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Assemblea-dibattito: terrorismo facista e campagna elettorale

IL TERRORISMO FASCISTA NON PASSERÀ!

Contro la guerra, contro la disoccupazione e la miseria, contro la repressione,

Per l’azione diretta e l’autorganizzazione, per l’autodifesa di massa, per l’antifascismo militante, per il fronte unico proletario, per l’astensione rivoluzionaria!

Quanto è accaduto a Macerata è un ennesimo anello della catena di atti terroristici di cui si sono resi responsabili individui e gruppi fascisti in tutta Italia: aggressioni, accoltellamenti, tentati omicidi e omicidi, ai quali si aggiungono tentativi di esposizione mediatica, come la spedizione punitiva a Como nella sede di un’organizzazione assistenziale e quella nella sede di un importante giornale nazionale.

La campagna d’odio xenofobo e razzista è agitata da molti partiti e diffusa dai media ufficiali, trova una prima sponda nel cosiddetto centro-destra, accolita di fascisti in doppio petto che non si vergognano di candidare i terroristi nelle proprie fila, all’occorrenza, e che hanno un continuo scambio di voti con le liste apertamente fasciste.

Come sciacalli i partiti hanno subito posto l’attentato di Macerata al centro della campagna elettorale. C’è chi esalta l’attentatore fascista e chi ne approfitta per rafforzare la propria posizione di “voce del popolo”, ma sono gli stessi che hanno contribuito a riportare le condizioni di lavoro e di vita indietro di mezzo secolo; c’è chi si presenta come argine al pericolo fascista ma che stando al governo negli ultimi anni ha condotto una politica di sfruttamento, autoritaria e guerrafondaia molto vicina al fascismo. Promesse elettorali, menzogne e strumentalizzazioni sulla pelle delle vittime di Macerata, come sul corpo di Pamela, divenuta vittima dell’invasione straniera secondo il classico schema patriarcale e fascista.

Sui piani comunicativo, politico e culturale, il fascismo viene banalizzato e normalizzato, per il modo in cui viene portato nel dibattito pubblico sia da chi vorrebbe effettivamente riesumarlo dalla discarica della storia, sia da chi ne paventa un ineluttabile ritorno, per dare legittimità ad un governo autoritario dei “moderati” e dei “democratici”. Il pericolo oggi non sono i piccoli partiti e gruppi più apertamente fascisti, ma quei partiti che si sono alternati al governo negli ultimi anni imponendo violente politiche antipopolari. Il fascismo è in primo luogo controrivoluzione preventiva, che si attua con la violenza. Violenza fisica, sopraffazione, uccisioni, desaparecidos, stragi, guerre, negazione delle libertà, razzismo, discriminazione. Il fascismo è l’affermazione degli interessi del capitale finanziario, divieto di sciopero e di organizzazione autonoma dei lavoratori. Il fascismo è la guerra, creazione del nemico interno ed esterno, la bulimia dell’apparato militare. Il fascismo è culto dell’autorità e dell’ordine patriarcale. Il fascismo è segregazione, deportazione, sterminio. Il fascismo è anche far morire affogati i profughi in mare o congelati alla frontiera. Il fascismo non è un momento passeggero della politica, pura reazione, è forma adeguata dello Stato nella fase imperialista, forma a cui tutti i governi, tutte le classi dominanti ritornano quando si attenua la resistenza degli sfruttati e degli oppressi. Non c’è stata idea politica in questo paese che non abbia concorso alla morte di così tante persone come il fascismo.

Un articolo della Costituzione, una disposizione di legge, una mozione parlamentare, un ordine del giorno, un impegno istituzionale o un voto non possono arginare la violenza fascista. Il fascismo si combatte conquistando maggiori libertà, civili, sindacali e sociali, non riducendole. Il fascismo si combatte assumendo il coraggio di guardare in faccia la violenza degli sfruttatori e delle loro bande irregolari, organizzandosi per contrastarla, nelle fabbriche, nei quartieri, nelle scuole.

Oggi il maggior aiuto al fascismo lo dà chi avrebbe voluto vietare la manifestazione antifascista di Macerata, come chi vuole impedire lo sciopero femminista dell’otto marzo.

Stringere le maglie della solidarietà, rendere più inclusive e incisive le lotte, prendere spazi di libertà, migliorare le condizioni di vita e di lavoro, permette di affrontare ogni rigurgito fascista con determinazione e di costruire le basi per la trasformazione rivoluzionaria della società.

Mercoledì 14 febbraio, alle ore 21,00 assemblea dibattito per discutere di:

terrorismo fascista e campagna elettorale

presso la sede della Federazione Anarchica Livornese – Via degli Asili 33

Federazione Anarchica Livornese
cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

Collettivo Anarchico Libertario
collettivoanarchico@hotmail.it
collettivoanarchico.noblogs.org

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Chi ha paura di Pietro Gori?

Chi ha paura di Pietro Gori?

Sabato 3 febbraio a Portoferraio, Isola d’Elba, in Piazza Pietro Gori è stata posta una nuova targa dedicata a Giovanni Ageno, ex-sindaco di Forza Italia ormai defunto a cui la piazza è stata reintitolata dall’attuale giunta comunale di destra. La cosa si preparava da tempo, ma solo con pochi giorni di anticipo è stata data la notizia che con una solenne cerimonia sarebbe stata inaugurata la nuova targa toponomastica della piazza antistante alla Biscotteria, dove ha sede il Municipio, che da quel momento si sarebbe chiamata Piazza Giovanni Ageno, e non più Piazza Pietro Gori.

La scelta della giunta comunale ha sollevato l’indignazione di una buona parte della popolazione di Portoferraio e dell’Isola d’Elba. La figura di Pietro Gori infatti, strettamente legata alla storia della regione, sull’isola come sulla costa toscana è conosciuta a livello popolare ed è presente nella memoria collettiva legata alle lotte operaie e popolari che hanno segnato il territorio in più di cento anni. Questa memoria è radicata al punto di dover essere commemorata, non certo senza imbarazzi e reticenze, anche dalle istituzioni. A Portoferraio, dove Pietro Gori morì nel 1911, questa memoria è particolarmente forte, e questo risulta evidente anche dalla toponomastica: oltre alla piazza in questione c’è anche una piccola via del centro a lui intitolata, e nella solita piazza vi è pure un monumento in marmo dedicato a Gori che solo nel momento più duro della dittatura fascista, nel 1940, il regime aveva osato rimuovere. Per questo molte elbane e molti elbani non hanno accettato la reintitolazione.

Ma che all’anarchico Gori fosse intitolata proprio la piazza del municipio evidentemente per la giunta portoferraiese era troppo, hanno così deciso di sfruttare la figura controversa di un collega di partito defunto. Giovanni Ageno fu sindaco di Portoferraio dal 1999 al 2004 e fu una delle personalità al centro dello scandalo “Elbopoli”: accusato di “associazione a delinquere, voto di scambio, peculato, violenza privata, corruzione e concussione, fece quasi tre mesi di carcere preventivo”, e venne assolto tre anni dopo la morte, nel 2008. Per Forza Italia e la destra elbana è un martire della magistratura a cui doveva essere dedicata la piazza su cui affaccia il municipio. Riccardo Nurra, capogruppo della attuale maggioranza nel consiglio comunale di Portoferraio durante il discorso pronunciato in Piazza Pietro Gori al momento della inaugurazione della targa ad Ageno ha detto che “Gori avrebbe ceduto volentieri uno dei due luoghi a lui intitolati, riconoscendo l’enorme ingiustizia subita da Ageno”. Quando è che il signor Nurra ha parlato con Pietro Gori?

