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Lo Stato greco all’attacco dei movimenti sociali

foto della giornata del 17 novembre ad Atene [Marios Lolos]

Lo Stato greco all’attacco dei movimenti sociali

Nelle ultime settimane il governo greco guidato da Kyriakos Mitsotakis ha impresso una forte accelerazione alla strategia repressiva contro il movimento anarchico e delle occupazioni, di fronte al quale è urgente rilanciare l’attività di solidarietà. Lo scorso 20 novembre infatti è stato pubblicato dalla stampa greca un vero e proprio ultimatum alle occupazioni emesso dal “Ministero della protezione dei cittadini”, a cui è delegata la gestione dell’ordine pubblico, e da cui dipende assieme ai vigili del fuoco e la protezione civile, anche la polizia. Un ultimatum che intima a coloro che hanno occupato illegalmente edifici pubblici o privati di evacuarli, e continua dichiarando che i richiedenti asilo e le persone con nazionalità diversa da quella greca e che non sono cittadini di paesi UE che risiedono in questi edifici saranno comunque trasferiti in centri temporanei. Gli occupanti di edifici privati devono mettersi in contatto con i proprietari e cercare un accordo. Nel documento viene dato un termine di 15 giorni dal 20 novembre per evacuare gli edifici occupati o accordarsi con i proprietari se la proprietà è privata.

La risposta del movimento non si è fatta attendere, e oltre alle azioni e alle manifestazioni dei giorni successivi è importante segnalare il comunicato dell’occupazione abitativa per rifugiati e migranti Notara 26 che si trova ad Exarchia pubblicato il giorno dopo l’ultimatum del governo: “Da Exarchia occupata diamo 15 giorni di tempo per dare le dimissioni a tutti coloro che sognano il ritorno della dittatura”

È la prima volta che il governo greco mette in atto un simile attacco, generale e frontale contro tutte le occupazioni del paese. L’ultimatum si inserisce in una strategia repressiva più ampia e ricostruire gli eventi degli ultimi mesi può aiutarci a comprendere meglio questi ultimi sviluppi, che cosa c’è da aspettarsi dalle prossime settimane e dai prossimi mesi.

Con le elezioni del 7 luglio è tornato al governo il partito Nuova Democrazia della destra conservatrice, che ha conquistato la maggioranza dei seggi nel parlamento greco. Come annunciato durante la campagna elettorale, nel primo provvedimento fatto approvare dal governo in parlamento lo scorso 8 agosto c’era l’eliminazione dell’asilo universitario, ovvero del divieto alla polizia e all’esercito di intervenire negli spazi delle università se non con l’autorizzazione formale dei rettori. Un provvedimento dal grande significato simbolico considerando che l’inviolabilità delle università era stato una delle principali conquiste della lotta contro la dittatura dei colonnelli, ma ancor più importante sul piano concreto in quanto determina la seria messa in discussione di alcuni di quegli spazi di libertà nella società greca che avevano permesso ai movimenti di lotta di svilupparsi, crescere e radicarsi nell’ultimo decennio. A Novembre è invece tornata a pattugliare le strade di Atene la Squadra Delta che era stata abolita dal governo di SYRIZA, sotto la pressione dei movimenti di lotta. Si tratta di unità speciali che intervengono con moto montate da due poliziotti, sono state utilizzate per tendere agguati e colpire violentemente nelle strade chi partecipava a azioni e manifestazioni durante la rivolta del 2008 e durante gli anni caldi del movimento contro le politiche di austerità. Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio sulla natura politica repressiva di questo provvedimento, basterebbe ricordare che sia in campagna elettorale sia una volta al governo, Mitsotakis ha dichiarato di voler “ripulire” Exarchia, un quartiere in cui “è stata allevata una nuova generazione di terroristi”.

In agosto come molti ricorderanno è iniziata l’invasione del quartiere da parte della polizia, con posti di blocco e controlli ai principali ingressi del distretto. Il 26 agosto sono stati avviati i primi sgomberi di occupazioni abitative per richiedenti asilo e migranti, con 140 persone che fino a quel momento avevano vissuto nel centro di Atene che sono state deportate in campi fuori città. È seguito l’attacco e la distruzione ad alcune di quelle strutture che il movimento manteneva per sviluppare una rete sociale all’interno del quartiere, come la distruzione del chiosco nella piazza di Exarchia e i ripetuti attacchi al K*Vox. In questo contesto il 14 settembre si è tenuta ad Atene una importante manifestazione a cui hanno partecipato migliaia di persone, organizzata dalle principali realtà del movimento anarchico e da molte occupazioni e squat, anche non localizzate in Exarchia, come il Lelas Karagianni 37, occupazione storica nella zona di Kipseli. Al termine della manifestazione la polizia ha compiuto dei raid nelle strade di Exarchia, minacciando spazi autogestiti e bar, aggredendo ed arrestando numerose persone.

