolezza, la responsabilità individuale, il confronto collettivo che in queste situazioni possono rappresentare delle indispensabili forme di prevenzione. Basti pensare al fatto che possono essere considerate illegali anche le forme di autorganizzazione che in molte città stanno emergendo, quali forme di solidarietà per la consegna dei generi alimentari, per il sostegno a chi perde il lavoro o non riceve lo stipendio, o altre attività semplici ma importanti per la sopravvivenza.

La responsabilità che preme in questo momento non è quella di attendere, disciplinatamente, chiusi in sé stessi, che il governo risolva tutto, andando magari comunque a lavoro perché la recessione è dietro l’angolo. Ma è quella di tenere vive e rafforzare le reti di solidarietà in modo che possano essere strumenti per tutti gli sfruttati e gli oppressi in questo contesto, a livello sanitario, sociale e politico.

È bene quindi confrontarsi e riflettere sulla situazione, sia per saper affrontare collettivamente, consapevolmente e in modo solidale il rischio sanitario, sia per impedire che approfittando dell’emergenza venga veramente silenziata ogni forma di opposizione di piazza e ogni forma di attività sindacale. In una fase come questa è importante riaffermare la libertà di sciopero, di manifestazione e di riunione contro i provvedimenti repressivi del governo. Perché è importante, senza trascurare i rischi sanitari, mantenere gli spazi di libertà e agibilità politica, e rafforzare le reti di solidarietà e mutuo appoggio esistenti. Anche per evitare che quando tutto questo sarà finito non ci aspetti una realtà peggiore del virus stesso.

Dario Antonelli

https://umanitanova.org/?p=11724

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8 MARZO: LO STATO OPPRESSORE È UN MASCHIO STUPRATORE!

 

8 MARZO: LO STATO OPPRESSORE È UN MASCHIO STUPRATORE!

La lotta contro la violenza di genere ha visto scendere in piazza milioni di persone in tutto il mondo negli ultimi anni. Il movimento, nelle tante articolazioni che è riuscito ad avere, ha denunciato il carattere discriminatorio, suprematista e razzista della violenza di genere e il suo legame con le istituzioni statali, dall’apparato militare alla magistratura, allo stato nel suo complesso.
Oggi ci troviamo di fronte ad un movimento che mette in discussione le basi millenarie del patriarcato, della società divisa in classi, della gerarchia.

La Federazione Anarchica Livornese e il Collettivo Anarchico Libertario sostengono le giornate di lotta dell’8 e del 9 marzo, indette da NonUnaDiMeno, invitando a partecipare ad entrambi gli appuntamenti, per:

– lottare contro l’imposizione della famiglia come istituzione e contro tutti i provvedimenti governativi che continuano a promuovere e valorizzare la famiglia tradizionale
– denunciare il ruolo delle chiese che continuano a voler ingabbiare i corpi e imporre la propria morale
– lottare per l’autodeterminazione, per la piena libertà di scelta sulle proprie vite e sul proprio corpo, nella gestione della salute, in campo riproduttivo e di interruzione di gravidanza
– contrastare la narrazione tossica dei femminicidi da parte dei media che continuano a raccontare la violenza di genere come frutto di follia o troppo amore, giustificando di fatto i violenti e alimentando la cultura dello stupro
– lottare contro il gender gap salariale e tutte le forme di discriminazione e sfruttamento sui posti di lavoro.