Non mi interessa entrare nel merito della figura di Ageno, che tra l’altro in questa occasione è stata esposta alle critiche proprio dai suoi colleghi di partito che hanno imposto la forzatura della reintitolazione, ma penso che sia bene precisare alcune cose sulle pagine di questo giornale visto che attraverso Pietro Gori il movimento anarchico è stato continuamente chiamato in causa in questa vicenda.

Va ricordato per prima cosa che nelle carceri italiane vi sono oltre 58000 persone recluse, di cui oltre 10000 sono in attesa del primo giudizio, e questi numeri sono in aumento. Inoltre vi sono alcune migliaia di persone in uno stato di totale o parziale reclusione, considerate come “ospiti” ma di fatto private della libertà senza aver commesso alcun reato, nei CIE, nei cosiddetti hotspot e nelle varie strutture in cui vengono costrette le persone che giungono in Italia da altri paesi senza avere i documenti in regola. Va infine segnalato che molte persone, per il loro impegno quotidiano, contro governanti e sfruttatori sono ancora oggi carcerate come lo fu Pietro Gori, sono ancora oggi perseguitate grazie a leggi che non hanno niente a che fare con la giustizia. Molti hanno processi per la propria attività politica quotidiana, molti sono condannati talvolta pure in modo illegittimo per le stesse leggi dello Stato. Da anarchico, personalmente, certo preferirei una piazza dedicata a tutti coloro che sono privati della libertà, ai galeotti, ai clandestini, ai perseguitati, ai carcerati, anziché una piazza dedicata ad un esponente della classe dirigente rimasto incastrato nel corso del suo operato negli ingranaggi di quella Legge che garantisce la proprietà privata e che difende l’attuale ordine sociale basato sulla diseguaglianza e la sopraffazione. Da anarchico in realtà potrei dire anche che sono contento che il municipio, un palazzo istituzionale, centro della classe politica e dirigente locale con i suoi affari e i suoi intrighi, non si affacci su Piazza Pietro Gori. Potrei considerare una buona notizia il fatto che quegli affaristi della politica, che hanno perso da tempo ogni credibilità tra la gente, scelgano il nome di uno dei loro per identificare i luoghi delle istituzioni attraverso le quali ci governano.

Ma l’atto della giunta di Portoferraio è stato un deliberato affronto all’Elba libertaria e al movimento anarchico. È un’offesa alla storia collettiva, e per questo molte e molti elbani si sono schierati contro la reintitolazione, per questo molte persone erano in piazza sabato 3 febbraio per difendere la memoria dell’anarchico Pietro Gori. Perché la decisione della giunta non è certo casuale, non si tratta di semplice ignoranza, né solo di eccessiva premura verso l’ex sindaco Ageno, o di poco riguardo verso la tradizione culturale locale. Una grossa parte in questa decisione l’ha avuta proprio la volontà di cancellare dalla piazza su cui si affaccia il municipio l’intitolazione a Pietro Gori. Non è un caso che, come ricorda Ferrari, sindaco di Portoferraio, tra i primi a proporre nel 2008 la reintitolazione della piazza vi era Maurizio Zingoni, allora coordinatore provinciale di Forza Italia. Nel 2011 Zingoni fece un interpellanza nel Consiglio della Provincia di Livorno, come consigliere, per togliere alla Federazione Anarchica Livornese la sede storica per cui pagava tra l’altro regolare affitto. Quanto avvenuto a Portoferraio quindi non fa che confermare ancora una volta l’avversione di certe fazioni politiche nei confronti dell’anarchismo e di ogni aspirazione egualitaria e libertaria. Per questo compagne e compagni da Piombino, Livorno, Pisa ed Empoli sono stati presenti a Portoferraio sabato 3 febbraio, perché si è trattato anche di un attacco al movimento anarchico.

La celebrazione ufficiale per la reintitolazione della piazza voluta dalla giunta non ha fatto che creare ulteriore malcontento e rendere ancora più evidente il dissenso diffuso nei confronti di questo cambiamento della toponomastica. Per la celebrazione sono stati rispolverati tutti i vecchi arnesi teatrali del potere, vi era persino il prete incaricato della benedizione della nuova lapide che indossava un tricorno con fiocco rosso, una vera rarità. Ma di fronte al palco da comizi montato nella piazza non vi erano che pochissime persone a celebrare la “fine” di Piazza Pietro Gori, se si escludono le varie autorità militari e civili, le associazioni d’arma e la banda della filarmonica “G. Pietri”. Nella stessa piazza, a poco più di una ventina di metri da queste grige figure inamidate, sotto al monumento dedicato a Pietro Gori, sulle scale, decine e decine di persone, ottanta per la stampa locale, si sono riunite per protestare contro la decisione della giunta. La protesta, nata spontaneamente e diffusasi con il passa parola, è stata animata principalmente da abitanti di Portoferraio e di altre località elbane che avevano portato garofani rossi e si proponevano di difendere la memoria di Pietro Gori intonando alcuni suoi canti. Alcuni avevano portato cartelli, poesie, testi delle canzoni. I partiti locali che nei giorni precedenti avevano criticato la scelta della giunta comunale non erano presenti in piazza, almeno in modo visibile. Presenti le bandiere della Federazione Anarchica Elbano Maremmana, e quella della Federazione Anarchica Livornese, oltre ad una bandiera rossa e nera da Capoliveri che riportava una poesia di Gori, da Empoli vi era la bandiera storica del Gruppo Anarchico “Pietro Gori” e lo striscione del Centro Studi Libertari anch’esso dedicato a Gori.

Dopo una lunga indecisione, le autorità hanno deciso di mantenere all’esterno l’inaugurazione nonostante la pioggia, probabilmente anche per non lasciare la piazza a chi era venuto per ricordare Pietro Gori. Quando è iniziata la celebrazione e i primi oratori hanno iniziato a parlare si sono sentiti alcuni fischi e una parte della piazza ha intonato fischiettando “Addio a Lugano”. Quando poi Nurra ha detto, in apertura al proprio discorso che nessuno intitolando la piazza ad Ageno ha voluto “sminuire il valore di Pietro Gori, un grande anarchico e un grande uomo” si sono sentite proteste a voce più alta: “come no…”, “viva Pietro Gori!”, “viva l’anarchia!”. Ad ogni modo nessuno ha interrotto gli interventi dal palco, anche perché molti dei presenti non volevano dare spazio alla retorica vittimistica e provocatoria della giunta comunale. Quando poi la targa è stata scoperta sono partiti nuovi fischi, sono state scandite come slogan le frasi “Rispetto per la storia!” e “viva Pietro Gori!” che hanno coperto l’esecuzione dell’Inno di Mameli, al termine del quale per almeno un minuto nella piazza ha risuonato solo il coro “Gori! Gori! Gori!”. La cerimonia istituzionale si è quindi sciolta, mentre sotto al monumento dedicato a Pietro Gori i presenti hanno intonato “Addio a Lugano”, “Stornelli d’esilio”, “Dai monti di Sarzana” e “Vieni o maggio”. Prima di lasciare la piazza sono stati lasciati garofani rossi sulle scale poste sotto il monumento.