Con l’inizio di novembre la pressione esercitata dalla polizia è aumentata, è stato infatti sgomberato il 2 novembre lo squat Vancouver, uno spazio importante per le dinamiche del movimento anarchico ad Atene. Dall’inizio di questa campagna repressiva è la prima occupazione che ha un ruolo più politico all’interno del movimento ad essere sgomberata, fino a quel momento erano state colpite quasi esclusivamente occupazioni abitative. Una settimana dopo, l’11 novembre è stato sgomberato sempre ad Exarchia il Bouboulinas, un altro squat di migranti.

In quegli stessi giorni il governo ha anche avviato un più diretto attacco contro gli spazi di libertà all’interno delle università e contro il movimento studentesco in vista delle manifestazioni del 17 novembre. Il 17 novembre in Grecia si celebrano le vittime della rivolta studentesca del Politecnico di Atene del 1973, repressa nel sangue con i carri armati, che segnò l’inizio della fine della dittatura dei colonnelli, caduta l’anno seguente. Da allora la giornata del 17 novembre non è solo occasione di commemorazione e celebrazione per il nuovo stato democratico greco del proprio mito fondativo, ma è anche una giornata in cui scendono per le strade i movimenti di lotta, i movimenti radicali e rivoluzionari, in cui spesso la polizia interviene e vi sono duri scontri. Quest’anno la polizia ha concentrato le proprie forze sul quartiere di Exarchia, dove si trova anche il Politecnico, compiendo sia durante le manifestazioni sia dopo, durante la notte, violentissimi attacchi contro compagne e compagni che si trovavano per strada, ma anche nei confronti di passanti. Solo in quelle ore ci sono stati 90 arresti, per le strade sono rimasti numerosi feriti, molti fermati hanno subito maltrattamenti e torture. Il governo aveva preparato il terreno per questa violentissima repressione.

Grazie all’abolizione dell’asilo universitario in agosto infatti la polizia il 9 novembre ha fatto irruzione nell’Università di Economia e Commercio sul Viale 28 ottobre, non distante dal Politecnico, per sgomberare uno spazio anarchico all’interno dei locali dell’ateneo. L’intervento era stato motivato dalla ricerca di materiale da utilizzare durante scontri di piazza, ma la polizia non è riuscita a trovare niente che potesse giustificare l’irruzione nello spazio. Nonostante ciò la polizia ha ordinato che l’università restasse chiusa dall’11 al 17 novembre per evitare che potesse essere utilizzata dagli studenti per organizzarsi in vista delle manifestazioni del 17 novembre. Le autorità universitarie non si oppongono all’ordine della polizia anzi, decidono arbitrariamente di chiudere i cancelli dell’università il 10 di novembre. Sono proprio gli studenti allora il giorno successivo a riaprire l’università e ad occuparla contro il provvedimento autoritario, ma la polizia interviene con manganelli e lacrimogeni. Di fronte a questa scena che richiama i fatti del 1973 proprio a pochi giorni dalla commemorazione della rivolta del Politecnico, si scatena la protesta nelle università. In decine di università gli studenti protestano e occupano gli edifici universitari in tutta la Grecia, mentre nel giro di pochi giorni si tengono ad Atene tre grandi manifestazioni studentesche, e il 17 novembre nonostante le violenze della polizia sono migliaia a scendere in piazza.

In questo contesto, tre giorni dopo il 17 novembre, il governo lancia l’ultimatum di 15 giorni alle occupazioni. La scadenza imposta dal governo cade proprio nei giorni in cui si tengono ad Atene le manifestazioni per l’assassinio di Alexis Grigoropoulos da parte della polizia il 6 dicembre 2008, che scatenò una rivolta che si saldò con le proteste contro le politiche antipopolari e autoritarie del governo. È possibile quindi che con questo ultimatum il governo greco cerchi di garantirsi mano libera per agire contro le occupazioni in occasione delle manifestazioni del 6 dicembre prossimo.