Federazione Anarchica Livornese
cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it
federazioneanarchica.org

Collettivo Anarchico Libertario
collettivoanarchico@hotmail.it
collettivoanarchico.noblogs.org

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29 febbraio: sosteniamo le/i condannate/i per il “Processo Prefettura”

Sabato 29 febbraio

all’Ex Caserma Occupata a Livorno

serata benefit in solidarietà con compagn* condannat* in appello per il “Processo della Prefettura”

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Inaugurazione! presentazione libro / aperitivo / dj set

 

INAUGURAZIONE!

giovedì 20 febbraio

dalle 17 Apertura Biblioteca

dalle 18:30 Presentazione del libro
“MORIRE NON SI PUO’ IN APRILE, L’assassinio di Teresa Galli e l’assalto fascista all’Avanti! Milano 15 aprile 1919”
con l’autore Marco Rossi

dalle 20:30 aperitivo con dj set

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Riapre la Biblioteca del Circolo culturale “Errico Malatesta”
(tutti i giovedì dalle 17 alle 19)

alla FAL in Via degli Asili 33 (zona Borgo Cappuccini)

consultazione libri, opuscoli e periodici della biblioteca
oltre 3000 volumi su anarchismo, movimento operaio, lotte sociali
spazio per studiare con testi propri
spazio per confrontarsi e prendere un caffè

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PRESIDIO – Da Genova a Livorno: Chiudiamo i porti alla guerra!

Da Genova a Livorno: Chiudiamo i porti alla guerra!

Lunedì 17 febbraio
h 17.30
Piazza Grande

PRESIDIO
Contro i traffici di armi nei porti

A Genova è in corso da quasi un anno una mobilitazione contro la guerra che mira a fermare il trasporto di armi nel porto. Nel maggio e giugno scorso i lavoratori portuali e altre realtà genovesi sono riusciti a bloccare per due volte il carico di materiale militare sulle navi della compagnia saudita BAHRI destinato alla guerra in Yemen. Da allora la BAHRI non ha più imbarcato armi a Genova.

Ma il 17 febbraio è previsto l’arrivo di una nuova nave della compagnia saudita a Genova. Inizialmente fissata al 12, la data dell’arrivo è slittata più volte, anche a causa delle proteste in corso ovunque in Europa che hanno già fatto saltare gli scali di Anversa in Belgio e Tilbury in Inghilterra. Il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova ha lanciato un appello di solidarietà a livello internazionale, chiedendo che in contemporanea con l’arrivo della nave vi siano iniziative e azioni a sostegno dei portuali e degli antimilitaristi che a Genova si opporranno a questi traffici di armi.

Solidarizzare con la lotta in corso a Genova è importante, soprattutto qui a Livorno. Nel nostro porto infatti, già fanno scalo ogni mese le navi della Liberty Global Logistics, compagnia che per conto del Dipartimento della Difesa USA trasporta mezzi da combattimento o comunque militari da Camp Darby verso il Medio Oriente. L’ampliamento della base USA di Camp Darby ha proprio lo scopo di aumentare il traffico di materiale bellico. Nel nostro territorio sono presenti inoltre produzioni di droni (IDS) e di siluri (Leonardo), è presente il COMFOSE e il comando dei paracadutisti della Folgore, impiegati nelle missioni di guerra italiane.

La guerra passa anche dai luoghi in cui viviamo e lavoriamo. Non vogliamo essere complici. Possiamo metterci in mezzo e fermarla. Noi siamo al fianco dei lavoratori, degli sfruttati e degli oppressi di tutto il mondo, contro le guerre dei governi e dei capitalisti.
Abbiamo un modo concreto di dire NO alla guerra!

Fermiamo il traffico di armi nei porti!
Non un soldo, non un’ora di lavoro per la guerra!
Siamo al fianco dei portuali genovesi!

Federazione Anarchica Livornese
Collettivo Anarchico Libertario

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Riapre la Biblioteca del circolo culturale “Errico Malatesta”

 

Riapre la Biblioteca del circolo culturale “Errico Malatesta”

Ogni giovedì dalle 17 alle 19
alla FAL in Via degli Asili 33 (zona Borgo Cappuccini)

consultazione libri, opuscoli e periodici della biblioteca
oltre 3000 volumi su anarchismo, movimento operaio, lotte sociali
spazio per studiare con testi propri
spazio per confrontarsi e prendere un caffè

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