La giornata del 3 febbraio a Portoferraio ha dimostrato che lo spirito libertario è ancora presente nella città e nell’isola, e che la popolazione non tollera in silenzio l’arroganza di un potere che vuole riscrivere la storia per affermare la propria autorità. In quella piazza da una parte si è visto sfilare lo stantio rituale di una classe dirigente che si alimenta con lo sfruttamento, con l’oppressione, con la devastazione del territorio, dall’altra parte si è visto uno spirito di libertà che trae forza dalla memoria collettiva costruita in oltre un secolo di lotte per la liberazione sociale. Quella piazza probabilmente, alla faccia di ogni atto burocratico, per molti resterà ancora Piazza Pietro Gori. Certo una giornata come questa può essere servita a molti come conferma che unendosi e organizzandosi dal basso, impegnandosi in prima persona, si può far sentire la propria voce, non solo per difendere la memoria ma anche per rilanciare un’alternativa nel presente, specie in un territorio come quello elbano devastato sul piano sociale e ambientale da chi lo governa a livello locale e nazionale.

Dario Antonelli

Articolo pubblicato sul settimanale anarchico Umanità Nova:

Per leggere Umanità Nova on line:
http://www.umanitanova.org/

Punti vendita di Umanità Nova a Livorno:
Edicola P.zza Grande (angolo via Pieroni)
Edicola Via Garibaldi 7
Edicola P.zza Damiano Chiesa
Edicola Porto (Piazza Micheli lato Quattro Mori)
Edicola viale Carducci angolo Viale del Risorgimento
Edicola Dharma – viale di Antignano
Libreria Belforte – via Roma 59
Caffè-Libreria Le cicale operose – Corso Amedeo 101
Bar Dolcenera via della Madonna 38
Pub “Birra Amiata House” – via della Madonna, 51
Federazione Anarchica Livornese – via degli Asili 33

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Appello per la manifestazione del 10 febbraio a Macerata

Sabato 10 come anarchici/e saremo a Macerata a dimostrare la nostra contrarietà alla violenza fascista che vede quotidianamente la legittimazione politica e mediatica dell’odio razzista e della provocazione squadrista. Sui social si sono moltiplicati gli atti di solidarietà verso lo stragista che ha ferito sei persone. Nelle città imperversano episodi di intolleranza (es. all’ospedale di Parma) e di propaganda elettorale della peggior specie. Al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Bolzano, un raid di Casa Pound se l’è presa con i senza tetto che dormono nella sala di attesa, per ripararsi dal freddo invernale, come se le misure anti-povero (dai decreti Minniti ai tanti sadici congegni come spunzoni e gli spezza-seduta delle panchine.. ) non fossero abbastanza per chi ha paura non tanto della povertà, ma degli esseri umani che si trovano in questa condizione. Chiamare infami queste pratiche è eufemismo. Ciò nonostante, siamo convinti che i partiti di destra da queste azioni vigliacche guadagneranno ulteriori voti, frutto della frustrazione, della stupidità, della miseria morale ed economica cui loro, per primi, hanno contribuito. In questo consideriamo sia importante non arrendersi al fascismo, mostrarsi in piazza come atto politico di solidarietà verso le vittime di Macerata, Parma, Bolzano, e tante altre. Noi non crediamo in un antifascismo fine a se stesso, che si manifesta a chiamata e su reazione della violenza squadrista. Noi crediamo che l’antifascismo oggi debba fare lo sforzo di mostrarsi unito nelle diversità delle sue anime, alla luce del sole, fermo e deciso nel messaggio di condanna della violenza e in grado di non accettare alcun tipo di provocazione. Noi crediamo in un antifascismo militante che si manifesta nei luoghi di lavoro a difesa degli sfruttati (tutti), negli ospedali, a difesa di una sanità pubblica e gratuita continuamente tagliata, nelle scuole dove l’istruzione accessibile ai più deboli debba garantire uno sviluppo autonomo e libero della persona. Rifiutiamo la guerra fra poveri, fra italiani ed immigrati oggi come fra Nord e Sud ieri, e siamo contro la guerra di classe operata da padronato, finanza, e complicità politiche ed istituzionali (tutte). Siamo in piazza per la solidarietà sociale, la libertà e l’uguaglianza nelle diversità.
F.A.I. Federazione Anarchica Italiana
sez. “M. Bakunin” – Jesi
sez. “F. Ferrer” – Chiaravalle
Gruppo Anarchico “M. Bakunin” FAIRoma
Alternativa Libertaria/FdCA
sez. “Silvia Francolini” – Fano/Pesaro
Gruppo Anarchico “Kronstadt” – (senza fissa dimora) Ancona

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Antimilitaristi livornesi in piazza

Domenica 4 febbraio a Livorno erano in piazza le antimilitariste e gli antimilitaristi contro le nuove missioni militari in Africa. Di seguito alcune foto e il testo de volantino diffuso. Circa una trentina di persone hanno partecipato all’iniziativa, è stato esposto anche uno striscione contro il fascismo e il razzismo per l’attentato fascista di Macerata del 3 febbraio

 

 

No al nuovo colonialismo!

Contro le nuove missioni militari in Africa
Presidio in Piazza Cavour a Livorno
domenica 4 febbraio dalle 16:30

La Camera dei Deputati il 17 gennaio scorso, nel silenzio dei media, ha deciso l’inizio di nuove missioni militari in Africa, oltre a confermare quelle già in corso. Nei prossimi mesi quasi 1000 soldati e oltre 200 mezzi militari saranno inviati in Libia, Niger e Tunisia. Viene così raddoppiata la presenza militare italiana in Africa, cresciuta moltissimo dopo il 2011, quando l’Italia ha aggredito la Libia con bombardamenti aerei.

Contro i “trafficanti di esseri umani”?
Si va in Libia e Niger, ci dice il governo, per tutelare i migranti e a fermare i “trafficanti di esseri umani”. Ma è stata proprio la classe dirigente italiana a preparare la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, quando morirono 368 persone che cercavano di raggiungere l’Italia. Questa strage fu strumentalizzata per dare il via alla missione “Mare Nostrum”, che ha creato le condizioni per inviare le truppe in Libia a difendere gli interessi dell’ENI sul petrolio. Proprio il governo italiano ha concorso, in accordo con un governo locale, alla creazione dei lager per migranti in Libia. L’orrore di quei lager è ora la giustificazione per inviare ancora più truppe in Libia e per inviare soldati in Niger.

In Tunisia per far cosa?
I militari italiani vi costituiranno un Comando di Brigata della NATO. Nel 2011 l’insurrezione popolare ha fatto cadere il regime di Ben Ali, e oggi vi è un forte malcontento per i gravi problemi sociali non risolti dalla “rivoluzione interrotta”. Le prime settimane del 2018 sono state segnate da grandi proteste contro l’aumento dei prezzi e contro le riforme antipopolari imposte dal Fondo Monetario Internazionale. Il governo tunisino ha represso nel sangue le proteste, utilizzando i militari per sparare sui manifestanti. I soldati italiani e la NATO saranno in Tunisia dunque anche come garanzia della “stabilità” del paese. Per imporre la politica di sfruttamento ci vuole la forza delle armi. Inoltre, un Comando NATO in Tunisia, paese strategico per il controllo del nord Africa, prepara il terreno per nuovi interventi militari nella regione.
Nessuno scopo umanitario. Lo stesso governo non parla di missioni “umanitarie” ma di missioni per la “sicurezza nazionale”. I soldati italiani vanno in Africa per interessi economici enormi: l’uranio in Niger, gli interessi ENI in Libia e in Nigeria, il gasdotto che attraverso la Tunisia porta in Italia il gas algerino, il mercato delle ex-colonie francesi. L’Italia entra ufficialmente nelle guerre in Africa per partecipare alla grande spartizione del continente tra le potenze mondiali.