Anche l’abolizione dell’asilo universitario può essere utilizzato per rimuovere quelle garanzie che sul piano legale quantomeno rallentano l’intervento della polizia. Alcuni squat infatti si trovano in spazi che sono di proprietà dell’università. Allo stesso modo il comunicato emesso dal “Ministero per la protezione dei cittadini” può servire ad aggirare le normali procedure e facilitare l’intervento della polizia.

È in questo senso che il governo greco ha dato un’accelerazione alla sua strategia repressiva. Nelle prossime settimane è probabile che si intensifichino gli attacchi violenti al movimento e gli sgomberi di spazi occupati.

Certo la strategia del nuovo governo non è stata pianificata dall’oggi al domani, è evidentemente una strategia a lungo preparata, e resa possibile dalla politica adottata dal governo precedente guidato da SYRIZA. Il governo di Alexis Tsipras non aveva infatti abbandonato la politica repressiva, anzi oltre ad attuare comunque sgomberi di occupazioni aveva adottato delle strategie finalizzate a isolare e indebolire il movimento delle occupazioni sul lungo periodo. Ad Exarchia questo si è concretizzato con il completo ritiro della polizia dal quartiere, che manteneva solo alcune pattuglie ai margini della zona e il contemporaneo supporto alla criminalità organizzata, in particolare alle narcomafie all’interno del quartiere per creare una situazione di insicurezza tale da rompere il tessuto sociale resistente e solidale del quartiere. Lo stesso vale per le università, il governo di SYRIZA ha avuto un ruolo importante nel processo ancora da compiere di integrazione delle strutture del Politecnico con quelle dell’adiacente Museo Archeologico. Una concreta musealizzazione, che eliminando lezioni e altre attività universitarie dai locali Politecnico, cancellerebbe l’agibilità politica in uno spazio che tuttora è il cuore pulsante dei movimenti di lotta ad Atene.

L’attuale governo di destra ha messo in atto una strategia più diretta, che punta ad attaccare il movimento anarchico e delle occupazioni per piegare quello che negli ultimi dieci anni è stato per tutto il mondo un esempio non solo di resistenza ma anche di autogestione, e organizzazione sociale alternativa di fronte alle misure “lacrime e sangue” che hanno devastato la società greca negli scorsi anni. Ma il governo vuole anche cercare eliminare o porre sotto controllo tutto ciò che potrebbe rappresentare un concreto ostacolo a una nuova ondata di provvedimenti rivolti contro la classe lavoratrice e la gran parte della popolazione, a sostegno della speculazione capitalista.

Il governo Mitsotakis si propone infatti di farsi paladino delle politiche anti-immigrati dell’Unione Europea, inoltre sono in programma nuove leggi che mettono a rischio la libertà di sciopero, nuove privatizzazioni dei bisogni sociali di base della popolazione e ulteriori liberalizzazioni del saccheggio delle risorse naturali. Questi provvedimenti se portati fino in fondo possono riaccendere un’ampia opposizione sociale in Grecia, sostenere il movimento anarchico e delle occupazioni in Grecia significa anche favorire lo sviluppo ti tale opposizione e una sua radicalizzazione nei prossimi mesi.

Dario Antonelli

Pubblicato su Umanità Nova n. 35 del 1/12/19

 

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Venerdì 29 a Stagno presidio contro ENI

Partecipiamo al presidio organizzato da Fridays for future Pisa a Stagno

venerdì 29 alle 14 di fronte alla Raffineria ENI di Stagno

nella quarta giornata globale di sciopero per il clima

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La manovra per dividere gli sfruttati

MANOVRA E CUNEO FISCALE: DIVIDERE IL MOVIMENTO DEI LAVORATORI E FAVORIRE LE DESTRE

Un incontro per confrontarci sulle politiche del governo e su come combatterle.

Giovedì 28/11 ore 21

presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33, Livorno

Il cuneo fiscale è stato posto come obiettivo al Governo dalla Confindustria pochi giorni prima della crisi di questa estate, conclusasi con l’estromissione della Lega e il coinvolgimento del Partito Democratico nel sostegno all’esecutivo Conte.

Il cuneo fiscale è un indicatore usato dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) per misurare gli effetti della tassazione sul costo del lavoro: è il rapporto tra le tasse pagate da un salariato medio e il suo costo totale per il capitalista. L’interpretazione ufficiale raggruppa sotto la definizione di tassazione sia le imposte sul reddito che gravano sul salario, e che sono versate dal capitalista, datore di lavoro, all’erario in veste di sostituto d’imposta, sia la spesa previdenziale legata elle assicurazioni sociali obbligatorie, e che ha carattere contrattuale, facendo parte integrante del monte salari. La spesa previdenziale finanzia i sistemi pensionistici obbligatori che consentono la percezione di reddito monetario a chi è giunto alla fine dell’età lavorativa. Nonostante il sistema pensionistico sia regolato da leggi apposite, esso trae origine dal rapporto contrattuale ed è regolato dall’andamento del conflitto tra lavoratori salariati e capitalisti.

Confondere tasse e cntributi è un’operazione politica, una manovra ideologica che giustifica il continuo peggioramento delle condizioni dei lavoratori salariati, dei pensionati, dei disoccupati e dei precari.

Le ipotesi di applicazione del taglio del cuneo fiscale avrebbero un effetto distorsivo sulla pretesa progressività dell’imposizione fiscale, infatti ne beneficerebbe di più chi guadagna di più: si passa dai 170 euro annui per le fasce più basse, ai 1.100 per quelle più alte. Si tratta quindi di una misura che non contrasta la povertà dilagante: infatti non riguarda i disoccupati e i senza reddito, non coinvolge nemmeno i lavoratori a basso reddito, e aumenterà le differenziazioni tra le varie fasce dei lavoratori.

Confindustria da parte sua, vede in queste misure un contentino da gettare sul piatto dei rinnovi contrattuali, in modo da contenere ulteriormente le già rifdicole richieste che provengono dalle federazioni di categoria “maggiormente rappresentative”. Il taglio del cuneo fiscale, inoltre, apre la strada a quello che interessa ai capitalisti, che è il taglio dei costo previdenziali, che incidono direttamente sui costi dei fattori produttivi. D’altra parte, la riduzione dei contributi obbligatori spinge all’aumento della contribuzione previdenziale volontaria, che, riduce nuovamente il salario disponibile, e va a favorire grandi case d’investimento, banche e sindacati.Il rilancio del processo di accumulazione capitalistica spinge i governi a sottrarre continuamente e in misura crescente risorse dai consumi e destinarle alla produzione. E’ questa la logica che sta dietro allo smantellamento dei servizi, della scuola, della sanità, dell’assistenza, che non sono altro che consumi collettivi, reddito indiretto messo a disposizione della collettività.

Il taglio del cuneo fiscale non mette in discussione questo processo, che colpisce l’aristocrazia operaia come i settori più bassi del mondo del lavoro, i precari i disoccupati, si limita a dare un parziale indennizzo monetario alle fasce più alte. Ci troviamo quindi di fronte ad una forma di clientelismo, gestito dai sindacati concertativi e dai partiti parlamentari, che può solo portare un momentaneo arresto all’emorragia di voti e di tessere.

Il peggioramento delle condizioni di vita di chi vive di salario continua, e l’erogazione di denaro ad alcune fasce di lavoratori non fa che alimentare la conflittualità fra le diverse componenti del movimento degli sfruttati. I settori privilegiati del movimento operaio finiranno per orientarsi verso chi, in modo brutale, difende i loro privilegi, con la scusa del merito e della sicurezza. In modo convergente, anche i disoccupati e le fasce più basse del movimento operaio finiranno per identificare i temi cari alla sinistra parlamentare con il peggioramento delle proprie condizioni di vita, nemmeno attenuate da quelle briciole che vengono concesse alle fasce più alte.

Federazione Anarchica Livornese – F.A.I.
cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

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Repressione in Grecia: appello alla solidarietà internazionalista

APPELLO ALLA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE CON IL MOVIMENTO ANARCHICO, GLI SQUAT, * RIFUGIAT* E * IMMIGRAT* E LA RESISTENZA SOCIALE E DI CLASSE IN GRECIA

Dall’estate scorsa – dopo le elezioni del 7 luglio ed il cambio di governo – è in corso una campagna repressiva di stato in Grecia, che, sin dall’inizio, ha preso di mira la popolazione che lotta – e in particolare il movimento anarchico – gli squat e le strutture auto-organizzate del movimento, * rifugiat* e * immigrat* e la resistenza sociale e di classe in generale.