Nessun appoggio all’imperialismo, a cominciare da quello “nostrale”!
Ritorna, in altre forme, la politica coloniale. In passato, prima e durante il fascismo, questa ha prodotto razzie e atrocità ai danni delle popolazioni locali, morte e malattie per i soldati e nessun beneficio per la grande maggioranza della popolazione italiana. E oggi? Non ci sono motivi per pensare che andrà diversamente. Ci guadagnerà la classe dirigente, gli industriali, specie quelli collegati alla produzione militare, i finanzieri, i generali se hanno fatto bene i loro calcoli, ma se risulteranno sbagliati saremo comunque noi a dover pagare, con ulteriori sacrifici e privazioni. Le nuove missioni costeranno 118.798.581 euro. Che si aggiungono vanno a una spesa militare stimata a 25 miliardi per il 2018. 68 milioni al giorno. A noi resteranno solo tasche vuote, peggiori condizioni di vita e di lavoro e un aumento dei rischi e delle restrizioni connesse alla guerra: maggiore controllo sociale, restrizione delle libertà, militarizzazione del territorio, gerarchizzazione della società, repressione del dissenso, aumento della propaganda paranoide sul rischio terrorismo, coinvolgimento più o meno diretto nelle guerre e nei loro più tragici effetti.

Nessun appoggio al nuovo colonialismo! Rientro in Italia di tutti i militari! Guerra alle guerre!

Antimilitaristi livornesi

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Fuori le truppe italiane dall’Africa!

 

Fuori le truppe italiane dall’Africa!
Oggi a Livorno il presidio organizzato da “Antimilitaristi livornesi” contro le nuove missioni militari italiane in Niger, Libia e Tunisia. Una ventina i partecipanti, che hanno esposto uno striscione contro la guerra “Fuori le truppe italiane dall’Africa” e uno striscione contro lo stragismo fascista, in riferimento ai fatti di Macerata “Da Macerata a Livorno No al fascismo e al razzismo”. Perché il razzismo e la violenza fascista sono alimentate anche dalle politiche di guerra e militarizzazione.

Questo il testo del volantino diffuso in piazza:

NO AL NUOVO COLONIALISMO!
Via le truppe italiane dall’Africa!

La Camera dei Deputati il 17 gennaio scorso, nel silenzio dei media, ha deciso l’inizio di nuove missioni militari in Africa, oltre a confermare quelle già in corso. Nei prossimi mesi quasi 1000 soldati e oltre 200 mezzi militari saranno inviati in Libia, Niger e Tunisia. Viene così raddoppiata la presenza militare italiana in Africa, cresciuta moltissimo dopo il 2011, quando l’Italia ha aggredito la Libia con bombardamenti aerei.

Contro i “trafficanti di esseri umani”?
Si va in Libia e Niger, ci dice il governo, per tutelare i migranti e a fermare i “trafficanti di esseri umani”. Ma è stata proprio la classe dirigente italiana a preparare la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, quando morirono 368 persone che cercavano di raggiungere l’Italia. Questa strage fu strumentalizzata per dare il via alla missione “Mare Nostrum”, che ha creato le condizioni per inviare le truppe in Libia a difendere gli interessi dell’ENI sul petrolio. Proprio il governo italiano ha concorso, in accordo con un governo locale, alla creazione dei lager per migranti in Libia. L’orrore di quei lager è ora la giustificazione per inviare ancora più truppe in Libia e per inviare soldati in Niger.

In Tunisia per far cosa?
I militari italiani vi costituiranno un Comando di Brigata della NATO. Nel 2011 l’insurrezione popolare ha fatto cadere il regime di Ben Ali, e oggi vi è un forte malcontento per i gravi problemi sociali non risolti dalla “rivoluzione interrotta”. Le prime settimane del 2018 sono state segnate da grandi proteste contro l’aumento dei prezzi e contro le riforme antipopolari imposte dal Fondo Monetario Internazionale. Il governo tunisino ha represso nel sangue le proteste, utilizzando i militari per sparare sui manifestanti. I soldati italiani e la NATO saranno in Tunisia dunque anche come garanzia della “stabilità” del paese. Per imporre la politica di sfruttamento ci vuole la forza delle armi. Inoltre, un Comando NATO in Tunisia, paese strategico per il controllo del nord Africa, prepara il terreno per nuovi interventi militari nella regione.
Nessuno scopo umanitario. Lo stesso governo non parla di missioni “umanitarie” ma di missioni per la “sicurezza nazionale”. I soldati italiani vanno in Africa per interessi economici enormi: l’uranio in Niger, gli interessi ENI in Libia e in Nigeria, il gasdotto che attraverso la Tunisia porta in Italia il gas algerino, il mercato delle ex-colonie francesi. L’Italia entra ufficialmente nelle guerre in Africa per partecipare alla grande spartizione del continente tra le potenze mondiali.

Nessun appoggio all’imperialismo, a cominciare da quello “nostrale”!
Ritorna, in altre forme, la politica coloniale. In passato, prima e durante il fascismo, questa ha prodotto razzie e atrocità ai danni delle popolazioni locali, morte e malattie per i soldati e nessun beneficio per la grande maggioranza della popolazione italiana. E oggi? Non ci sono motivi per pensare che andrà diversamente. Ci guadagnerà la classe dirigente, gli industriali, specie quelli collegati alla produzione militare, i finanzieri, i generali se hanno fatto bene i loro calcoli, ma se risulteranno sbagliati saremo comunque noi a dover pagare, con ulteriori sacrifici e privazioni. Le nuove missioni costeranno 118.798.581 euro. Che si aggiungono vanno a una spesa militare stimata a 25 miliardi per il 2018. 68 milioni al giorno. A noi resteranno solo tasche vuote, peggiori condizioni di vita e di lavoro e un aumento dei rischi e delle restrizioni connesse alla guerra: maggiore controllo sociale, restrizione delle libertà, militarizzazione del territorio, gerarchizzazione della società, repressione del dissenso, aumento della propaganda paranoide sul rischio terrorismo, coinvolgimento più o meno diretto nelle guerre e nei loro più tragici effetti.

Nessun appoggio al nuovo colonialismo! Rientro in Italia di tutti i militari! Guerra alle guerre!

Antimilitaristi livornesi

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A Portoferraio Pietro Gori fa ancora paura!

Portoferraio, Isola d’Elba, sabato 3 febbraio. Tante e tanti, per affermare che l’affronto alla memoria collettiva di una giunta comunale non può eliminare il valore storico e attuale di una figura come quella del compagno anarchico Pietro Gori. Importante la presenza delle elbane e egli elbani con garofani rossi, cartelli e canti per esprimere la propria contrarietà alla scelta della giunta comunale di Portoferraio. Presenti anche alcune compagne e compagni della Federazione Anarchica Elbano Maremmana, di Livorno, Pisa e Empoli

[seguirà un resoconto più dettagliato]

Riportiamo il testo del volantino diffuso:

Pietro Gori fa ancora paura!

A Portoferraio, Isola d’Elba, la giunta di destra ha deciso di cambiare la toponomastica: la piazza intitolata al compagno Pietro Gori sarà dedicata a un sindaco di centrodestra.

La vicenda è diventata oggetto di polemica e strumentalizzazione tra i vari partiti in vista delle elezioni nazionali del 4 marzo. Che lascino Pietro Gori fuori dalle loro campagne elettorali!

La decisione della giunta è un affronto all’Elba libertaria, è un atto contro il movimento anarchico, da parte di una fazione politica che non è certo nuova a simili attacchi.

Gli anarchici, i rivoluzionari, danno fastidio a chi governa anche se sono morti da oltre centanni, specie se si tratta di Pietro Gori.

Pietro Gori, nato nel 1865 da padre elbano, muore a Portoferraio nel 1911. Anarchico militante e intellettuale, è una delle personalità più rilevanti del movimento anarchico italiano che tra Ottocento e Novecento è impegnato nello sforzo organizzatore e nel progressivo radicamento tra i lavoratori. In questo contesto Pietro Gori è costretto dalla repressione a vivere esule in varie parti del mondo, mette la sua capacità comunicativa a disposizione della propaganda, mette la sua professione di avvocato a disposizione dei lavoratori e dei militanti colpiti dalla repressione. Pietro Gori è un agitatore politico, è un organizzatore sindacale, è un internazionalista che individua nel movimento operaio l’elemento di trasformazione sociale, è una persona che riesce ad unire la passione politica allo slancio espressivo ed artistico.

L’anarchismo di Pietro Gori dimostra ancora oggi la propria forza dirompente. Pietro Gori, grazie al suo pensiero e alla sua azione, è un punto di riferimento nelle lotte attuali. Ieri come oggi la lotta contro la guerra, contro lo sfruttamento, contro la distruzione del territorio, sono elementi centrali dell’azione degli anarchici. Ieri come oggi gli anarchici sono al fianco di tutti gli sfruttati e di coloro che vogliono una reale trasformazione sociale.

Invano si tenta di cancellare la storia del movimento operaio, delle lavoratrici e dei lavoratori, delle lotte popolari. Invano si tenta di negare le radici storiche di chi ancora oggi lotta per l’emancipazione e per la liberazione sociale.

Un atto burocratico non riuscirà a cancellare la memoria collettiva.

Federazione Anarchica Elbano Maremmana

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Solidarietà ai Mapuche! Le maglie della Benetton sono sporche di sangue

“Solidarietà ai Mapuche! Le maglie della Benetton sono sporche di sangue” con questo striscione anche a Livorno gli anarchici hanno manifestato di fronte al locale negozio Benetton per la settimana di lotta in solidarietà con il popolo Mapuche e con il movimento anarchico argentino lanciata dall’Internazionale di Federazioni Anarchiche. Nel pomeriggio di venerdì 2 febbraio le compagne e i compagni del Collettivo Anarchico Libertario e della Federazione Anarchica Livornese hanno mantenuto un presidio di fronte al negozio della multinazionale diffondendo volantini e confrontandosi con le tante persone che si sono fermate, per avere maggiori informazioni o per esprimere il proprio sostegno all’iniziativa. Da segnalare un buffo intervento di due vigili urbani che volevano multare i manifestanti per un cartello del presidio appeso ad una colonna, a loro dire era necessario il timbro dell’ufficio affissioni del comune, ma pure alcuni passanti hanno contestato ai vigili questo comportamento difendendo la libertà di manifestare degli organizzatori del presidio. L’iniziativa comunque ha dimostrato che in città c’è molto interesse sulla questione, per questo saranno probabilmente organizzate altre attività di solidarietà e sostegno a chi lotta in Agentina contro la sanguinaria repressione del governo Macri, al fianco dei Mapuche e di tutti gli sfruttati.

Di seguito il volantino distribuito durante il presidio

SOLIDARIETÀ ALLA POPOLAZIONE MAPUCHE E AL MOVIMENTO ANARCHICO ARGENTINO
SANTIAGO MALDONADO E RAFAEL NAHUEL VIVONO NELLE NOSTRE LOTTE

La Benetton è tra le principali responsabili del saccheggio delle terre della popolazione Mapuche, nella Patagonia argentina e cilena. In Argentina il governo tenta di mettere al bando i movimenti sociali, le organizzazioni politiche e sindacali che solidarizzano con la popolazione Mapuche che lotta contro la devastazione dei propri territori da parte della Benetton e altre multinazionali. La polizia e le bande paramilitari usano la violenza più brutale, sparando sui manifestanti, rapendo e uccidendo oppositori.

I Mapuche e le compagne e i compagni che sostengono localmente la loro lotta chiedono il nostro supporto. Il “Rapporto RAM”, reso pubblico a dicembre 2017, preparato dal Ministero della Sicurezza Nazionale argentino congiuntamente ai governi delle province patagoniche, prepara la strada ad una gravissima montatura repressiva sostenendo l’esistenza di un complotto terroristico che coinvolge organizzazioni Mapuche, organizzazioni politiche, sociali e sindacali, tra cui anche la Federazione Libertaria Argentina, che fa parte dell’Internazionale di Federazioni Anarchiche.
Il 1 di agosto nella provincia di Chubut nella Patagonia argentina, persone appartenenti alla comunità indigena Mapuche, assieme a solidali, hanno bloccato una strada vicina alla sede locale della Benetton (tra le più importanti nel paese) per protestare contro l’acquisizione del territorio Mapuche da parte della grande multinazionale. La polizia ha attaccato la manifestazione sparando colpi di pistola mentre i manifestanti cercavano di difendersi come potevano. Durante l’operazione di polizia l’anarchico Santiago Maldonado è stato arrestato, caricato con violenza su un furgone bianco -come testimoniato da molte persone- e portato via; da allora è risultato disperso, desaparecido. Il suo corpo è stato trovato in un fiume in Patagonia due mesi dopo, un brutale ricordo delle 30.000 persone che risultarono desaparecidas durante il periodo della Junta (la dittatura militare guidata dai generali Videla, Massera e Agosti), un marchio indelebile nella storia Argentina, conservato nella memoria collettiva allo stesso modo dei crimini nazisti.
Un altro compagno, Rafael Nahuel, è stato anch’egli ucciso, era un giovane di origine Mapuche membro di un gruppo chiamato Coletivo Al Margen. Aveva preso parte alle proteste a sostegno delle rivendicazioni Mapuche. Il 25 novembre 2017, in occasione del funerale di Santiago Maldonado, le forze di polizia hanno organizzato uno sgombero nel territorio Mapuche. Le persone presenti sono state colpite da proiettili di gomma e di piombo, mentre venivano spruzzate di spray al peperoncino. Una donna e Rafael Nahuel sono stati colpiti. La donna è sopravvissuta, Rafael è stato ucciso.

In diversi paesi del mondo in questi giorni si stanno svolgendo azioni e iniziative contro la repressione assassina dello Stato argentino, in solidarietà con il movimento anarchico di quel paese e con tutti coloro che lottano contro la violenza statale e padronale. L’Internazionale di Federazioni Anarchiche (IFA) ha lanciato un appello per concentrare nella settimana tra il 29 gennaio e il 7 febbraio iniziative di lotta e solidarietà contro le sedi di rappresentanza del governo argentino e la multinazionale dell’abbigliamento Benetton.

Il marchio “United Colours of Benetton” vorrebbe presentare la multinazionale come multietnica e antirazzista. In realtà Benetton sta acquistando enormi appezzamenti di terreno in Argentina, sottratti inizialmente alla popolazione indigena Mapuche di Cile e Argentina. La multinazionale quindi è complice e responsabile di quanto sta accadendo.

SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE!

Federazione Anarchica Livornese – FAI
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Collettivo Anarchico Libertario
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In piazza contro il nuovo colonialismo!

No al nuovo colonialismo!

Contro le nuove missioni militari in Africa
Presidio in Piazza Cavour a Livorno
domenica 4 febbraio dalle 16:30

La Camera dei Deputati il 17 gennaio scorso, nel silenzio dei media, ha deciso l’inizio di nuove missioni militari in Africa, oltre a confermare quelle già in corso. Nei prossimi mesi quasi 1000 soldati e oltre 200 mezzi militari saranno inviati in Libia, Niger e Tunisia. Viene così raddoppiata la presenza militare italiana in Africa, cresciuta moltissimo dopo il 2011, quando l’Italia ha aggredito la Libia con bombardamenti aerei.