Uno dei primi passi del nuovo governo di destra è stato l’abolizione della libertà di asilo universitario (per il quale l’esercito o la polizia non possono entrare in una sede universitaria senza l’approvazione del rettore), la militarizzazione del quartiere di Exarcheia – un quartiere di Atene con un passato e un presente ricchi di lotte – e lo sfratto di squat per rifugiati e il successivo trasferimento di centinaia di rifugiat* e immigrat* nei campi di concentramento, realizzando in questo modo le politiche anti-immigrazione dell’UE, dirette al moderno totalitarismo.

Questa campagna di repressione continua, sono previsti nuovi sfratti di squat, e intanto, per mezzo di una serie di nuove leggi, viene sostanzialmente abolita la libertà di sciopero, viene promossa la privatizzazione dei bisogni sociali di base ed è completamente liberalizzato il saccheggio delle risorse naturali da parte delle multinazionali in ogni parte del paese.

Dall’altro lato, i collettivi sociali, di classe e politici stanno già tentando di costruire le prime barricate contro i piani antisociali dello stato e dei padroni. La manifestazione di massa del 14 settembre 2019, organizzata dall’assemblea “NO PASARAN”, è stata una prima risposta dinamica contro i piani dello stato, da parte di migliaia di persone che lottano per le strade, affermando chiaramente che il movimento non si ritirerà davanti alla repressione statale. Continuerà a combattere su tutti i fronti, in cui si sta svolgendo un attacco statale e capitalistico.

Contro l’attacco repressivo dello stato greco e la sua imminente escalation, siamo solidali con il movimento anarchico, gli squat politici e gli squat per immigrati e rifugiati e le realtà di lotta – dagli squat Mundo Nuevo e La Libertatia a Salonicco, che è quasi completamente ricostruito, per lo squat Lelas Karagianni 37 ad Atene (con 30 anni di storia alle spalle), e con tutte le lotte sociali e di classe in Grecia.

Le rivolte popolari in Ecuador e in Cile, la vigorosa resistenza nel rivoluzionario Rojava, le continue mobilitazioni in Grecia, Francia, Turchia, Palestina, i piccoli e più grandi atti di resistenza in tutto il mondo ci danno speranza e forza e dimostrano che il nemico è forte ma non invulnerabile. Intensifichiamo e diffondiamo la lotta combattiva e organizzata per la rivoluzione sociale, per l’anarchia!

NO PASARAN!
LA SOLIDARIETÀ VINCERÀ!

Organizzazione Politica Anarchica (APO)

Internazionale di Federazioni Anarchiche commissione di relazioni (CRIFA)

Federazione Anarchica Italiana (crint-FAI)

Federación Anarquista Méxicana (FAM)

Iniciativa Federalista em Brasil (IFA-Brasil)

Federation for Anarchist Organizing (FAO) Slovenia/Croazia

Anarchist Federation (AF) Britain

Federación Libertaria Argentina (FLA)

Fédéeation Anarchiste (FA) Francofona

….

http://www.i-f-a.org.gridhosted.co.uk/2019/11/06/statement-of-international-solidarity-with-the-anarchist-movement-in-greece/

 

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Corteo antimilitarista a Torino il 16 novembre

16 novembre

H 15 piazza Castello – Torino

Corteo antimilitarista contro l’aerospace&defense meeting organizzato dall’assemblea antimilitarista

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A Roma il 1 novembre per il Rojava – 15 euro pullman da Livorno

Livorno per il Rojava, a Roma il 1 novembre!

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Foto da “La Strage è di Stato, la storia è collettiva”

Alcune foto dall’iniziativa “La Strage è di Stato, la storia è collettiva” lo scorso sabato 26 ottobre al Nuovo Teatro delle Commedie

Un pomeriggio importante, partecipato e sentito, con Claudia Pinelli, Massimo Varengo e Tiziano Antonelli. Grazie a coloro che hanno partecipato e portato un contributo A breve un resoconto più dettagliato.

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With the people of Rojava, against the authoritarianism of all states

With the people of Rojava, against the authoritarianism of all states

Since the 9th of October, the Turkish state has started its invasion of Rojava, endeavouring a new war against the Autonomous Administration of North and East Syria, with indiscriminate bombardments and with the use of ground troops.

For the Turkish government, it is necessary to annihilate a dangerous example of resistance and experimentation of freedom in the region, one which is based on communities that decided to embrace a confederal, feminist and radically ecologist revolution.