Contro i “trafficanti di esseri umani”?
Si va in Libia e Niger, ci dice il governo, per tutelare i migranti e a fermare i “trafficanti di esseri umani”. Ma è stata proprio la classe dirigente italiana a preparare la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, quando morirono 368 persone che cercavano di raggiungere l’Italia. Questa strage fu strumentalizzata per dare il via alla missione “Mare Nostrum”, che ha creato le condizioni per inviare le truppe in Libia a difendere gli interessi dell’ENI sul petrolio. Proprio il governo italiano ha concorso, in accordo con un governo locale, alla creazione dei lager per migranti in Libia. L’orrore di quei lager è ora la giustificazione per inviare ancora più truppe in Libia e per inviare soldati in Niger.

In Tunisia per far cosa?
I militari italiani vi costituiranno un Comando di Brigata della NATO. Nel 2011 l’insurrezione popolare ha fatto cadere il regime di Ben Ali, e oggi vi è un forte malcontento per i gravi problemi sociali non risolti dalla “rivoluzione interrotta”. Le prime settimane del 2018 sono state segnate da grandi proteste contro l’aumento dei prezzi e contro le riforme antipopolari imposte dal Fondo Monetario Internazionale. Il governo tunisino ha represso nel sangue le proteste, utilizzando i militari per sparare sui manifestanti. I soldati italiani e la NATO saranno in Tunisia dunque anche come garanzia della “stabilità” del paese. Per imporre la politica di sfruttamento ci vuole la forza delle armi. Inoltre, un Comando NATO in Tunisia, paese strategico per il controllo del nord Africa, prepara il terreno per nuovi interventi militari nella regione.
Nessuno scopo umanitario. Lo stesso governo non parla di missioni “umanitarie” ma di missioni per la “sicurezza nazionale”. I soldati italiani vanno in Africa per interessi economici enormi: l’uranio in Niger, gli interessi ENI in Libia e in Nigeria, il gasdotto che attraverso la Tunisia porta in Italia il gas algerino, il mercato delle ex-colonie francesi. L’Italia entra ufficialmente nelle guerre in Africa per partecipare alla grande spartizione del continente tra le potenze mondiali.

Nessun appoggio all’imperialismo, a cominciare da quello “nostrale”!
Ritorna, in altre forme, la politica coloniale. In passato, prima e durante il fascismo, questa ha prodotto razzie e atrocità ai danni delle popolazioni locali, morte e malattie per i soldati e nessun beneficio per la grande maggioranza della popolazione italiana. E oggi? Non ci sono motivi per pensare che andrà diversamente. Ci guadagnerà la classe dirigente, gli industriali, specie quelli collegati alla produzione militare, i finanzieri, i generali se hanno fatto bene i loro calcoli, ma se risulteranno sbagliati saremo comunque noi a dover pagare, con ulteriori sacrifici e privazioni. Le nuove missioni costeranno 118.798.581 euro. Che si aggiungono vanno a una spesa militare stimata a 25 miliardi per il 2018. 68 milioni al giorno. A noi resteranno solo tasche vuote, peggiori condizioni di vita e di lavoro e un aumento dei rischi e delle restrizioni connesse alla guerra: maggiore controllo sociale, restrizione delle libertà, militarizzazione del territorio, gerarchizzazione della società, repressione del dissenso, aumento della propaganda paranoide sul rischio terrorismo, coinvolgimento più o meno diretto nelle guerre e nei loro più tragici effetti.

Nessun appoggio al nuovo colonialismo! Rientro in Italia di tutti i militari! Guerra alle guerre!

Antimilitaristi livornesi

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Romanzo Famigliare: Mamma che fiction!

articolo pubblicato su Umanità Nova n. 3 del 2018

Romanzo Famigliare: Mamma che fiction!

Lo scatolone televisivo ce l’ha mostrata in tutta la salsamelassa-fiction che era possibile, da cui abbiamo ricavato delle grandi verità.

Livorno dunque è solo Accademia navale e lungomare. Non esistono quartieri popolari, case normali, periferie etc., per non parlare di tutte le altre e più pesanti problematiche. Solo un bel salotto con un mastodontico soprammobile che è l’Accademia navale.

Personaggio chiave della storia un ufficiale della marina militare strafigo, alto-bello-sicuro di sé. È un po’ rigido sì, perché un militare deve esserlo, disciplina e serietà lo impongono, però sa gestire le donne, perché la caserma è una grande scuola di vita. Riesce a reggere, con alti e bassi, una moglie un po’ idiota e una figliola un po’ scemina anche lei. È in grado di riportare ordine nelle attività riproduttive delle donne che lo circondano: si fa il test di paternità e riafferma il proprio ruolo di pater familias, perché la moglie non si ricordava con chi a suo tempo aveva concepito cotanta prole. Non batte ciglio davanti alla gravidanza della figlia sedicenne perché rimanere incinte è quello che le donne sanno fare, bisogna compatirle. Riuscirà anche ad ammorbidire la cadetta accademista fanatica-fascista-razzista (una caricatura ovviamente! i militari non sono mica così!), richiamandola al suo dovere di fare figli.Patrizia N.

Quando proprio non ce la fa, ricorre alla forza, che, è bene ricordarlo, non è solo morale, ma anche fisica, e qualche volta vediamo che alza le mani sulla moglie intemperante e scema, fermato dalla figlia che ha i superpoteri dati dalla gravidanza; però, insomma, si capisce che qualche volta può scappare la pazienza e può succedere di picchiare la moglie, ma questo niente toglie al fatto di essere strafigo, anzi. In una rocambolesca complicazione dell’intreccio che si fa arzigogolato per dissimulare l’inconsistenza della trama, incontra un trans, ma riafferma con forza il suo ruolo di maschio italico con stellette (c’è anche il collega ufficiale gay, ma non a caso ha una moglie con l’alopecia e una figlia anoressico bulimica, mica come lui che ce l’ha feconda e fattrice!).

Altre verità che ci vengono snocciolate: la maternità di una adolescente non comporta nessun problema perché può essere gestita in famiglia e la ragazzina non si deve porre nessun interrogativo sul suo futuro (l’autodeterminazione? che roba è?); l’aborto va fatto solo se c’è un rischio di malattia per il feto, sennò nisba; si dice che ci sono medici obiettori che nelle cliniche private poi praticano aborti e che sono pochi i veri medici obiettori, cioè quegli obiettori di coscienza che “hanno una coscienza” (citazione testuale dalla puntata numero2).

E il mondo esterno? La famiglia popolare rappresentata con sovrabbondanza di livornesità (gli altri sono livornesi, ma straricchi ed ebrei) sembra ripresa dai bruttisporchiecattivi di Scola: sono spacciatori, avidi e delinquenti, lasciano persino nei guai il figlio adolescente, che hanno fatto anche diventare sordo da piccino perché non lo hanno curato (sarà poi curato dalla mamma della ragazza incinta, più umanitaria della Boldrini…).

C’è anche il cattivo, un ucraino che fu adottato come bimbo di Chernobyl dalla famiglia straricca e che ora, adulto, trama nell’ombra per rovinare i suoi benefattori e impossessarsi del patrimonio (vai a fare del bene agli stranieri!).