This is the true reason for this attack. Even admitting that the ‘Operation Peace Spring’ will be limited to ‘securitise’ a 30-kilometre fringe along the entire border, as initially declared by the Turkish authorities, this war will be devastating. In this fringe, there are many towns and villages that play an important role in the social experiments ongoing in the region. In the same area is likewise located Kobanê, which was freed from the siege of the Islamic State and of the Turkish Army thanks to the people’s resistance, to the YPG and YPJ militias and to international solidarity, in January 2015.

A new expansionistic war serves to Erdoğan, the Turkish president, to keep a consensus which is showing its first flashy creeps. Like during the Afrin invasion of two years ago, today all the parliamentary parties in Turkey, excluding the HDP, side again with the army in support of this new military campaign. This allows Erdoğan and the AKP’s power block to gain also the support of the main opposition party, the CHP. Enrolling the political oppositions in a war is very useful at a time when the party in power continues to lose consensus, and when the severe economic crisis that the country experiences could amplify popular discontent and turn it into social opposition.

The Turkish state triggers war with all means, from bombings on civilians that have already provoked hundreds of casualties, thousands of refugees as well as destruction and sufferings, to the reactivation of the Islamic State. In the next few days, new massacres by the Turkish ground troops, supported by 14,000 mercenaries appointed among former Islamic State militias, are very likely to start. This will mean ethnic cleansing and deportations in the territories that the Rojava militias had freed from the Califate.

The population is in danger and the forms of social self-organisation that have been experimented in these years are about to be cancelled.

The same massacres, rapes, ethnic cleansing, population’s substitutions and mass exoduses which have tragically characterised the Turkish invasion of Afrin could occur again in the rest of Rojava. Five years ago, when the Turkish state threatened Rojava with an invasion, this had been stopped by local resistance and by the great international mobilisation in solidarity. Now, before this actual aggression, it is necessary to act again to stop the war.

Only a strong movement of international solidarity can support resistance, stopping the offensive of the Turkish state and putting an end to the war through popular mobilisations from bottom-up. These should relaunch an anti-militarist and anti-authoritarian critique of the serious responsibilities carried by the regional and global powers which have used Syria as a battlefield for their imperial interests, from Trump’s USA to Putin’s Russia, from the authoritarian regime of Assad to the hypocrisy of the European Union. It is especially worth demasking the role of the Italian state, which is overtly supporting Ankara’s military operations, despite the government’s last statements going in the opposite sense. Italy and Turkey are both NATO members: only in 2018, Italy has sold weapons to Turkey for an overall value of 326.3 million euros. In addition, Italy is keeping a military mission supporting the Turkish army, exactly at the border between Syria and Turkey, with around 130 soldiers and an anti-missiles battery.

For these reasons, we are demonstrating in these days and we invite all to stand in support of those who fight to resist the attacks of the Turkish army and of the Islamic State militias, with their bombings, fires and tortures. We stand in solidarity with the resistance of Rojava and with those who have fought and fight religious fanaticism and all forms of authoritarianism.

Always with the fighters for freedom and equality, always against all states!

International Relations Commission of the Italian Anarchist Federation (FAI-IFA)

federazioneanarchica.org // umanitanova.org

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Dove trovare Umanità Nova a Livorno?

 

Ogni settimana puoi trovare il settimanale anarchico Umanità Nova nelle edicole a Livorno oltre che sui tavolini di alcuni bar e nella sede della federazione anarchica, ecco alcuni dei punti di distribuzione del giornale:

– Edicola P.zza Grande (angolo Via Pieroni)

– Megaditta Edicola 29 in Piazza Grande (angolo Via Cogorano)

– Edicola in Via Garibaldi 7

– Edicola in P.zza Damiano Chiesa

– Edicola in Piazza Micheli (lato Porto – Quattro Mori)

– Edicola Dharma sul Viale di Antignano

– Bar Dolcenera in via della Madonna 38

– Federazione Anarchica Livornese – via degli Asili 33

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FAI: Con la popolazione del Rojava, contro l’autoritarismo di ogni stato!

CON LA POPOLAZIONE DEL ROJAVA
CONTRO L’AUTORITARISMO DI OGNI STATO

Dal 9 ottobre lo Stato turco ha dato inizio all’invasione del Rojava e intrapreso una nuova guerra contro la Federazione della Siria del Nord con bombardamenti indiscriminati e con l’attacco di forze di terra.