E, in cotanto degrado, menomale che c’è lei, l’Accademia, coi cadetti veri che recitano sé stessi, l’Ammiraglio che interpreta la parte dell’Ammiraglio e addirittura la Pinotti che fa la comparsa e appare in visita ufficiale: un mondo lindo in bianco e blu, impeccabile nei gesti senza senso, salire e scendere dalle funi a che pro? andare avanti e indietro in fila a che pro? D’altra parte sono questi i mestieri utili, perché danno “un senso d’ordine e di pulizia”, un mondo pieno di certezze. qualcosa che se non ci fosse andrebbe inventato.

Pochissime le interruzioni pubblicitarie: ma c’è forse bisogno di sponsor oltre alla Marina militare? Chissà quali sorprese ci riserveranno le prossime puntate… chissà se ci faranno finalmente vedere la misteriosa grata sotterranea che ostruirebbe il Rio Maggiore tombato… Aspettiamo fiduciosi, quello che vedremo sarà tutta verità!

Patrizia N.

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Truppe in Libia, Niger e Tunisia – Ribelliamoci alla guerra!

articolo pubblicato sul settimanale anarchico Umanità Nova n. 3 del 2018

Truppe in Libia, Niger e Tunisia

Ribelliamoci alla guerra!

Il 17 gennaio la Camera ha approvato il rinnovo delle missioni militari all’estero. Oltre al rinnovo di quelle già in atto, è stato deciso un nuovo impegno strategico in Africa per la difesa della sicurezza degli interessi nazionali. Libia, Niger (con intervento anche in Nigeria, Mauritania, Mali e Benin), Tunisia, Sahara Occidentale, Repubblica Centrafricana, sono questi i paesi dove saranno inviate le truppe. Prima di votare le nuove missioni di guerra i deputati hanno osservato un minuto di silenzio per gli operai morti a Milano nella fabbrica Lamina. Questo rende chiaro a coloro che ancora non lo avessero capito, chi pagherà in termini di servizi, sicurezza sul lavoro, salute e condizioni di vita il maggiore tributo per sostenere l’espansione della politica di guerra italiana.

Siamo di fronte all’avvio ufficiale di una strategia militare complessiva in Africa da parte dell’Italia.

Fino ad ora le forze armate della Repubblica che “ripudia la guerra” avevano già una presenza relativamente consistente in Africa. In particolare negli ultimi anni si è rafforzata la presenza nel Corno d’Africa; dall’intervento in Somalia nel 1993, venticinque anni fa, infatti i militari italiani non hanno più lasciato l’ex colonia. Attualmente sono presenti in modo significativo militari italiani per le missioni UE in Somalia e per la missione navale antipirateria tra il Golfo di Aden, il Bacino Somalo e l’Oceano Indiano. In Gibuti inoltre, dove tutte le potenze che hanno interessi imperialistici in Africa, compresa la Cina, hanno basi militari, anche l’Italia ha una base militare nazionale, dove è dislocato un contingente militare. L’Italia già partecipava con un contributo rilevante anche alla missione MFO in Egitto, che avrebbe l’obiettivo di vigilare sul rispetto degli accordi di Camp David e dei trattati di pace tra Egitto e Israele. Anche nell’area saheliana l’Italia aveva stabilito negli ultimi anni una presenza con la partecipazione di poche decine di militari alle missioni UE e UN in Mali e alla missione UE in Niger. Per quanto riguarda la Libia, oltre alla Missione UE di supporto al governo libico detto di Accordo Nazionale, guidato da Sarraj, e alla missione “Ippocrate” che con l’espediente dell’assistenza medica aveva portato i primi soldati sul campo, dal marzo 2015 è stata avviata l’operazione Mare Sicuro (che dalla scorsa estate comprende una missione di supporto alla guardia costiera libica), con l’impiego di 700 militari, 5 mezzi navali e mezzi aerei. Erede dell’operazione Mare Nostrum, il cui nome tristemente evocativo non poteva non preannunciare il rigurgito colonialista, Mare Sicuro è nato come una sorta di blocco navale antimigranti e si è di fatto configurato come un’operazione militare a difesa degli interessi ENI, specie a protezione del complesso di Mellitah, che ha segnato l’avvio della strategia su terra della guerra italiana in Libia iniziata con i bombardamenti del 2011.

In Libia la nuova missione con comando a Tunisi sostituirà due precedenti missioni, quella di supporto alla guardia costiera libica e la missione “Ippocrate” che con 300 militari sul campo, nel 2016 era stata presentata come una missione di mera assistenza medica con la costruzione di un ospedale da campo a Misurata. Ora saranno schierati 400 militari e 130 mezzi terrestri, obiettivo della missione, secondo il Governo è «rendere l’azione di assistenza e supporto in Libia maggiormente incisiva ed efficace, sostenendo le autorità libiche nell’azione di pacificazione e stabilizzazione del Paese e nel rafforzamento delle attività di controllo e contrasto dell’immigrazione illegale, dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza.» Saranno mantenute la missione UE a sostegno del governo Sarraj e la missione Mare Sicuro, dunque con la nuova missione a terra dagli obiettivi pienamente militari si consolida la presenza di occupazione militare italiana in Libia partecipando alla razzia del paese. In Libia sono presenti tra gli altri anche statunitensi, francesi, russi, qatarini, mentre altri stati come la Germania pur senza inviare forze sul terreno partecipano, non meno direttamente, al confronto tra potenze per garantirsi interessi economici e influenza politica nella regione.

In Niger saranno invece inviati 470 militari per una missione i cui compiti principali saranno secondo il Governo «supportare, nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area e il rafforzamento delle capacità di controllo del territorio delle autorità nigerine e dei Paesi del G5 Sahel (Niger, Mali, Mauritania, Chad e Burkina Faso), lo sviluppo delle Forze di sicurezza nigerine (Forze armate, Gendarmeria Nazionale, Guardia Nazionale e Forze speciali della Repubblica del Niger) per l’incremento di capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza; concorrere alle attività di sorveglianza delle frontiere e del territorio e di sviluppo della componente aerea della Repubblica del Niger.» Come già con Mare Sicuro e con la Libia, ora con il Niger la sorveglianza delle frontiere, il contrasto ai “trafficanti di esseri umani” diviene pretesto per giustificare l’invio di truppe e mezzi militari.

In Tunisia saranno inviati 60 militari per una operazione finalizzata all’addestramento delle forze militari e di sicurezza tunisine per la costituzione del Quartier Generale di un Nuovo Comando di Brigata della NATO. Questa che appare come la missione meno consistente sul piano delle unità militari coinvolte è quella più grave e preoccupante.

Gli interessi economici sono enormi. Il più noti sono certo l’uranio in Niger, gli interessi ENI in Libia e Nigeria, ma anche il mercato ampio e appetibile delle ex-colonie francesi (e non solo), un mercato che ha pure una moneta unica, il franco CFA, erede e continuatore della politica coloniale francese. Dalla Tunisia inoltre passa il gasdotto che porta in Italia il gas algerino. Tuttavia per indagare la trama di interessi internazionali che si giocano in Africa e che vedono confrontarsi tra gli altri Francia, UE, Cina e USA, e considerare come l’intervento dell’Italia si inserisca in questo quadro, sarebbe necessaria una specifica trattazione.