Per il governo turco è necessario annientare un pericoloso esempio di resistenza e di sperimentazione di libertà nella regione, basato su comunità che hanno deciso di abbracciare una rivoluzione confederale, femminista ed ecologista dirompente.

Questo è il vero motivo dell’attacco. Anche se, come inizialmente dichiarato dalle autorità turche, l’operazione “Sorgente di Pace” si limitasse a “mettere in sicurezza” un’area profonda 30 km lungo tutto il confine, la guerra sarà devastante. Proprio in questa fascia di territorio infatti sorgono numerose città e centri che hanno un ruolo importante nella sperimentazione sociale in atto nella regione. In questa zona sorge anche Kobanê, che fu liberata dall’assedio dello stato islamico e dell’esercito turco nel gennaio 2015 grazie alla resistenza della popolazione, delle milizie YPG e YPJ, e alla solidarietà internazionale.

Una nuova guerra di espansione serve a Erdoğan, il presidente turco, per mantenere un consenso che mostra le prime vistose crepe. Come due anni fa durante l’invasione di Afrin, anche oggi tutti i partiti parlamentari tranne l’HDP si schierano a sostegno dell’esercito turco e della nuova campagna militare. Questo permette a Erdoğan e al blocco di potere dell’AKP di ottenere anche il sostegno del principale partito di opposizione, il CHP. Arruolare nella guerra le opposizioni è molto utile dopo che il partito di governo continua a perdere consensi, in una fase in cui la grave crisi economica che attraversa il paese rischia di estendere il malcontento e trasformarlo in opposizione sociale.

Lo Stato turco scatena la guerra con ogni mezzo, dai bombardamenti sulla popolazione civile che già hanno provocato centinaia di morti e feriti, migliaia di profughi, distruzione e sofferenza, fino alla riattivazione militare dello Stato Islamico. Nei prossimi giorni cominceranno i massacri ad opera delle truppe di terra turche sostenute da 14.000 mercenari assoldati anche tra i miliziani dello Stato Islamico sconfitti.

Questo significa pulizia etnica e deportazioni nei territori che proprio le milizie del Rojava avevano liberato dal califfato.
La popolazione è in serio pericolo e le forme di autoorganizzazione sociale che sono state sperimentate in questi anni rischiano di essere cancellate.

I massacri, gli stupri, la pulizia etnica e la sostituzione della popolazione, l’esodo di massa, che hanno segnato tragicamente l’invasione turca di Afrin, potrebbero ripetersi nel resto del Rojava. Quando lo stato turco minacciò di invadere il Rojava al tempo dell’assedio di Kobane, 5 anni fa, era stato fermato dalla resistenza locale e dalla grande mobilitazione internazionale di solidarietà. Oggi, di fronte a questo più grave attacco, è necessario reagire nuovamente, per fermare la guerra.

Solo un forte movimento di solidarietà internazionale può sostenere la resistenza, può fermare l’offensiva dello stato turco e fermare la guerra tramite mobilitazioni popolari dal basso che rilancino una critica antimilitarista e antiautoritaria delle gravi responsabilità delle potenze globali e regionali che hanno usato la Siria come un campo di battaglia per i loro interessi imperiali dagli Stati Uniti di Trump alla Russia di Putin, dal regime autoritario di Assad all’ipocrisia dell’Unione Europea. In particolare è da smascherare il ruolo dello stato italiano che nonostante le dichiarazioni del governo di questi giorni sostiene apertamente la politica militare di Ankara. L’Italia e la Turchia sono entrambe nella NATO, e solo nel 2018 l’Italia ha venduto armi alla Turchia per un valore complessivo di 362,3 milioni di euro. L’Italia mantiene inoltre una missione militare a supporto dell’esercito turco, proprio al confine tra Siria e Turchia con circa 130 soldati e una batteria antimissile.

Per questi motivi saremo in piazza in questi giorni e‬ invitiamo tutti e tutte a mobilitarsi a fianco di chi lotta e resiste all’attacco dell’esercito turco e delle milizie dello Stato Islamico. ‬ai bombardamenti, ‬agli incendi, ‬alle torture.
Solidarietà alla resistenza in Rojava, solidarietà a coloro che hanno combattuto e combattono il fanatismo religioso e tutte le forme di autoritarismo!‬‬‬‬‬

Sempre con chi lotta per la libertà e l’uguaglianza, contro tutti gli stati.

12/10/2019

Commissione Relazioni Internazionali FAI
federazioneanarchica.org // umanitanova.org

 

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