Gli interessi politici sono altrettanto forti. Basti pensare al ruolo politico della presenza di un numero consistente di militari italiani in Tunisia finalizzato alla costituzione di un Quartier generale per un Comando di Brigata NATO. Da una parte si può fare una considerazione di carattere globale, dal momento che la costituzione di un Comando di Brigata NATO in Tunisia risulta molto preoccupante perché rappresenterebbe una base di proiezione in Africa dell’alleanza atlantica. Dall’altra va considerato il grave atto di ingerenza politica interna in un paese come la Tunisia, dove è ancora vivo l’insegnamento dell’insurrezione vittoriosa contro Ben Ali, dove le generazioni che hanno animato la “rivoluzione interrotta” non sono state schiacciate dalla repressione come in Egitto, dove ancora esistono le organizzazioni di base di donne e giovani disoccupati, dove attualmente sono in corso grandi proteste contro il carovita e le misure di austerità, represse nel sangue, dove ancora c’è la possibilità di un rovesciamento del governo sotto la pressione delle proteste popolari, inviare delle truppe costituisce un atto politico. Il Governo Italiano con le sue truppe addestrerà chi spara sulla folla e farà da garante al Fondo Monetario Internazionale sulla stabilità politica interna della Tunisia, la quale dovrebbe varare nuove riforme strutturali su richiesta del FMI che porteranno ad un peggioramento delle condizioni di vita della maggior parte della popolazione.

È importante notare come una delle principali giustificazioni ideologiche di queste nuove missioni cerchi di costruire un piano di consenso pubblico tentando di comprendere in modo trasversale uno dei principali temi del dibattito politico, quello sull’immigrazione. La lotta contro i trafficanti di uomini è un pretesto valido sia in salsa umanitaria sia in salsa xenofoba, dopotutto è stata la strage di Lampedusa, voluta e preparata dalla classe politica italiana, ad aprire la strada a Mare Nostrum e poi a Mare Sicuro. Allo stesso modo i lager libici, voluti e difesi militarmente dal governo italiano, divengono pretesto, per quello stesso governo, per inviare truppe in Niger e fermare “prima” i “trafficanti di uomini”.

Chiaramente le mire neocoloniali e gli interessi italiani in Africa non sono mai finiti. Ma il consolidamento della presenza in Libia, l’invio di un contingente in Niger e la presenza in Tunisia per conto della NATO, assieme al riconoscimento di una “strategia africana”, segnano l’ingresso in una nuova fase. Infatti con l’invio delle truppe e l’avvio di una strategia militare ci troviamo di fronte ad una nuova pericolosa e criminale impresa, un punto di non ritorno per una politica militare aggressiva. Il Parlamento repubblicano ha deciso di intraprendere ufficialmente una strada già percorsa dalla monarchia e dal fascismo, e che ha gettato l’Italia in due guerre mondiali, nella dittatura, nella distruzione. Anche questa volta, come nel passato monarchico e fascista, non ci sarà nessun “posto al sole”. La “salvaguardia degli interessi nazionali” non può far sperare in alcun effetto positivo diretto o indiretto per la grande maggioranza della popolazione, non ci saranno aumenti di salari, riduzioni dei canoni d’affitto o delle bollette, non ci sarà un aumento dei posti di lavoro, o dei servizi sociali, si continuerà ad andare in pensione sempre più tardi e si continuerà ad emigrare o a morire prima per colpa dei tagli alla sanità. Chi ci guadagnerà veramente, se ha fatto bene i propri calcoli, sarà la classe dirigente, gli industriali, i finanzieri, i generali. Se i calcoli risulteranno sbagliati saremo comunque noi a dover pagare, con ulteriori sacrifici e privazioni. Intanto le prime stime di spesa, solo per le nuove missioni africane, parlano di 118.798.581 euro. Che vanno ad aggiungersi al resto della spesa militare, per il 2017 64 milioni al giorno, per un totale di oltre 23 miliardi. A noi dunque resteranno solo tasche vuote, peggiori condizioni di vita e di lavoro e un aumento dei rischi e delle restrizioni connesse alla guerra: maggiore controllo sociale, restrizione delle libertà, militarizzazione del territorio, gerarchizzazione della società, repressione del dissenso, aumento della propaganda paranoide sul rischio terrorismo, coinvolgimento più o meno diretto nella guerra e nei suoi più tragici effetti.

Chi alla Camera ha votato a favore dell’avvio delle nuove missioni, è certo responsabile dell’avvio ufficiale della nuova fase di ingerenza militare italiana in Africa, ma questa decisione non è un’improvvisata. Questa decisione è stata preparata negli anni, in modo definito quantomeno dalla partecipazione dell’Italia alla guerra d’aggressione alla Libia nel 2011, quando il governo tenne segreto il ruolo italiano nei bombardamenti aerei sul territorio libico. Quindi non è responsabilità del solo governo Gentiloni, ma di quei partiti che con fasi alterne hanno governato il paese negli ultimi 25 anni. Le politiche di guerra che hanno dato un nuovo “protagonismo internazionale” all’Italia tra anni ‘90 e 2000, hanno avuto come fautori e sostenitori personaggi che ora si presentano alle prossime elezioni arruolati in liste “alternative”, anche se fino a ieri erano arruolati nelle file del governo. Tra questi D’Alema, oggi esponente del Movimento Democratico Progressista, è il più noto, ma vi sono anche alcuni dei relitti di Rifondazione Comunista. Chi prima ha voluto e votato la guerra contro la Federazione Jugoslava nel 1999 e chi ha sostenuto poi col voto parlamentare l’occupazione dell’Afghanistan, ha contribuito a preparare la nuova avventura coloniale dell’Italia e ne è dunque corresponsabile. Il fatto che il voto parlamentare su questioni di tale rilevanza sia avvenuto con una convocazione straordinaria della Camera dopo lo scioglimento del Parlamento in vista delle elezioni di marzo, in piena campagna elettorale, mostra quanto siano illusorie le pretese di rappresentanza diretta o di potere popolare, specie all’interno di queste istituzioni. Il Movimento 5 Stelle e Liberi Uguali, che avrebbero avuto per alcuni il “merito” di ottenere che la questione venisse sottoposta al voto parlamentare, hanno utilizzato il Parlamento come semplice tribuna di campagna elettorale.

Nel 2015 a Tunisi si tenne un incontro anarchico del Mediterraneo, convocato dai gruppi libertari e anarchici tunisini che sono sorti nel periodo rivoluzionario del 2011. Durante tale incontro, anche su spinta delle delegazioni della Federazione Anarchica Italiana e della Federazione Anarchica Siciliana, venne considerato il rischio di ingerenza militare e politica europea nel paese, che avrebbe potuto aggravare il rischio segnalato dai compagni tunisini di una chiusura autoritaria e repressiva degli spazi di agibilità e libertà apertisi con l’insurrezione del 2011. Al termine dell’incontro venne per questo pubblicato un breve comunicato in cui si affermava il comune impegno di solidarietà internazionalista contro ogni involuzione autoritaria e contro ogni guerra. Dobbiamo sostenere i nostri compagni e tutti gli sfruttati che subiscono l’ingerenza coloniale e la prepotenza politica e militare dello Stato italiano in altri paesi.

L’urgenza di oggi, ora più che mai di fronte alle nuove missioni in Africa, è quella di partire dalle situazioni di lotta, dagli organismi di base, dalle realtà autogestite e solidali in cui siamo presenti per rilanciare un intervento antimilitarista nuovo, ancorato alle più calde questioni sociali, in una prospettiva rivoluzionaria e internazionalista di liberazione sociale. L’urgenza è opporsi alla guerra, alle varie forme in cui essa si riproduce a livello interno, specie in termini di militarizzazione e controllo sociale, così come alle missioni di guerra all’estero di cui le nuove missioni colonialiste in Africa sono l’ultimo e più grave sviluppo.

Dario Antonelli

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